tag:blogger.com,1999:blog-46535731811768683922024-03-18T04:03:27.987+01:00i pensieri di Protagora...Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.comBlogger2115125tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-79193478382599520782024-01-11T09:03:00.004+01:002024-01-11T09:03:22.876+01:00Storie (XXXIII). "La befana rossa"<i><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8dQd9aVBxTgg_h_Lz0sPkQ38rGBn6JwSCZdnCXqU6LX7-OXthVz_0_CrsF4dIHeaVas0gEOqHo3EsV5IDFFd2WfWF-bgfoLj8VejZRbY9mlASl6DKnPIkX42V1SO4GECCPgcFo0T5lKU6SNkluEOn0gbqgjaIniAwEy8Kwm4HQ8xms8CNUnyJzTzKay6H/s1287/WITCH.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="767" data-original-width="1287" height="379" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi8dQd9aVBxTgg_h_Lz0sPkQ38rGBn6JwSCZdnCXqU6LX7-OXthVz_0_CrsF4dIHeaVas0gEOqHo3EsV5IDFFd2WfWF-bgfoLj8VejZRbY9mlASl6DKnPIkX42V1SO4GECCPgcFo0T5lKU6SNkluEOn0gbqgjaIniAwEy8Kwm4HQ8xms8CNUnyJzTzKay6H/w635-h379/WITCH.jpg" width="635" /></a></div>27 dicembre 1929, venerdì</i><br /><br />Quella sera cade un gelido nevischio. Il poliziotto, mentre fa il suo solito giro di ronda, nota la luce nella bottega della sarta sulla Spiegelgasse. È l’unica in cui c’è ancora qualcuno a lavorare. Pensa che non ci sia nulla di strano: è naturale che ci sia molto da fare, vista l’ansia con cui tutte si stanno preparando per le feste del Capodanno. Anche sua moglie gli sta dando il tormento… Ma l’uomo sa anche che nel retro di quella bottega si riunisce un gruppetto di donne iscritte al partito comunista. E lui deve tenerle d’occhio, con discrezione. Il suo vecchio capo, prima di andare in pensione, gli ha detto di controllare in particolare quella maestra che viene dall’Italia, una che spesso si mette nei guai.<div><br /></div><div>Effettivamente Franziska e Greta non smettono di cucire mentre Adelaide comincia a raccontare quella sua strana idea. Quello è uno dei periodi dell’anno in cui lavorano di più: tutte le loro clienti hanno bisogno di qualcosa e tutte hanno fretta. Oltre a loro ci sono due ragazze iscritte al partito, la signora Kammerer e Lotte. Lei è la più eccitata di tutte: è la prima volta che partecipa a una di quelle riunioni “segrete”. Titus ha bofonchiato un assenso forzato, ma in fondo è contento che sua figlia abbia quelle idee e abbia il coraggio di sostenerle.<div>«Non ho capito cos’è questa “befana”?». È proprio la più giovane del gruppo a chiedere una spiegazione di quel buffo nome italiano che pare sia l’oggetto di quella riunione convocata così in fretta.<br />«Compagne, è una storia molto antica. Prima dei Romani i popoli che abitavano in quella che non si chiamava ancora Italia celebravano le notti intorno al solstizio d’inverno. Credevano che fossero misteriose, che i morti potessero tornare nel mondo e che delle donne magiche volassero sui campi per renderli fertili. Era un tempo in cui le donne comandavano sugli uomini e in cui credevano che dio fosse una donna». Sono tutte molto attente. «Va bene, maestra, ma cerca di venire al punto» la incalza Franziska, che sa che quando Adelaide comincia a raccontare quelle storie non la finisce più.<br />«Va bene, cerco di semplificare. Poi sono arrivati i Romani e dopo i cristiani. E i maschi hanno vinto. Però qualcosa di quel mondo così antico ha resistito. Ecco la befana è questa forma di resistenza delle donne. Perché in una notte d’inverno questa fata benigna scende ancora e porta regali ai bambini. La chiesa ha voluto che coincidesse con l’epifania e i maschi hanno dipinto la befana come una strega, una brutta vecchia con i vestiti laceri».<br />«Ma questo cosa c’entra con noi» stavolta è Helga a incalzare la giovane amica.<br />«Dovete sapere che è una festa molto popolare in Italia, almeno quanto il natale. Anch’io da bambina aspettavo la befana, appendevo una calza al camino e speravo di trovarci un piccolo regalo. I miei genitori dicevano che se ero stata cattiva ci avrei trovato del carbone, mentre se ero stata buona un dolcetto. Che ansia quelle notti ad ascoltare i rumori che venivano dalla cucina. Proprio perché è così popolare i fascisti se sono impossessati. Il 6 gennaio è diventato festa nazionale e in tutt’Italia è un fiorire di quelle che loro chiamano “befane fasciste”: sfruttano questa tradizione per indottrinare i bambini, per far credere che da quando c’è Mussolini si sta bene».<br />«E noi cosa possiamo fare?» chiede Lotte.<br />«Qualche giorno fa una compagna di Lugano mi ha detto che loro, proprio per opporsi al regime, hanno cominciato a organizzare la “befana rossa”. E hanno ragione i compagni ticinesi. La befana è rivoluzionaria, è nostra e non dei fascisti. Siamo noi che lottiamo per costruire una società diversa e giusta. Allora che ne dite se lo facciamo anche noi a Zurigo?».<br />Le amiche sanno che se Adelaide si è messa in testa di fare una cosa è impossibile fermarla. E poi tutte pensano che sarà bello organizzare quella piccola festa per le bambine e i bambini della casa del popolo.<br />«Il 6 al pomeriggio faremo la festa. Cominciamo a dirlo alle compagne, che portino i figli e i nipoti. Io faccio la befana. Franziska, tu e Greta riuscite a prepararmi una gonna piena di toppe colorate? Io da qualche parte credo di avere un vecchio scialle, bruttino e che ha un buco. Poi basterà un grosso fazzoletto e una scopa e il travestimento è fatto. Poi servono i dolci».<br />«Quello non è certo un problema. Domani chiamo la moglie del salsicciaio e le altre amiche della Spiegelgasse. Avrete tutti i dolci che volete», Helga interviene spiccia come al solito.<br />«Mio marito suona la fisarmonica - dice una delle compagne più giovani - sarà felice di venire».<br />Tutte hanno un compito. La riunione sembra finita. Ma Adelaide esclama: «E se la facessimo volare?».</div></div>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-87028483711620765792023-10-10T07:46:00.001+02:002023-10-10T07:47:22.376+02:00Verba volant (847): ruga...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEbO9WkwCxyxD7gMtLHfFhTjhyphenhyphenSrrJD-033btg-F1jcJvYSdIHgSEqZfM6D7mjOZAuDJDQ5bLv7VgivmUaCoJm_GKEx2kcDgsCuJn3FDGbeJ6v-w-HfZL9JC75Es5S5HESNIyI9AWqkeOXUeVbxj6Z4TBP60yoBrF7qUwi6WKMERf631SMCikDmpZUHzfO/s1188/12angry_gip.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="643" data-original-width="1188" height="345" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEbO9WkwCxyxD7gMtLHfFhTjhyphenhyphenSrrJD-033btg-F1jcJvYSdIHgSEqZfM6D7mjOZAuDJDQ5bLv7VgivmUaCoJm_GKEx2kcDgsCuJn3FDGbeJ6v-w-HfZL9JC75Es5S5HESNIyI9AWqkeOXUeVbxj6Z4TBP60yoBrF7qUwi6WKMERf631SMCikDmpZUHzfO/w638-h345/12angry_gip.jpg" width="638" /></a></div>Ruga</b>,<i> sost. f.</i><br /><br /> Joseph Sweeney muore a New York il 25 novembre 1963. Ha già settantanove anni, ma continua a lavorare fino alla fine: proprio quell’anno recita in tre episodi della serie televisiva <i>Car 54, Where Are You?</i>, interpretando ogni volta un personaggio diverso, e in un episodio di <i>Dr. Kildare</i>. D’altra parte quando i registi hanno bisogno di un vecchio dall’aria sveglia pensano immediatamente a lui. Il suo volto solcato dalle rughe con i radi capelli bianchi è ormai diventato familiare per il pubblico televisivo. La fortuna di Joseph è stata la televisione, ma come tutti quelli della sua generazione - è nato a Philadelphia il 26 luglio 1884 - comincia la sua carriera a teatro.<br />Da ragazzo condivide il sogno di recitare con un suo amico, William, che ha solo quattro anni più di lui e vive al piano di sotto. Anche se i genitori di Joseph si lamentano di quel vicino perché si esercita di continuo a fare il giocoliere: non reggono più il rumore delle palline che cadono a terra, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Quel ragazzo nel 1894 lascia Philadelphia, lavora per un breve periodo in un teatro all’aperto a Plymouth Park e finalmente quattro anni dopo debutta nei locali di New York, dove si esibisce come giocoliere e comico con il nome di W.C. Fields. È una delle star delle Ziegfeld Follies e in pochi anni il suo naso rosso e le sue irriverenti battute diventeranno famose in tutta l’America. Nel 1935 ottiene la parte di Wilkins Micawber in una fortunata edizione cinematografica di <i>David Copperfiled</i>. Quel ragazzo che voleva diventare un giocoliere ce l’ha fatta, ma nel 1946 muore per una grave emorragia gastrica. E per ironia della sorte proprio il giorno di Natale, una festa spesso oggetto delle sue scandalose battute.<br />Joseph lascia Philly nel 1910 e arriva a New York. Dopo molte audizioni e qualche piccola parte negli spettacoli di vaudeville, finalmente debutta a Broadway e riesce a fare una bella carriera. Non è mai il protagonista, ma dal 1919 al 1939 recita in ben diciannove produzioni. Per lo più è il “cattivo”, un ruolo che, dopo qualche dubbio iniziale, comincia davvero a piacergli: “Mi sono accorto - dice in un’intervista del 1928 - che quando faccio il cattivo il pubblico mi ascolta quando parlo”.<br />Alla fine degli anni Trenta, quando le possibilità per lui a teatro cominciano a diminuire, tenta, come tanti suoi colleghi, la strada di Hollywood. È un maggiordomo in <i>Scandalo a Philadelphia</i>, il grande successo del 1940 con Katharine Hepburn, Cary Grant e James Stewart, anche se non è accreditato nei titoli. Sono anni difficili, non ci sono parti per lui, sembra che il sogno di Joseph sia destinato a frantumarsi, ma per fortuna alla fine degli Quaranta arriva la televisione. Joseph ha già sessantacinque anni e i capelli bianchi: comincia a interpretare la parte del nonno, del vecchio testimone, dell’anziano droghiere e così via. Ha salvato la pensione, non sarà costretto a tornare con la coda tra le gambe a Philadelphia, anche se la sua carriera sembra ormai arrivata al capolinea, destinata a spegnersi lentamente, tra una puntata e l’altra di qualche telefilm.<br />Poi arrivano gli anni Cinquanta e in maniera assolutamente imprevedibile Joseph si trova a recitare in due lavori che segnano una delle migliori stagioni dello spettacolo degli Stati Uniti, in un momento in cui Broadway e Hollywood cercano di resistere agli attacchi della “caccia alle streghe”.<br /><br /><div>Il 22 gennaio 1953 debutta al Martin Beck Theatre il nuovo dramma scritto da Arthur Miller. C’è una grande attesa tra il pubblico e gli addetti ai lavori, visto il successo di <i>Erano tutti miei figli</i> del 1957 e soprattutto di <i>Morte di un commesso viaggiatore</i> del 1949. Sono gli anni più duri del maccartismo e nell’aprile del 1952 Miller si trasferisce alcune settimane a Salem, nel Massachussetts, per studiare i documenti conservati nell’archivio della città relativi ai processi svolti tra il 1692 e il 1693 che avevano portato all’impiccagione di diciannove persone accusate di stregoneria e all’uccisione per schiacciamento di un ventesimo imputato che si era rifiutato di testimoniare.<br />Agli spettatori del Martin Beck Theatre è ben chiaro che Miller quando descrive il fanatismo che porta i “bravi” cittadini di Salem a uccidere tante persone con false accuse di stregoneria racconta l’America dei suoi tempi, in cui alcuni, per aumentare il proprio potere, sfruttando una furia irrazionale contro il pericolo comunista, alimentano paura e fanatismo. Si cercano dei colpevoli e, quando non si trovano, si inventano, piegando i meccanismi della giustizia ai propri interessi. Sottoposti a tortura, praticamente tutti gli imputati dei processi di Salem confessano di praticare la stregoneria, pur di fermare quei terribili supplizi. Come le persone condotte davanti alla Commissione per le attività antiamericane finiscono per confessare e denunciare altre persone sotto la pressione di minacce e durissimi condizionamenti psicologici.<br />Durante i processi di Salem il contadino Giles Corey è l’unico che si rifiuta di testimoniare al processo. Per tre giorni viene tenuto nudo in una fossa, sopra di lui vengono sistemati un’asse di legno e, uno dopo l’altro, massi sempre più pesanti, sperando che ceda e confessi. Ma Giles resiste, quando il giudice gli chiede se vuole confessare, lui si limita a sibilare: “Peso”. Finché quei sassi non gli provocano lo scoppio del torace.<br />I critici dei quotidiani più importanti di New York e molti degli spettatori non apprezzano quella decisa presa di posizione politica di Miller, che mette l’America sul banco degli imputati. Ma <i>The Crucible</i> - in italiano <i>Il crogiolo</i>, Luchino Visconti lo traduce e lo mette in scena in Italia appena due anni dopo - pur rimanendo in cartellone solo per centonovantasette repliche, diventa una bandiera per l’America che resiste. L’anno successivo ottiene il Tony come miglior opera in prosa.<br />A interpretare il vecchio Giles Corey viene richiamato proprio Joseph Sweeney. Si tratta di una piccola parte, ma è quella che consacra la sua carriera a Broadway.<br /><br />Nel 1954 per la settima stagione della fortunata serie antologica <i>Westinghouse Studio One</i> della CBS lo sceneggiatore Reginald Rose decide di scrivere un dramma ambientato nella stanza di un tribunale di New York, la seduta in cui dodici giurati vengono chiamati a decidere il verdetto in un caso di omicidio. Sembra un caso facile: le prove e le testimonianze oculari sono tutte lì a confermare che quel ragazzo abbia ucciso suo padre. Probabilmente basteranno solo pochi minuti alla giuria per deliberare. Si fa un primo giro di votazioni: undici giurati votano per la colpevolezza, solo il giurato n. 8 è contrario e chiede di esaminare ancora le prove. Comincia una discussione estenuante, durante la quale emergono le differenze tra quei dodici giurati, apparentemente un blocco monolitico di maschi bianchi. E vengono fuori anche pregiudizi e drammi: alla fine quelle prove che sembravano così solide si rivelano inconsistenti. Incriminare il figlio è stata la soluzione più semplice, legata a idee preconcette da parte degli inquirenti. Nell’ultima votazione il verdetto è finalmente unanime: dodici “non colpevole”.<br />Anche <i>Twelve Angry Men</i> - come<i> The Crucible</i> - è un testo che prende posizione, che invita gli spettatori a riflettere sui pericoli che corre la società quando la paura e il pregiudizio hanno la meglio sul buon senso. E sui pericoli di un sistema giudiziario apparentemente equo, in cui se sei povero, immigrato e fai parte di una minoranza rischi la vita, perché non ti giudicherà una giuria di tuoi “pari”.<br />Lo spettacolo va in scena negli studi della CBS di New York il 20 settembre 1954 e trasmesso in diretta sulla costa orientale, mentre viene registrato in cinescopio per essere ritrasmesso sulla costa occidentale. La regia è affidata a Franklin J. Schaffner, che nel 1971 vincerà l’Oscar per <i>Patton </i>e avrà un grande successo con <i>Papillon </i>e <i>I ragazzi venuti dal Brasile</i>. Nel cast il nome più noto è quello di Robert Cummings nel ruolo del giurato n. 8; Cummings è inizialmente noto per i suoi ruoli nelle commedie brillanti, anche se Alfred Hitchcock lo fa diventare un attore drammatico.<br />La trasmissione è un successo: vincono l’Emmy Rose, Schaffner e Cummings.<br />Il giurato n. 9 è il più vecchio tra i componenti della giuria, giudicato con sufficienza dai più giovani giurati. Ma è lui che, inaspettatamente vota “non colpevole” durante la seconda votazione, permettendo di rimettere tutto in discussione. Serve un attore di esperienza e Joseph Sweeney ha la faccia giusta per il ruolo.<br />Tre anni dopo Henry Fonda decide di portare quel testo sul grande schermo. Non è solo uno degli attori più popolari di Hollywood, è anche un convinto sostenitore dei diritti civili e quel testo gli sembra perfetto. Coinvolge da subito Reginald Rose e i due decidono di produrre il film. Chiamano a dirigere il film l’esordiente Sidney Lumet, un giovane regista che fino a quel momento ha lavorato solo in televisione, tra l’altro in alcuni drammi della serie <i>Studio One</i>.<br />Fonda riesce a convincere altri grandi nomi a partecipare a quell’impresa. Il giurato n. 3 è Lee J. Cobb, che è stato il protagonista a teatro di <i>Morte di un commesso viaggiatore</i>. Cobb ha conosciuto bene la “caccia alle streghe”: accusato di essere un membro del Partito comunista, resiste due anni senza fare nomi davanti alla Commissione, poi, come altri, non riuscendo più a lavorare, cede e viene costretto a denunciare altri suoi compagni. E.G. Marshall è il giurato n. 4, nel 1953 è il protagonista del dramma di Miller, nel ruolo del reverendo Hale. E poi ci sono Jack Warden, Martin Balsam, Ed Begley.<br />Del cast della produzione televisiva vengono chiamati George Voskovec, il giurato n. 11, il cortese orologiaio che viene dall’Europa e che mostra una forse eccessiva ammirazione per il sistema giudiziario americano, e naturalmente Joseph. E la sua interpretazione non sfigura tra quei giganti del cinema. Joseph è semplicemente perfetto e quel ruolo è destinato a consegnarlo nella storia del cinema. Meritatamente.</div>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-20315044582884307652023-09-25T08:02:00.004+02:002023-09-25T08:02:50.897+02:00Verba volant (846): nano...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6s8K4NXUharh2rbH_6CjjvY9DN0zSb-ZBVMnZfKs7xi9AyHn8xxlWoh7ElrFDsDeIkwc6sES3_LLV_gEzwf7exxGzjb65NuRDk1OMxnSjnHFpaFVNNpDxQKP48BSbLqmvpOzQ_hSazXnv02ERbQim7d9xjSbOSEp5U82ZIj0wggEzHEYsWohVTl11MxpR/s900/Dwarfs-1.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="734" data-original-width="900" height="516" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6s8K4NXUharh2rbH_6CjjvY9DN0zSb-ZBVMnZfKs7xi9AyHn8xxlWoh7ElrFDsDeIkwc6sES3_LLV_gEzwf7exxGzjb65NuRDk1OMxnSjnHFpaFVNNpDxQKP48BSbLqmvpOzQ_hSazXnv02ERbQim7d9xjSbOSEp5U82ZIj0wggEzHEYsWohVTl11MxpR/w633-h516/Dwarfs-1.jpg" width="633" /></a></div>Nano</b>,<i> sost. m.</i><br /><br /> Forse qualcuno, prima o poi, farà un film sulla vita del giovane Joseph Henry Rosenberg. Nasce in un villaggio dell’Ungheria nel 1881 da una famiglia di origini ebraiche. Quando ha sei anni i suoi genitori emigrano negli Stati Uniti e si stabiliscono a Cleveland. Joseph è uno studente brillante e nel 1903 si laurea in ingegneria a Yale. Il giovane ingegnere si trasferisce in Messico dove lavora per un’azienda che sta costruendo una ferrovia. Quando questa fallisce Joseph si trasferisce in Arizona e lavora nel settore del legname. Sente che in Nevada stanno cercando degli ingegneri per le miniere d’oro. Prende un cavallo e viaggia da solo attraverso il West, per due settimane, fino a Goldfield in Nevada: una tribù indiana gli fa guadare in maniera piuttosto avventurosa il fiume Colorado. Ma non è destino che faccia l’ingegnere. Nel 1910 viene assunto dalla Arizona Central Bank: serve un tecnico per capire se la banca può permettersi di prestare soldi a quegli avventurieri. Sedici anni dopo si trasferisce a Los Angeles per lavorare nel settore prestiti della Los Angeles Merchants Bank e quando questa viene assorbita dalla Bank of America, Joseph ne diventa vicepresidente.<br />Negli anni Trenta le banche pensano sia un rischio troppo alto fare prestiti a quei matti che fanno il cinematografo. Rosenberg non è d’accordo e convince gli azionisti a investire in questo nuovo settore e così questo ingegnere nato nella vecchia Europa, al tempo di Francesco Giuseppe, diventa uno degli uomini più potenti di Hollywood: tocca a lui, e solo a lui, approvare i prestiti necessari ai produttori per realizzare un film.<br />Nel 1936 Walt Disney ha già speso 1,25 milioni di dollari per realizzare <i>Biancaneve e i sette nani</i>. A Hollywood tutti pensano che fallirà, chiamano quel progetto “Disney’s Folly”. Suo fratello Roy è preoccupato: il sogno di Walt di realizzare il primo film a cartoni animati della storia rischia di far fallire il loro studio. E anche sua moglie Lillian non sa cosa pensare quando Walt le chiede di mettere un’ipoteca sulla loro casa per ottenere ancora un po’ di soldi. Hanno bisogno di 250mila dollari per finire il lavoro e solo Rosenberg glieli può dare. Viene organizzata una proiezione con quello che è pronto. L’austero banchiere ebreo, che non è sposato e non ha figli, che sembra vivere solo per gli affari, rimane impassibile per tutto il film. Disney è tesissimo. Alla fine Rosenberg si alza e, senza un sorriso, dice: “Walt, questa cosa farà un sacco di soldi”. Il prestito è approvato: è così che Joseph Rosenberge ha salvato Biancaneve.<br /><br />All’inizio degli anni Trenta Walt Disney - nato a Chicago nel 1901 - è già famoso: ha creato Mickey Mouse e i suoi cartoni, intitolati <i>Silly Symphony</i>, sono distribuiti nei cinema di tutto il mondo. Ma Walt ha l’ambizione di fare qualcosa di più, dei veri e propri lungometraggi a cartoni animati, con trame complesse e personaggi sviluppati. Nel 1933 Mary Pickford gli propone il progetto di adattare per lo schermo <i>Alice’s Adventures in Wonderland</i>. Walt ha cominciato a Kansas City proprio con Alice, con dei brevi cartoni animati in cui una bambina in carne e ossa che interpreta il personaggio creato da Lewis Carroll interagisce con personaggi animati. La quarantenne attrice canadese, con i suoi riccioli biondi, sogna di essere Alice: potrebbe essere un progetto vantaggioso per entrambi. Ma proprio quell’anno la Paramount esce nelle sale con <i>Alice in Wonderland</i>, in cui sono impegnati tutti i suoi migliori attori, tra cui i giovani Cary Grant e Gary Cooper.<br />Walt pensa a una versione a cartoni animati di<i> Rip van Winkle</i>, il classico di Washington Irving: potrebbe essere un live action con il popolarissimo Will Rogers nel ruolo del protagonista. Ma anche in questo caso la Paramount ha già acquisito i diritti. Walt pensa che potrebbe funzionare una versione a cartoni animati dell’operetta di Victor Herber <i>Babes in Toyland</i>, ma arriva prima Hal Roach che nel 1934 realizza un film con Stan Laurel e Oliver Hardy, e la giovane Charlotte Henry, che l’anno prima è stata Alice nel film della Paramount.<br />A questo punto Walt decide che il suo primo film a cartoni animati, tutto a cartoni animati, sarà dedicato a Biancaneve. Aveva quindici anni e vendeva i giornali per strada quando è uscito il film con Marguerite Clark, lo ha visto in un cinema di Kansas City. Nel giugno del 1934 annuncia in un’intervista al <i>New York Times</i> che, vent’anni dopo quel mitico film, farà il suo <i>Biancaneve</i>, un film destinato a entrare nella storia.<br />Nell’agosto del 1934 Walt affida allo sceneggiatore Richard Creedon - nato anche lui a Chicago, ma cinque anni prima di Disney - l’incarico di preparare una prima bozza di soggetto su cui lavorare, suggerendogli di valorizzare, molto di più che nella fiaba dei Grimm e nella sceneggiatura di Winthrop Ames, i personaggi dei sette nani, che dovranno avere ognuno una propria individualità. Ed anche dei nomi. Su quel soggetto di ventun pagine, intitolato semplicemente <i>Snowwhite Suggestions</i>, Disney convoca in ottobre tre riunioni a cui partecipano, oltre a lui, Creedon, il paroliere Larry Morey - nato a Los Angeles nel 1905 - il disegnatore Albert Hurter - nato in Svizzera nel 1883 è il più vecchio del gruppo - l’animatore Ted Sears - nato nel 1900 nel Massachusetts - lo sceneggiatore e attore Pinto Colvig - nato in Oregon nel 1892.<br />Per quel film Larry scriverà i testi di <i>One Song, With a Smile and a Song, Whistle While Your Work, Heigh-Ho, Someday My Prince Will Come</i>, canzoni destinate a entrare nella storia. E il film otterrà una sola nomination all’Oscar proprio grazie alla colonna sonora (per la cronaca ha vinto in questa categoria <i>Cento uomini e una ragazza</i>, un film dimenticato). Albert dovrà dare il proprio benestare a ogni creazione dei disegnatori. Ted coordinerà il lavoro degli animatori. Pinto, oltre a inventare molte gag, sarà la voce di Brontolo e Pisolo.<br />Nel corso dei mesi successivi Disney mette a lavorare al film tutti i suoi migliori collaboratori. Sono sette i registi accreditati, coordinati da David Hand - nato in Oregon nel 1900 - otto nella squadra di sceneggiatori e oltre quaranta tra disegnatori e animatori. Ma l’ultima parola su ogni decisione spetta a Walt, che può, a buon diritto, essere considerato l’autore del film.<br /><br />Finalmente il 21 dicembre 1937 viene organizzata una grande anteprima al Carthay Circle Theatre di Los Angeles. In platea ci sono quelli che hanno sghignazzato alle spalle del folle sogno di Walt e un gran numero di celebrità. Ci sono Shirley Temple e Judy Garland, Ginger Rogers e Charlie Chaplin, Mary Pickford e Marlene Dietrich, John Barrymore e Carole Lombard, Clark Gable e Douglas Fairbanks Jr., e molti altri. Al termine del film si alzano tutti in piedi tributando un lunghissimo applauso. Il 27 dicembre sulla copertina di <i>Time </i>c’è Walt Disney che, alla scrivania, gioca con i suoi sette piccoli protagonisti.<br />Dopo altre due anteprime, una al Radio City Music Hall di New York e l’altra a Miami, il film viene distribuito nelle sale il 4 febbraio dell’anno successivo. È un successo incredibile: il film incassa 4,2 milioni solo negli Stati Uniti e in Canada durante la prima uscita, più del doppio di quello che è costato. Joseph Rosenberg ha avuto ragione.<br />Ed è immediatamente un successo anche in Europa. Esce il 12 marzo di quell’anno nel Regno Unito e il 4 maggio in Francia. Il 2 giugno esce in Cina. L’8 dicembre 1938 è anche nei cinema italiani, dopo l’anteprima il 24 agosto alla 6ª Esposizione Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, dove vince il Grande trofeo d’arte della Biennale. Tra i paesi europei, manca solo la Germania nazista; solo nel 1950 il film sarà distribuito nella Germania Ovest. Mentre per la distribuzione in Unione Sovietica bisognerà aspettare il 1955, quando comincia, per volere di Khrushchev, la destalinizzazione.<br /><br />I primi abbozzi del personaggio non soddisfano Walt: quei disegni ricordano troppo i personaggi dei fumetti. In una delle proposte Biancaneve somiglia addirittura a Betty Boop. E questo al conservatore Disney non va assolutamente bene: la licenziosa Betty non è certo un modello per le famiglie americane.<br />Walt affida la supervisione di Biancaneve a Hamilton Luske - nato a Chicago nel 1903 - con la precisa indicazione di creare un personaggio dai tratti umani, più realistico di qualsiasi altro mai uscito dalle penne dello studio. Hamilton e al suo collaboratore Les Clark hanno lavorato nel 1934 al cartone <i>The Goddess of Spring</i>, una sorta di versione a cartoni animati del mito di Persefone. Loro due hanno creato proprio questo personaggio che è in qualche modo il modello della Biancaneve che vuole Disney. Persefone però è ancora un personaggio animato e quindi Hamilton gira le scene in cui è impegnata Biancaneve con una giovane modella, Marge Belcher, e quei filmati vengono copiati dagli animatori. In questo modo i movimenti del personaggio diventano assolutamente naturali, perché Biancaneve si muove proprio come Marge.<br />Marge nasce a Los Angeles nel 1919. Il padre, Ernest, è un coreografo che lavora per gli studi, ma soprattutto è uno di quelli che insegna a ballare alle star. Shirley Temple, Joan Crawford, Fay Wray, Betty Grable e Cyd Charisse sono alcune tra le allieve della sua lunga carriera. E naturalmente insegna anche alle sue due figlie. Marge è quella più portata. Si esibisce, ma soprattutto anche lei comincia a insegnare nella scuola del padre. Quando alla Disney serve una giovane ballerina che possa essere la modella per Biancaneve, quella sedicenne che ha già una grande esperienza è la scelta naturale. Per Disney sarà anche la modella della Fata Turchina e della vezzosa “ippopotama”, che è la protagonista della <i>Danza delle ore</i> in <i>Fantasia</i>. Di questa celeberrima scena Marge cura anche la coreografia. Alla Disney Marge conosce anche il suo primo marito, l’animatore Art Babbit, che è nella squadra che lavora sulla Regina cattiva.<br />Il matrimonio dura tre anni e Marge sposa il ballerino Gower Champion. E da quel momento diventa Marge Champion. I due sono sotto contratto per la MGM che cerca di farne i nuovi Ginger e Fred. Ovviamente è impossibile ripetere l’incredibile successo di quella straordinaria coppia di ballerini, ma Marge e Gower riescono a ritagliarsi un loro spazio nei musical degli anni Cinquanta. Marge, oltre a recitare, non smette di insegnare a ballare e di preparare coreografie sia per il cinema che per la televisione. Fa anche qualche apparizione a Broadway, ma anche a teatro il suo impegno è per lo più dietro le quinte: nel 1964 è la consulente per i numeri di danza di <i>Hello Dolly!</i><br />Rimane una leggenda dello spettacolo americano. Nel 1984 fa la sua ultima apparizione in televisione: in una puntata di<i> Saranno famosi </i>è l’insegnante di danza classica della scuola che non fa ballare un’allieva solo perché, essendo nera, non la ritiene adatta alla danza classica, scatenando le proteste degli studenti e della professoressa Grant. Nel 2001, a ottant’anni, torna a Broadway: è Emily Whitman in un fortunato revival di <i>Folies </i>di Stephen Sondheim. La sua parte è quella di una ex ballerina delle Weismann Follies, sposata con Theodore e co-proprietaria con il marito di una scuola di danza. Quando canta <i>Rain on the Roof </i>ha ancora lo smagliante sorriso di Biancaneve.<br />Perché Hamilton Luske disegna Biancaneve anche un po’ con i tratti di quella giovane ballerina. E disegnare il viso di questo personaggio non è affatto facile, perché Biancaneve non deve solo essere bella, deve essere la più bella del reame. E Hollywood è un regno dove ci sono moltissime splendide regine. Biancaneve è un po’ Mary Pickford, la fidanzata d’America, che ormai ha abbandonato le scene e si avvia a un lungo e inesorabile declino. È un po’ Constance Bennett, una delle pochissime dive del muto che è riuscita a passare al sonoro. È un po’ Janet Gaynor, la prima attrice a vincere l’Oscar nel 1929 e nel 1937 protagonista di <i>È nata una stella</i>. Certo Biancaneve somiglia in qualcosa a tutte queste grandi regine del cinema, ma quello che ha reso immortale questo personaggio è che Biancaneve è solo Biancaneve. Ed è viva. Non credo sia un caso che proprio lei sia stata il primo personaggio a cartoni animati a ricevere una stella sulla Hollywood Walk of Fame, perché Biancaneve non è affatto un personaggio di fantasia.<br />Naturalmente Biancaneve deve avere anche una bella voce e saper cantare come un usignolo e questo si rivela una ricerca più ardua del previsto. Vengono fatti più di centocinquanta provini, ma nessuna riesce a convincere quelli della Disney e soprattutto Walt. Un giorno un assistente dello studio chiama al telefono un suo vecchio amico, il professore di canto Guido Caselotti. Guido è originario di Udine, ma si è trasferito da ragazzo negli Stati Uniti. È conosciuto non solo come organista e maestro di musica, ma anche perché è il marito di Maria Giuseppina Orefice, che in Italia è nota come soprano. L’assistente di Disney chiede a Guido se conosce qualche ragazza che abbia una bella voce e sappia cantare. La figlia più piccola di Guido, la diciannove Adriana, ascolta la telefonata da un altro apparecchio e comincia a cantare. Il padre si arrabbia, ma l’uomo di Disney dice che va bene, viene organizzato un provino con Walt e Adriana diventa la voce di Biancaneve.<br />È nata a Bridgeport nel Connecticut, ma dai sette ai dieci anni vive in Italia, perché la madre lavora per il Teatro Reale dell’Opera di Roma. Anche sua sorella maggiore Louise è una cantante e un’insegnante: una decina d’anni dopo il film insegnerà a una giovane cantante d’opera greca, tal Maria Callas.<br />Adriana riceve 970 dollari per doppiare Biancaneve. Il suo nome non compare nei titoli e Walt le impedisce di partecipare a programmi radiofonici, perché solo Biancaneve deve avere quella voce. E quello è stato il ruolo della vita: Adriana ha continuato a cantare le canzoni del film in spot promozionali del film, in speciali televisivi - il giorno del Ringraziamento del 1972 ha cantato con Julie Andrews - per le mostre su Biancaneve realizzate nei parchi creati dalla Disney. Adriana Caselotti si è ampiamente meritata il suo posto nelle Disney Legends.<br /><br />Immagino che potrei stare qui a raccontarvi storie su Biancaneve ancora per parecchio tempo. Potrei raccontarvi di JoAnn Dean Killingsworth, la giovane ballerina e pattinatrice che il 17 luglio 1955 è stata Biancaneve in occasione dell’inaugurazione di Disneyland. È la prima volta che una persona in carne e ossa indossa il vestito di Biancaneve e per JoAnn sarà anche l’ultima: quello è un lavoro che è durato un solo giorno, eppure è stato il più importante della sua carriera.<br />Oppure potrei raccontarvi delle voci italiane di Biancaneve, perché nella prima edizione quando parla la voce è quella di Rosetta Calavetta, mentre quando canta è quella di Lina Pagliughi.<br />Rosetta è una regina del doppiaggio italiano. La sua voce, oltre alla mora Biancaneve, è quella di alcune bellissime bionde del cinema: Lana Turner, Marilyn Monroe, Doris Day, Veronica Lake, Kim Novak, Janet Leigh. Ma anche quella della terribile Crudelia De Mon.<br />Curiosamente Lina è un’italoamericana - nasce a New York, ma sua madre è di Albareto - che fa fortuna in Italia. Arriva a Milano per perfezionare gli studi di canto lirico e non tornerà più n America. Nel 1927 debutta ventenne come Gilda al Teatro Nazionale di Milano. Si rifiuta di prendere l’aereo e quindi per le tournée all’estero deve usare la nave. Per questo si esibisce prevalentemente in Italia, prima nei teatri e poi attraverso l’Eiar. È Mimi, Violetta, Rosina e diventa anche Biancaneve.<br /><br />Ho confessato nella prima puntata di questa serie su Biancaneve che io - come Alvin Singer - preferisco la Regina cattiva. E per questo voglio finire con una storia su di lei. Perché Biancaneve non esisterebbe senza la sua crudele matrigna.<br />Nei primi appunti di Creedon la regina viene definita “grassa e matta”, insomma una sorta di Maga Magò. Ma a Walt questa idea non piace molto, vuole che sia una specie di Lady Macbeth, tanto bella quanto crudele. Probabilmente è stato lo svizzero Albert Hurter a pensare alla statua di Uta von Ballenstedt che si trova nella cattedrale di Naumburg. Uta, moglie del margravio di Meissen, scagionata da un’accusa di stregoneria, la donna più bella del Medioevo, gli è sembrata la perfetta Regina cattiva. E poi con gli occhi di Joan Crawford Grimilde non può che diventare la più letale dark lady della storia del cinema. Non rifiuteremo mai la tua mela. <div><br /></div><div>p.s. per le altre puntate della storia di Biancaneve, potete andare <a href="https://www.allonsanfan.it/2023/09/07/rachel-ziegler-marguerite-clark-biancaneve-cinema/">qui</a> e <a href="https://www.allonsanfan.it/2023/09/14/biancaneve-betty-boop-coal-black-and-de-sebben-dwarfs/">qui</a>.<br /><br /></div>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-74068146028565958522023-09-19T13:14:00.003+02:002023-09-19T13:14:44.511+02:00Verba volant (845): sexy...<div><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRfQMXLUftRh9o7HNTYt1nSiAB2RYPW1gbaxke1Hi-wUZ_CW3lnCwE5f0ba6SABmbVzLCWfVOWd4CS_Jq07mxA2v6aEtZteiSseID-P_7Xi9Ayy6J447bFDkx0YdzPjth8OLQGpn5Uqoe21kf1z4f5iOloX5wYyv59Hf3G540kKH8qyXrrCdG-LQVOTZoG/s1200/BoopSnowy.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="881" data-original-width="1200" height="480" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjRfQMXLUftRh9o7HNTYt1nSiAB2RYPW1gbaxke1Hi-wUZ_CW3lnCwE5f0ba6SABmbVzLCWfVOWd4CS_Jq07mxA2v6aEtZteiSseID-P_7Xi9Ayy6J447bFDkx0YdzPjth8OLQGpn5Uqoe21kf1z4f5iOloX5wYyv59Hf3G540kKH8qyXrrCdG-LQVOTZoG/w653-h480/BoopSnowy.jpg" width="653" /></a></div>Sexy</b>,<i> agg. m. e f.</i></div><div><br /></div>Non conosciamo il nome della prima Biancaneve in carne e ossa del 1902, ma conosciamo bene quello del primo personaggio animato che deve vedersela con una Regina cattiva che, invidiosa della bellezza di quella sua giovane figliastra, cerca di ucciderla.<br />Il 31 marzo 1933 esce nei cinema, prodotto da Max Fleischer e distribuito dalla Paramount, un cartone animato intitolato <i>Snow-White</i> con protagonista nientepopodimeno che Betty Boop.<br />In quei mesi Betty è all’apice del successo. Ha esordito al cinema solo tre anni prima in un cartone animato intitolato <i>Dizzy Dishes</i>: è ancora una barboncina antropomorfa con grandi occhi scuri che indossa un vestito succinto che non riesce a coprirle né le spalle né le lunghissime gambe, tanto che si vede una sensuale giarrettiera. Il successo è immediato e travolgente. In quel cartone Betty fa solo una breve apparizione, non è lei la protagonista, ma la sua prorompente sensualità ruba la scena e in breve diventa una star dell’età del jazz.<br />Betty, con i suoi capelli corti e l’aria sbarazzina, provocante e innocente allo stesso tempo, è la perfetta incarnazione della flapper, della donna del secolo nuovo, indipendente ed emancipata, che mostra con orgoglio la propria bellezza. Nel 1932 perde le ultime caratteristiche animali e diventa a tutti gli effetti una donna, anzi un vero e proprio sex symbol. Non resisterà molto: già nel 1934, con la rigorosa applicazione del Codice Hays e a seguito delle proteste sempre più insistenti dei gruppi conservatori e di quelli religiosi, Betty viene “normalizzata”: diventa una casalinga, con un vestito decisamente più casto che le copre spalle e gambe. E nel 1939 il suo personaggio sarà definitivamente cancellato: Betty Boop o dà scandalo o non è.<br />Ma torniamo a <a href="https://www.dailymotion.com/video/x4wqux2"><i>Snow-White</i></a>. La regina interroga il suo specchio magico per sapere chi sia la più bella del regno e quello, che ha l’inconfondibile voce di Cab Calloway, le risponde che è Betty Boop. Per altro il grande Cab è un “amico” di Betty già dai tempi del cartone <i>Minnie The Moocher</i>, un altro dei grandi successi dei Fleischer Studios.<br />La regina ordina alle sue guardie di decapitare Betty. Ma quelle guardie sono Bimbo e Koko, i due fedeli compagni di avventure della ragazza. In lacrime portano Betty in una foresta, ma proprio quando stanno per sferrare il colpo mortale, distruggono le loro armi. Purtroppo sprofondano nel terreno prima di poterla liberare. Betty riesce comunque a scappare, ma cade in un fiume ghiacciato e rimane rinchiusa in una sorta di teca di ghiaccio. Per fortuna quel blocco arriva fino alla casetta dei sette nani, che lo portano in una grotta incantata, dove trovano Koko e Bimbo. E spariscono. La regina, trasformata in una strega, arriva anche lei nella caverna, trasforma Koko in un fantasma che canta <i>St. James Infirmary Blues</i>, in una delle sequenze più famose del cartone animato.<br />La strega riesce a congelare Betty, Koko e Bimbo, ma quando chiede di nuovo allo specchio chi sia la più bella, questi manda un fumo magico che libera gli amici e trasforma la regina in un drago. Il mostro insegue Betty e i suoi compagni, ma Bimbo gli afferra la lingua e lo mette in fuga. Il cartone finisce con Betty, Koko e Bimbo che ballano in cerchio. E vissero felici e contenti, almeno fino alla prossima avventura.<br />I sette minuti di <i>Show-White</i> sono un capolavoro del cinema di animazione della Golden Age.<br />Anche se è Dave Fleischer a firmarne la regia, l’autore è Roland Crandall, storico animatore dello studio. Ci mette circa sei mesi a realizzare da solo l’intero film. Oltre che aver lavorato alla serie dedicata a Betty, Roland nel 1933 crea, insieme a Seymour Kneitel, Popeye, l’altro grande successo targato Fleischer.<br />La voce di Betty è quella di Mae Questel. Mae è nata a New York nel 1908. La sua famiglia di ebrei ortodossi non approva il desiderio della ragazzina di dedicarsi allo spettacolo, ma Mae è bravissima a fare le imitazioni, a diciassette anni vince un concorso per giovani talenti che le permette di lavorare in tanti locali della città. Una delle sue imitazioni più riuscite è quella della cantante Helen Kane e quando Fleischer, che ha creato Betty Boop basandosi proprio su Helen, ascolta Mae, la ingaggia per doppiarla.<br />Per Betty Mae non si limita a imitare la voce infantile e un po’ chioccia di Helen, ma aggiunge una sensualità che richiama il fascino di Clara Bow, un’altra delle icone dell’età del jazz.<br />Quella voce così caratteristica, dal 1931, contribuisce a creare il successo di Betty Boop. E quando nel 1988 Betty farà un’apparizione in <i>Chi ha incastrato Roger Rabbit </i>sarà ancora Mae, ottantenne, a dare la voce al “suo” personaggio.<br />Per Fleischer Mae è anche la voce di Olivia. Almeno fino a quando gli studi sono al 1600 di Broadway. Quando nel 1938 Fleischer decide di spostarsi a Miami, questa figlia di New York non vuole trasferirsi e il lavoro passa a Marge Hines, che ha doppiato Betty Boop in <i>Dizzy Dishes</i> e nei primi cartoni della serie.<br />Un altro che fatica a staccarsi da New York è Woody Allen che vuole sia Mae a cantare<i> Chameleon Days</i> in <i>Zelig </i>e a interpretare sua madre nell’episodio <i>Edipo relitto</i> in <i>New York Stories</i>.<br /><br />Dieci anni dopo - e soprattutto sei anni dopo quella, castigatissima, di Disney - arriva nei cinema una Biancaneve ancora più sexy di Betty Boop. Ed è nera.<br />Negli anni Quaranta Robert Clampett, nato a San Diego nel 1913, è uno degli animatori e registi che realizzano per la Warner i cartoni animati delle due fortunate serie<i> Looney Tunes</i> e <i>Merrie Melodies</i>. Robert ama il jazz e una sera del 1941, dopo aver visto una replica della rivista di Duke Ellington <i>Jump for Joy</i>, si ferma a parlare con il Duca e gli altri interpreti dello spettacolo. Tutti gli chiedono di realizzare un cartone animato con neri come protagonisti. Al cinema sono già usciti film con soli interpreti di colore, come <i>Cabin in the Sky</i> e <i>Stormy Weather</i>, perché non può esserci anche un cartone animato “nero”?<br />Quella sera nasce l’idea di una parodia del più celebre cartone animato della storia del cinema, l’incredibile successo di Walt Disney del 1937, premiato dall’Academy con un Oscar speciale in cui la statuetta è attorniata da sette piccoli “oscar”.<br />Robert e tutti i suoi collaboratori passano diverse sere al Club Alabam, il locale sulla Central Avenue, che è il cuore della musica nera a Los Angeles.<br />Il 16 gennaio 1943 esce nei cinema <a href="https://www.dailymotion.com/video/x7ye2uh"><i>Coal Black and de Sebben Dwarfs</i></a>.<br />C’è questa regina, una grossa matrona nera che vive in un castello. È molto ricca, la sua stanza è piena di ogni ben di dio: oro, ma soprattutto pneumatici, zucchero, caffè, gin. Siamo durante la seconda guerra mondiale e quindi è facile capire che la regina è diventata ricca con la borsa nera. La regina ha tutto, ma vuole un principe. Così lo chiede al suo specchio magico. E in un baleno, a bordo di una macchina di lusso, arriva il principe Chawmin’, che sfodera un sorriso dove brilla una splendente dentatura d’oro, ne mancano solo due, ma sono sostituiti da dadi. L’attenzione del principe però si concentra sulla giovane cameriera, che si chiama So White, e subito perde la testa. Effettivamente So White è splendida, ha due grandi occhi neri, le curve nei punti giusti e due lunghissime gambe. Indossa una paio di hot pants e una camiciola che non lasciano molto spazio alla fantasia.<br />Il principe e So White cominciano a ballare, scatenando l’odio della regina, che chiama al telefono la Murder Incorporated, con l’ordine di eliminare la ragazza. I killer arrivano a bordo del loro furgone, su cui è impresso il loro tariffario: ” chiunque per un dollaro, e la tariffa si dimezza per un nano. Ma sono patriottici - in fondo c’è la guerra - e quindi l’elenco si conclude con. “Japs: free”.<br />I killer rapiscono So White, ma la liberano al limite di un bosco. Quando la ragazza esce dal furgone i sicari appaiono molto soddisfatti: le impronte di rossetto sulle loro faccia fanno capire come So White li abbia convinti a liberarla. Nel bosco la ragazza incontra i sette nani, sette piccoli e maldestri soldati che “arruolano” immediatamente So White come vivandiera del loro piccolo reggimento.<br />La regina medita vendetta. Indossato un grande naso che la fa assomigliare a Jimmy Durante, si traveste da venditrice ambulante e raggiunge l’accampamento dei sette nani. So White mangia la mela e cade a terra. I nani si accorgono di quello che è successo, si vendicano della regina, ma non riescono a svegliare la loro amica. Pensano che l’unica soluzione sia chiamare il principe Chawmin’, che bacia So White, ma non succede nulla, la ribacia, e ancora e ancora, fino a perdere il fiato e a invecchiare prematuramente. A questo punto Dopey, il più giovane dei nani – l’equivalente di Cucciolo – stampa un bacio in bocca a So White e la ragazza si sveglia. Il principe gli chiede come abbia fatto. “Segreto militare”, risponde il nano soddisfatto.<br />Per realizzare il progetto, oltre alla sua squadra di animatori, Clampett coinvolge alcuni artisti neri. La voce di So White è quella di Vivian Dandridge, la sorella maggiore di Dorothy. Mentre Ruby Dandridge, loro madre e un’attrice già nota a Hollywood, è la regina. Ma per le voci di tutti i sette nani si affida al grande Mel Blanc, la voce di Bugs Bunny, Duffy Duck, Porky Pig, Silvestro e Titti, Beep Beep e Wile E. Coyote, e praticamente di tutti gli altri personaggi dei cartoni animati della Warner.<br />Il cartone animato riscuote immediatamente un grande successo, incontrando sia il favore del pubblico che quello della critica. Ma già qualche mese dopo la National Association for the Advancement of Colored People chiede alla Warner di ritirare il cartone animato.<br />Presto la casa di produzione accetta di ritirare dai cinema il cartone animato, come altri dieci che hanno caratteristiche simili. Sono i cosiddetti Censored Eleven, undici cartoni animati della stagione d’oro della Warner, che non verranno più trasmessi neppure in televisione, se non in programmi che ne stigmatizzano il razzismo.<br />Ed effettivamente <i>Coal Black and de Sebben Dwarfs</i> è un campionario di tutti gli stereotipi con cui la cultura di massa americana ha presentato i neri per decenni. Sorridiamo di fronte a quelle gag, ma ci arrabbiamo perché la nostra sensibilità ormai non è più disposta a tollerare una comicità del genere. Certo Robert Camplett non è razzista, ma proprio questo ci rende ancora più arrabbiati, se un artista come lui ha potuto scrivere uno spettacolo del genere. E ci fa pensare che questo modo di raccontare i neri è stato interiorizzato anche dagli stessi americani di colore, che pure hanno partecipato alla realizzazione del cartone animato. E probabilmente hanno riso di fronte a quelle battute così offensive.<br />Certo la società è molto cambiata da allora, ma le polemiche che sono seguite alla scelta di affidare a Rachel Zegler la parte di Biancaneve ci dice che il cammino è ancora in salita (continua, la prima parte della serie su Biancaneve è <a href="https://www.allonsanfan.it/2023/09/07/rachel-ziegler-marguerite-clark-biancaneve-cinema/">qui</a>)<br />Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-75692541345879186082023-09-12T18:27:00.005+02:002023-09-12T18:27:37.465+02:00Verba volant (844): fiaba...<div class="separator" style="clear: both; font-weight: bold; text-align: left;"><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxYmqrIexQeeCHgD9kWMUs8dnq3JW2g--NK5pqRHMAE1v83uoZOBGRJr_nERQ7J_yiMQGyK35J8xIo58LZpagBgL3RpkyZhfvNJStAqt5CbDgns17JZLJlbovB6lld9IebrfYVqmf23ClUFYdm_5CS4mhTvk4t0u2IN45r6jNlZkaGhOUzXKM-VIP7KAt1/s1125/572d70a66b22b4f7d7fd10ad465523ac--queen-art-fairytale-fantasies.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1125" data-original-width="736" height="939" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxYmqrIexQeeCHgD9kWMUs8dnq3JW2g--NK5pqRHMAE1v83uoZOBGRJr_nERQ7J_yiMQGyK35J8xIo58LZpagBgL3RpkyZhfvNJStAqt5CbDgns17JZLJlbovB6lld9IebrfYVqmf23ClUFYdm_5CS4mhTvk4t0u2IN45r6jNlZkaGhOUzXKM-VIP7KAt1/w613-h939/572d70a66b22b4f7d7fd10ad465523ac--queen-art-fairytale-fantasies.jpg" width="613" /></a></div>Fiaba, <i>sost. f.</i></div><br /> Rachel Zegler è la Biancaneve degli anni Venti del XXI secolo. Una Biancaneve scandalosa per alcuni, visto che la pelle di questa splendida ragazza nata nel 2001 nel New Jersey, di origini colombiane e polacche - anche se le prime sono decisamente prevalenti - non è proprio candida come la neve. Tanto che Steven Spielberg l’ha voluta come Maria nella sua versione di <i>West Side Story</i>. Ma la storia di questa ragazza è un classico - un archetipo, direbbe Bettelheim - e quindi sappiamo che Rachel non sarà l’ultima: ogni epoca avrà la sua Biancaneve. E sappiamo anche che questa nuova Biancaneve non avrà bisogno di un principe per salvarsi.<br /><br />Purtroppo non conosciamo il nome della prima Biancaneve del cinema. Di quel <i>Snow White</i> del 1902 non sappiamo nulla, se non il titolo registrato dalla Lubin Manufacturing Company. Questa casa di produzione è stata fondata a Philadelphia proprio quell’anno da Siegmund Lubin, nato a Breslavia nel 1851 ed emigrato nel 1876 negli Stati Uniti. È un optometrista che, affascinato dal lavoro di Edison, diventa uno dei pionieri del cinema. Sono più di mille i film realizzati nello studio chiamato Lubinville, ma sono andati quasi tutti perduti. Nel giugno 1914 un incendio ha distrutto studio e negativi e tre anni dopo la casa di produzione è fallita, costringendo Siegmund a tornare al lavoro di optometrista.<br /><br /><div>E così la prima Biancaneve di questa nostra storia è Marguerite Clark. Ormai il suo nome è dimenticato, ma nell’epoca del muto è famosa quanto Mary Pickford. Entrambe sono sotto contratto della Famous Players-Lasky e la loro rivalità domina le cronache pettegole della nascente Hollywood. A dire la verità, Mary e Marguerite non fanno nulla per alimentare questo scontro, ci pensano rispettivamente la madre e la sorella maggiore e soprattutto i produttori che hanno capito molto presto che il cinema vive anche grazie alle sue stelle e alle storie su di loro. Nel 1918 il <i>Motion Picture Magazine </i>conduce un sondaggio tra gli appassionati di cinema per decidere chi sia la migliore: vince Pickford, ma con uno scarto di neppure ventimila voti. Mary però è molto più abile di Marguerite, diventa in pochi anni, grazie alla creazione dell’United Artists, una delle donne più potenti del cinema americano. Marguerite si ritira, all’apice della carriera, nel 1921. A trentotto anni non ha più voglia di fare l’ingenua e ha guadagnato abbastanza per vivere come una signora in una grande villa della Louisiana.<br />Marguerite, nata nel 1883 ad Avondale, in Ohio, a sedici anni scopre il teatro. E in pochissimo tempo la sua carriera prende il largo. Nel 1900 debutta a Broadway e ottiene un successo dopo l’altro. Arriva al cinema tardi - gli attori teatrali all’inizio guardano con qualche sospetto alla nuova arte - ha già trentun’anni, anche se ne dimostra molti meno - anche questa è una caratteristica che ha in comune con Mary - e quell’aria da ragazzina e i suoi grandi occhi scuri entrano immediatamente nell’immaginario del pubblico.<br />Il 31 ottobre 1912 Marguerite debutta al Little Theatre come Biancaneve nella commedia scritta, diretta e prodotta da Winthrop Ames, che è anche il proprietario di quella storica sala sulla 44esima. È uno dei successi di quella stagione. Con lei ci sono le gemelle Madeline e Marion Fairbanks, Donald Gallaher e l’attrice inglese Elaine Inescort nella parte della Regina cattiva.<br />Inescort ha solo quattro anni più di Biancaneve. Anche lei bellissima, fa una lunga carriera: non si fermerà, come è successo a Mary Pickford, a causa dell’avvento del sonoro. E nel 1961, a ottantadue anni, è la contessa Lydia Ivanovna in una celebre edizione di <i>Anna Karenina</i> prodotta dalla BBC, con Claire Bloom e Sean Connery.<br />È anche grazie al successo di quella commedia che Marguerite viene chiamata a Hollywood e nel 1916 la Famous Players-Lasky produce un nuovo <i>Snow White</i>, un lungometraggio di sessantatré minuti. Ames scrive la sceneggiatura, basata sulla sua commedia, mentre la regia è affidata a James Searle Dawley, uno dei grandi registi di quell’età pionieristica: è lui a firmare, nel 1910, il primo <i>Frankenstein</i>. Creighton Hale è il principe, mentre l’attrice australiana Dorothy Cumming è la Regina cattiva. Dorothy è più giovane di Marguerite. Show White è il suo primo film a Hollywood, dopo gli esordi nel suo paese. Alla fine degli anni Venti raggiunge l’apice della fama con <i>The King of Kings</i> di Cecil B. DeMille, in cui interpreta Maria, e <i>The Wind</i> di Lilian Gish.<br />Quasi tutti i quaranta film interpretati da Marguerite Clark sono andati perduti. Fortunatamente una copia di<i> Show White</i> è stata ritrovata ad Amsterdam nel 1992, con le didascalie in olandese. E così Marguerite continua a guardarci con quei suoi grandi occhi neri e l’aria innocente, aspettando il suo principe.<br /><br />E sarà l’unica Biancaneve per altri trentacinque anni: un record. Certo in mezzo c’è stata la Biancaneve più famosa di tutte - e di lei racconterò in un’altra delle mie storie - ma solo nel 1951 il personaggio dei Grimm torna al cinema. E in Italia. Il film è I sette nani alla riscossa, scritto, diretto e prodotto da Paolo William Tamburella. È nato a Cleveland nel 1910, il padre Silvestro è professore di letteratura italiana e direttore di un giornale per la comunità italoamericana della città. Il giovane decide di tornare nell’Italia appena uscita dalla guerra e di fare cinema. Nel 1946 è il produttore di <i>Sciuscà </i>diretto da Vittorio De Sica, per cui vince l’Oscar, il primo del cinema italiano. <i>I sette nani alla riscossa </i>è il suo terzo film da regista. Anche l’ultimo: muore a soli quarantuno anni, prima che il film venga distribuito nelle sale.<br />Tamburella decide di raccontare cosa è successo dopo il “e vissero felici e contenti”. Biancaneve e il principe Biondello vivono sì felici nel loro castello, ma il Principe Nero, invaghitosi della donna, decide di attaccare il loro regno. Biancaneve viene fatta prigioniera dagli sgherri del cattivo, ma i sette nani vengono in aiuto della loro amica. E stavolta sì tutti vivranno felici e contenti.<br />Biancaneve è la diciassettenne Rossana Podestà, all’inizio della carriera. Il regista francese Léonide Moguy l’ha scoperta l’anno prima a Tripoli, la città in cui è nata. Grandi occhi scuri e fisico da pin-up, Rossana diventa presto famosa non solo in Italia. Negli anni Cinquanta recita in tanti film storici e mitologici, diventando la “regina del peplum”: è Nausicaa in <i>Ulisse </i>di Maria Camerini, con Kirk Douglas e Silvana Mangano nel doppio ruolo di Penelope e Circe, e la protagonista di <i>Elena di Troia </i>di Robert Wise. E diventa una femme fatale negli anni Sessanta: è la bellissima Giorgia nei <i>Sette uomini d’oro</i>. Decisamente Rossana non è più l’ingenua Biancaneve.<br /><br />Dopo quel film italiano il cinema e la televisione riscoprono la classica storia dei fratelli Grimm. In molte di queste versioni è però l’attrice che interpreta la Regina cattiva a essere la vera star del film. Vanessa Redgrave, Diana Rigg, Sigourney Weaver, Miranda Richardson, Monica Bellucci, Julia Roberts, Charlize Theron, Isabelle Huppert sono splendide Regine, molto più affascinanti delle rispettive Biancaneve.<br />Se fossimo stati lo specchio magico non avremmo avuto dubbi su chi scegliere come la più bella. Peraltro anche la Regina del film Disney - disegnata su Joan Crawford - è molto più bella di Biancaneve.<br />Come dice Alvin in <i>Io e Annie</i>.<br /><blockquote>Senti, anche da piccolo mi piacevano sempre le donne sbagliate. Forse è questo il mio problema. Quando la mia mamma mi portò a vedere Biancaneve, tutti si innamorarono di Biancaneve. Io no. Io immediatamente mi innamorai della Regina Cattiva.</blockquote>Che appare nel film in veste di cartone animato, con la voce di Diane Keaton.<br /><br />Gal Gadot sarà la Regina di Rachel Zegler e anche in questo caso è difficile scegliere chi sia la più bella del reame.<br /><br />In una storia delle attrici che sono state Biancaneve bisogna ricordare anche Marie Liljedal, una bellissima attrice svedese, nata nel 1950, protagonista tra il 1968 e il 1971 di alcuni film erotici, tra cui il celebre <i>Grimms Märchen von lüsternen Pärchen</i>: non certo memorabile, ha però aperto la strada a una “lettura” erotica della fiaba che avrà una certa fortuna negli anni successivi. In Italia il film - diretto da Rolf Thiele, che pure negli anni Sessanta con <i>Eva </i>è stato in concorso a Cannes - è arrivato con il titolo <i>Divagazioni erotiche</i>.<br />Ovviamente anche la commedia sexy degli anni Settanta “scopre” Biancaneve. In <i>La principessa sul pisello</i> e <i>Biancaneve & Co.</i> il personaggio è interpretato da due attrici famose del genere, Christa Linder e Michela Miti. Tra i “nani” di questo film occorre ricordare alcuni grandi caratteristi del cinema italiano: Enzo Garinei, Aldo Ralli e Tiberio Murgia. Si tratta di classici film soft-porn. Decisamente più esplicito il film diretto nel 1995 da Franco Lo Cascio <i>Biancaneve e i sette nani</i>. Accanto a sette nani ungheresi, Ludmilla Antonova è decisamente disinibita, che ha aperto la strada a una serie di Biancaneve decisamente sexy che abbondano nei siti “specializzati”.<br /><br />Voglio finire questa storia di Biancaneve con la splendida Macarena Garcia, giovane protagonista di <i>Biancanieves</i>, un film del 2012, scritto e diretto da Pablo Berger. Si tratta di un film muto girato in bianco e nero. La storia si svolge in Andalusia negli anni Venti. Carmen è la figlia di un torero paralitico e di una cantante, morta dandola alla luce. La seconda moglie del padre prima uccide l’uomo e poi incarica un sicario di eliminare anche Carmen. Una compagnia di nani girovaghi trova la ragazza lungo un fiume, dove è stata abbandonata, creduta morta. Carmen, con il nome di Biancanieves, diventa una famosa torera, a Siviglia, nell’arena dove il padre è rimasto paralizzato, ottiene una grande vittoria, ma la matrigna l’ha riconosciuta e la uccide con una mela avvelenata. I nani non possono far altro che vendicarsi della donna, scatenandole contro un toro.<br />Cent’anni dopo <i>Snow White</i> Biancaneve non può più salvarsi </div>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-89635584822112287032023-09-06T08:38:00.006+02:002023-09-07T09:59:26.836+02:00Verba volant (843): gamba...<div><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipbtQMhjWc_5qz7C556EqQ2SyWcDwbkwj5EoKviYnCfSzAWSmUhCC9FDKerD605_UrE1stETYOPGGFlHCHGklM11djehwqcnmqZk8GrQGH3oeLOX07sHuKbTIeouicLMssk5Ektl1I1PlmgspANyESKLki2iqls-PXlqLydgi-HEbl9OI8roTgiL2gXM53/s1300/Eva_Le_Gallienne_ca._1920s.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="838" data-original-width="1300" height="407" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipbtQMhjWc_5qz7C556EqQ2SyWcDwbkwj5EoKviYnCfSzAWSmUhCC9FDKerD605_UrE1stETYOPGGFlHCHGklM11djehwqcnmqZk8GrQGH3oeLOX07sHuKbTIeouicLMssk5Ektl1I1PlmgspANyESKLki2iqls-PXlqLydgi-HEbl9OI8roTgiL2gXM53/w633-h407/Eva_Le_Gallienne_ca._1920s.jpg" width="633" /></a></div>Gamba</b>, <i>sost. f.</i></div><div><br /></div>Eva Le Gallienne è un nome oggi purtroppo dimenticato - se non da qualche collezionista di cimeli della vecchia Broadway - eppure questa attrice ha attraversato da assoluta protagonista la storia del teatro del Novecento, senza aver timore di dare scandalo, perché era una donna che amava le donne - una cosa mal tollerata nella società, allora come ora - e soprattutto perché era una donna che voleva dirigere e produrre i propri spettacoli - questa sì una cosa davvero intollerabile, allora come ora, per il mondo della cultura dominato dagli uomini.<br /><br />Eva nasce l’11 gennaio 1899 a Londra. Il padre è Richard Le Gallienne, un poeta e traduttore inglese di origini francesi che per qualche anno è stato il segretario dell’attore e produttore teatrale Wilson Barrett, la madre è la giornalista danese Julie Nørregaard. I suoi genitori si separano quando lei ha solo quattro anni e così Eva cresce a Parigi, dove Julie si è trasferita, pur tornando spesso dal padre in Gran Bretagna. Nella capitale francese frequenta il Collège Sévigné con ottimi voti, anche perché parla correntemente, oltre al francese e all’inglese, il tedesco, il danese e il russo.<br />Si appassiona presto al teatro, a quattordici anni copia a mano le memorie di Sarah Bernhardt: un atto di devozione che impressiona la grande attrice, che vuole conoscere quella ragazza, rimanendo colpita dalla sua determinazione. A Londra studia recitazione, nell’Accademia di Sir Herbert Beerbohm Tree e debutta a quindici anni come ragazza cockney in <i>The Laughter of Fool</i>. Un anno dopo sua madre decide di trasferirsi negli Stati Uniti insieme alla figlia. Eva è una giovane molto avvenente e sa recitare, non fatica a trovare degli ingaggi che la portano in Arizona e in California, ma nessuna di quelle commedie ottiene particolare successo. Eva torna in Europa, continua a studiare, viaggia, assiste a molti spettacoli e alla fine degli anni Dieci è ancora una volta a New York.<br />Finalmente arriva il successo con <i>Not So Long Ago</i> di Arthur Richman e <i>Liliom </i>di Ferenc Molnár. Eva è ormai una stella di Broadway, ma non è soddisfatta di quello che viene programmato nei teatri della città: drammi popolari e spettacoli di rivista e burlesque. L’attrice sa bene che i produttori pensano solo agli incassi e non vogliono rischiare. Pensa che sia ora di cambiare le cose.<br />Le serve un teatro. Ce n’è uno disponibile al 107 West della Quattordicesima Strada. È stato aperto nel 1866 con il nome Theatre Francais e vi venivano rappresentate solo opere in francese, poi è diventato Lyceum e infine semplicemente Fourteenth Street Theatre. Quando Eva decide di rilevarne la gestione è solo un cinema, in una zona malfamata di Manhattan, a ben ventotto isolati da Times Square e dal quartiere dei teatri. La struttura è fatiscente, la facciata un intrico di scale antincendio, l’impianto di riscaldamento funziona male, però è grande - sono millecento posti a sedere - e lei capisce che in quell’enorme spazio può fare tutto quello che vuole. Le serve una compagnia. Una sera a Cincinnati, mentre è in tournée con il <i>John Gabriel Borkman</i> di Ibsen, ne parla con gli altri attori. Vuole mettere in piedi una compagnia di repertorio, ossia capace di mettere in scena, con gli stessi attori, diversi spettacoli nella stessa stagione. Tutti decidono di seguirla in quella nuova avventura e molti rimarranno con lei negli otto anni successivi. Così nell’autunno del 1926 nasce il Civic Repertory Theatre. Grazie all’iniziale sostegno finanziario di Otto Herman Kahn, Adolph Lewisohn, Ralph Pulitzer, John Davison Rockefeller Jr. e soprattutto della donna con cui in quegli anni ha una relazione, la miliardaria mecenate Alice De Lamar, Eva riesce ad aprire il suo teatro.<br /><i>Il costruttore Solness, Tre sorelle, La locandiera, La dodicesima notte. Hedda Gabler, Il giardino dei ciliegi, Il gabbiano, Romeo e Giulietta</i> sono tra i titoli che Eva dirige e interpreta con il Civic Repertory, insieme a testi di nuovi drammaturghi americani. Saranno in tutto trentaquattro produzioni. E, nonostante la posizione malfamata, il pubblico di New York fa la fila per assistere ogni sera agli spettacoli. Nel 1929 la First Lady Lou Henry Hoover, in visita a New York, chiede di assistere a uno spettacolo del Civic. Già nel primo anno le produzioni di Eva si sostengono da sole, grazie agli introiti del botteghino, nonostante la sua decisione di tenere il prezzo del biglietto a un dollaro e mezzo: il “suo” teatro deve essere davvero aperto a tutti.<br /><br /><div>LeG, come i giornali cominciano a chiamare Eva, ottiene un grande successo con<i> Peter Pan </i>nel 1928: bellissima, con quelle splendide e lunghe gambe, grazie a fili invisibili, vola sugli spettatori, rendendo memorabile la sua interpretazione del magico ragazzo inventato da James Matthew Barrie. Nel 1932 lei e l’attrice Florida Friebus scrivono una riduzione di <i>Alice nel Paese delle Meraviglie</i>: e anche questo è un successo del Civic Repertory. LeG e Florida sono rispettivamente la Regina Bianca e il Gatto del Cheshire, Josephine Hutchinson - con cui Eva ha una relazione in quegli anni - è Alice, Leona Roberts è la Regina Rossa, Burgess Meredith è il Ghiro, l’Anatra e Pancopinco, Howard Da Silva il Cuoco e il Cavaliere Bianco. Quell’edizione di Alice raccoglie tanti artisti che faranno grande il teatro degli Stati Uniti negli anni successivi.<br />Il Civic Repertory Theatre segna una svolta per Broadway. Certo rimangono i grandi teatri con una programmazione commerciale, ma accanto a essi nascono sale con una proposta diversa, in cui gli artisti possono sperimentare nuove forme di teatro. Qualche anno dopo, su questo esempio, Orson Welles e John Houseman creeranno il Mercury. È grazie all’attività di artisti come Eva Le Gallienne che nel secondo dopoguerra nasce quello che sarà chiamato off-Broadway.<br />Il 25 novembre 1929 <i>Time </i>consacra LeG con la sua copertina e un articolo in cui viene descritto il suo lavoro. Il cronista spiega che in quella settimana al Civic Repertory Theatre la compagnia di Eva rappresenta lunedì <i>Il gabbiano</i>, martedì <i>Il borghese gentiluomo</i>, mercoledì <i>Mademoiselle Bourrat. La Fille Perdu</i> di Claude Anett, giovedì <i>The Cradle Song</i> di Gregorio Martínez Sierral, venerdì <i>Inheritors</i> della drammaturga americana Susan Glaspell, e infine sabato due repliche di <i>Peter Pan</i> durante la giornata e ancora <i>Il gabbiano</i> alla sera: sono otto spettacoli a settimana.<br />Eva negli anni del Civic Repertory vive, insieme ai suoi quattro cani e a molti canarini, in un piccolo appartamento all’ultimo piano del teatro. Ogni mattina alle 9.30 si esercita nell’arte della scherma con un istruttore ungherese che cerca di convincerla, visto quanto è brava, a lasciare il palcoscenico per dedicarsi soltanto a quello sport. Alle 10.30 si occupa della corrispondenza. Dalle 11.30 alle 15.30 prova, insieme ai suoi attori, una nuova commedia. Non si ferma neppure per pranzo: durante le prove mangia uova crude e beve caffè. Dalle 15.30 alle 17.30 prova una delle commedie che sono già in repertorio. Poi dedica mezz’ora agli appuntamenti con gli amici. Dopo una cena frugale dorme mezz’ora prima di scendere nel suo camerino per l’apparizione serale. Perché LeG è in scena ogni sera. Questa rigorosa routine è interrotta solo il sabato, perché quel giorno Eva, per due volte, veste i panni di Peter Pan per volare sulle teste di un incantato pubblico di bambini.<br /><br />Tre settimane prima di quella copertina, precisamente il 29 ottobre, crolla Wall Street e comincia la Grande Depressione: i teatri chiudono uno dopo l’altro e anche il Civic Repertory, con le sue proposte di qualità, non resiste. <i>Alice nel Paese delle Meraviglie</i> è l’ultima produzione prima della definitiva chiusura nel 1934.<br />L’anno successivo a Eva viene offerta la direzione del Federal Theatre Project, uno degli ambiti di intervento sostenuti dalla Works Progress Administration, voluta dal presidente Roosevelt. Lo scopo del progetto non è tanto quello di produrre cultura, ma di sostenere gli artisti che a causa della crisi hanno perso il lavoro. Per questo l’attrice rifiuta. Capisce che non potrebbe lavorare con la libertà creativa che ha avuto durante gli anni del Civic Repertory Theatre.<br />Eva, finita l’avventura del Civic, continua a recitare. Tra i tanti ruoli, nel 1935 è Marguerite Gautier in <i>Camille </i>di Alexandre Dumas, nel 1944 Ljubov’ Andreevna ne <i>Il giardino ciliegi</i>, nel 1946 Caterina d’Aragona nell’<i>Enrico VIII</i> di Shakespeare. Nel 1948 è Helene Alving negli <i>Spettri</i> e la protagonista di <i>Hedda Gabler</i>.<br />Alla fine degli anni Quaranta scrive un libro per bambini, <i>Flossie and Bossie</i>, una divertente storia le cui protagoniste sono due galline, una snob e sofisticata e l’altra schietta e semplice, in perenne contrasto, se non nella voglia di essere buone madri per i loro pulcini.<br /> Continua anche a dirigere, a tradurre, a progettare nuovi spettacoli. E tenta anche di tornare a produrli. Nel 1946, insieme alle regista teatrale Margaret Webster, con cui ha una relazione, e la produttrice Cheryl Crawford, fonda una nuova compagnia, l’American Repertory Theatre, ma dopo due anni l’impresa fallisce. L’America del secondo dopoguerra, che si prepara al confronto con l’Unione Sovietica, è molto diversa dal paese di vent’anni prima, ancora immerso nell’età del jazz: non c’è la stessa voglia di rischiare e di innovare.<br /><br /></div><div>Ed è un’America che fatica anche ad accettare l’omosessualità di Eva. L’attrice non ha mai nascosto le sue preferenze sessuali e nell’età del jazz questa cosa era tollerata o vista come una delle tante bizzarrie di quegli anni. Certo per Eva è più semplice: lei è famosa, a lei sono “perdonate” cose che le altre donne non possono permettersi, neppure in quegli anni sfrenati. Perfino l’autore dell’articolo di <i>Time</i>, pur non potendo parlare apertamente di quel tema, racconta che ogni sera agli spettacoli del Civic Repertory Theatre fanno la fila le ammiratrici di Eva, donne che, come lei, amano indossare abiti, cappelli e accessori maschili, tanto da girare con il bastone da passeggio.<br />Nel 1918 la giovane Eva conosce a Hollywood l’attrice di origini russe Alla Nazimova, che, a quarant’anni, è all’apice della fama. Alla produce i film che interpreta, è una donna che, grazie al suo successo, ha potere a Hollywood e lo usa per aiutare le sue colleghe che, a differenza di lei, vengono emarginate dalle case di produzione proprio a causa della loro omosessualità. Anche se è Alla a introdurre Eva in quello che la grande attrice chiama ironicamente il “circolo del cucito”, ossia il gruppo di donne, artiste e intellettuali, che ruotano attorno alla sua villa su Sunset Boulevard, è estremamente gelosa dell’attenzione che le sue amiche rivolgono alla nuova arrivata. Alla è troppo gelosa e possessiva per Eva e presto la loro storia finisce, anche se l’attrice non smetterà di aiutarla e sostenerla nelle sue scelte artistiche. Le attrici Tallulah Bankhead, Beatrice Lille e Laurette Taylor capitano spesso al Garden of Alla e Eva ha con loro brevi relazioni.<br />Anche la poetessa, scrittrice e drammaturga di New York Mercedes de Acosta è nel “circolo del cucito”. Dopo il matrimonio di comodo tra Mercedes e Abram Poole, anch’egli omosessuale, lei ed Eva vivono per cinque anni una turbolenta storia d’amore. Mercedes qualche anno dopo avrà una lunga relazione con Greta Garbo. Le sue memorie, scritte agli inizi degli anni Sessanta per sfuggire alla povertà, con le loro rivelazioni getteranno scandalo nel mondo dello spettacolo americano, accendendo una curiosità morbosa su quel gruppo di donne. Eva sarà una delle più furiose verso l’amante di quarant’anni prima.<br />La storia d’amore tra Eva e la sua collega Josephine Hutchinson segna profondamente la vita dell’attrice. Quando, nel 1927, comincia questa relazione, Josephine è sposata da poco e il marito nell’intentare la causa di divorzio cita proprio Eva come responsabile della fine del loro matrimonio. Come succede in quegli anni il processo attira l’attenzione dei giornali e dell’opinione pubblica. Eva sembra considerare anche l’idea di sposarsi con il suo amico Basil Rathbone, insieme hanno avuto successo con <i>Il cigno</i> di Molnar. Basil non è omosessuale, ma è un amico e disposto ad aiutare Eva, anche perché crede suo dovere combattere contro questi pregiudizi: è stato anche arrestato per aver messo in scena il dramma di Édouard Bourdet <i>The Captive</i>, che, affrontando il tema dell’omosessualità femminile, è finito nel mirino dei gruppi religiosi di New York. Eva però si rende conto che sarebbe sbagliato e resiste.<br />Finalmente LeG conosce, nella compagnia che mette in scena <i>Camille </i>allo Shubert Theatre, Marion Evensen: vivranno insieme, con i loro tanti cani, fino alla morte di Marion nel 1971. Eva non cerca più di nascondersi. Come dice all’amica scrittrice May Sarton, anche lei lesbica: “Le persone odiano ciò che non capiscono e cercano di distruggerlo. Cerca solo di mantenerti lucida e non permettere a quella forza distruttiva di rovinare qualcosa che per te è semplice, naturale e bello”.<br /><br />LeG, pur apparendo meno sul palcoscenico, rimane un punto di riferimento per le nuove leve del teatro americano. Il grande pubblico nel 1955, grazie alla televisione, scopre la sua storica edizione di <i>Alice nel Paese delle Meraviglie</i>: Eva torna a vestire i panni della Regina Bianca, con Elsa Lanchester come Regina Rossa e un cast di grandi caratteristi. Memorabile è la sua Elisabetta nella <i>Maria Stuarda</i> di Schiller nel 1957 in una produzione del Phoenix Theatre. Questo teatro è stato aperto solo quattro anni prima: nell’idea dei produttori, questa sala, lontana da Times Square, deve ospitare una compagnia permanente e produrre quattro o cinque spettacoli a stagione, mantenendo i prezzi dei biglietti molto più bassi che a Broadway. Eva non può far mancare il suo sostegno a questo progetto off-Broadway. Nel 1964 è Irina Arkadina ne <i>Il gabbiano</i>, in un’edizione di cui cura sia la traduzione che la regia.<br />In quell’anno il mondo del teatro le rende omaggio assegnandole lo Special Tony Award per celebrare i suoi cinquant’anni di carriera e soprattutto il suo impegno per aver creato il teatro di repertorio negli Stati Uniti.<br />Nel 1968 va in scena<i> Il giardino dei ciliegi</i>, in un’edizione di cui LeG cura la traduzione e la regia, con un cast in cui ci sono Patricia Conolly, Richard Easton, Uta Hagen, Nancy Walker. Il 30 dicembre 1975 debutta una storica edizione di <i>The Royal Family</i> di George S. Kaufman e Edna Ferber: Eva è Fanny Cavendish, accanto alla giovane Rosemary Harris nel ruolo di Julie. L’anno dopo questo spettacolo viene ripreso dalla televisione nell’ambito della fortunata serie <i>Great Performances </i>trasmessa dalla PBS: Eva Le Gallienne ottiene l’Emmy per la sua interpretazione.<br />Nel 1980 arriva per Eva anche un ruolo al cinema: per la grande attrice, a ottant’anni si tratta praticamente di un debutto. In <i>Resurrection</i> ha il ruolo di Pearl, la nonna di Edna, interpretata da Ellen Burstyn. Entrambe le attrici ricevono una nomination all’Oscar.<br />Nel 1982 quando Sabra Jones decide di fondare la propria compagnia di repertorio, The Mirror Theatre Ltd, chiede aiuto a Ellis Rabb, il direttore artistico della Phoenix Repertory Company, a John Houseman, storico produttore del Mercury, e ad Eva Le Gallienne. Ed è proprio l’ottantenne Eva a rispondere in maniera entusiasta: accetta di aprire la stagione della nuova compagnia riproponendo il suo storico <i>Alice nel Paese delle Meraviglie</i>. E come cinquant’anni prima LeG cura la regia e interpreta, ancora una volta, la Regina Bianca. L’anno dopo anche questo spettacolo viene riproposto in televisione in <i>Great Performances</i>. Del cast dello spettacolo teatrale rimane solo la giovane Kate Burton nel ruolo di Alice. E, accanto a lei - per un’evidente ricerca di audience - suo padre Richard nel ruolo del Cavaliere Bianco. Eva non partecipa a questa edizione: è Maureen Stapleton a interpretare la Regina Bianca.<br />L’ultima apparizione di Eva è nel 1984 in un episodio della serie televisiva <i>St. Elsewhere</i>, - un classico del genere ospedaliero, in Italia conosciuta come <i>A cuore aperto</i> o <i>S. Eligio giorno e notte</i>: uno dei protagonisti è il suo amico Norman Lloyd, che ha cominciato a lavorare proprio al Civic Repertory. Eva è la più anziana delle tre pazienti che condividono la camera dell’ospedale, con lei ci sono Brenda Vaccaro e Blythe Danner.<br /><br />Eva muore, all’età di novantadue anni, il 3 giugno 1991, nella sua fattoria di Weston nel Connecticut, che da molti anni è il luogo dove vive insieme ai suoi cani.<br />Per tutta la sua vita LeG non concepisce come sia possibile fermarsi, smettere di amare, lottare, recitare.<br /><blockquote>Che importanza ha il successo o il fallimento, se sei riuscita a fare quello che ti eri prefissata? Fare è tutto ciò che conta davvero.</blockquote></div>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-35569099133804548982023-07-27T12:47:00.004+02:002023-07-27T12:47:50.365+02:00Verba volant (842): gentilezza...<div><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgE9otsUj3Bp7-cXsA0SAx4oQWOGDWvptX29RQ-0gVC3gw4-Cusb7onTAvyxk8Ovs3aRAaprVlM0XvBfniI1ig_YWyUY9RKPV8ONKg6MKB0G_FgJWsOqiJDlyE6QGRgzsvz2wweK1EQ2AQe1Cm5d-tI4BTvhuh_ksJ5Stgd9HCT4xn9RxqjuWtqADC53V_l/s1528/Loopyone.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1250" data-original-width="1528" height="526" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgE9otsUj3Bp7-cXsA0SAx4oQWOGDWvptX29RQ-0gVC3gw4-Cusb7onTAvyxk8Ovs3aRAaprVlM0XvBfniI1ig_YWyUY9RKPV8ONKg6MKB0G_FgJWsOqiJDlyE6QGRgzsvz2wweK1EQ2AQe1Cm5d-tI4BTvhuh_ksJ5Stgd9HCT4xn9RxqjuWtqADC53V_l/w642-h526/Loopyone.jpg" width="642" /></a></div>Gentilezza</b>, <i>sost. f.</i></div><div><br /></div>È il 5 novembre 1959. Il pubblico americano che quel giovedì decide di vedere uno dei film prodotti e distribuiti dalla Columbia - che sia la divertente commedia <i>The Mouse That Roared</i> con Peter Sellers o <i>Battle of the Coral Sea</i> su un eroico equipaggio di sommergibilisti durante la seconda guerra mondiale o ancora <i>The Warrior and the Slave Girl</i>, un peplum a basso costo girato in Italia - al prezzo del biglietto può assistere anche al primo episodio di una nuova serie di cartoni animati. Ancora per qualche anno nella sale i film saranno preceduti da un cortometraggio di animazione, anche se ormai i cartoni stanno diventando prodotti esclusivamente televisivi.<div>Quelli che sono soliti leggere i titoli di testa si sono accorti che quel cartone è realizzato da William Hanna e Joseph Barbera, gli autori della fortunata serie <i>Tom and Jerry</i> prodotta dalla Metro-Goldwyn-Mayer dal 1940 al 1958. William e Joseph non lavorano più per la MGM, perché quello studio li ha licenziati, dopo aver deciso di chiudere il reparto di animazione, proprio perché ormai i cartoni al cinema sono un prodotto superato. I due hanno aperto una loro, per ora piccola, casa di produzione. Alla fine degli anni Cinquanta realizzano alcune serie per la televisione, che ottengono un discreto successo - anche se non paragonabile a quello di Tom e Jerry - come quelle che hanno come protagonisti Yoghi, Braccobaldo, Ernesto Sparalesto. Sollecitati dai produttori della Columbia, decidono di tornare al cinema: sarà la prima e l’ultima serie che realizzeranno per il grande schermo. Anche perché stanno per lanciare in televisione una <a href="https://www.allonsanfan.it/2023/06/06/the-flintstones-gli-antenati-fred-wilma-william-hanna-joseph-barbera/">nuova serie</a> dedicata a una famiglia che vive nell’età della pietra. E sarà un successo al di là di ogni aspettativa.<br /><br />Ma torniamo al novembre del 1959. Il protagonista di quel cartone animato è un lupo antropomorfo, che si chiama Loopy De Loop - come vediamo sulla buchetta per la posta davanti a casa sua. Il nome richiama sia la parola latina per questo feroce animale sia il <i>loop</i>, il salto all’indietro dei voli acrobatici. Il nostro lupo indossa una cuffia e una sciarpa entrambe gialle ed evidentemente deve superare i postumi di un brutto incidente, visto che si è rotto - non sappiamo come - un braccio e una gamba. Parla con un curioso accento francese - come quelli del Québec quando si sforzano di usare l’inglese - ha un tono gentile, forse un po’ cerimonioso, ci mostra il libro che sta leggendo e ci annuncia che racconterà la vera storia di Cappuccetto Rosso. E siamo “trascinati” con lui, nel libro e nella storia.<br />La bambina, mentre attraversa il bosco per raggiungere la casa della nonna, viene avvicinata dai tre porcellini, una banda di teppistelli che le ruba il cestino delle provviste. Loopy, che assiste alla scena, si avvicina alla bambina in lacrime che però, resasi conto che si tratta di un lupo, lo afferra per la coda e lo sbatte diverse volte a terra, dimostrando un’incredibile forza. Loopy non reagisce - anzi sembra comprendere i timori della piccina - e incassa quelle botte. Ma, essendo gentile, non rinuncia alla missione di recuperare il cestino. Arrivato alla solida casa in mattoni della banda, i tre porcellini lo sfidano ad abbatterla con un soffio, ma Loopy escogita uno stratagemma che gli permette di recuperare comunque il “bottino”. Va quindi a casa della nonna e la dolce vecchina, accortasi che si tratta di un lupo, dimostra un’inattesa energia, lo afferra per la coda e, ancora una volta, Loopy le prende di santa ragione. Il lupo neppure in questo caso reagisce, ma si dimostra davvero charmant e i suoi complimenti - e quell’accento francese - affascinano la nonna, che si tranquillizza. Arriva però Cappuccetto Rosso che imbraccia un fucile. Loopy, a questo punto, non può che fuggire. Siamo di nuovo nel giardino della casetta di Loopy, che chiude il libro: la storia sembra finita. Ma la nonna ha altre idee e, travestita da Cappuccetto Rosso, lo insegue per riprendere il corteggiamento. La fuga del lupo continua.<br /><br />Loopy De Loop ha un successo immediato e la Hanna-Barbera produce, dalla fine del 1959 al giugno del 1965, quarantotto episodi, di circa sette minuti l’uno, destinati ai cinema con protagonista questo lupo gentile e sfortunato, che si sforza di essere accettato dagli altri. Ken Muse che, dopo aver lavorato per Disney in <i>Pinocchio </i>e <i>Fantasia</i>, è stato uno dei “padri” alla MGM di Tom e Jerry, è l’animatore dei primi episodi. Dopo saranno altri grandi nomi dello studio, come Carlo Vinci, Dick Lundy e George Nichols a curare l’animazione. È Daws Butler a dare la voce a Loopy De Loop. Forse il suo nome non vi dice nulla, eppure è un grande dell’animazione americana, visto che è il doppiatore originale di Yoghi, Braccobaldo, Ernesto Sparalesto e Babalui, <a href="https://www.allonsanfan.it/2020/12/10/svicolone-snagglepuss-doppiaggio/">Svicolone</a>, Wally Gator, Peter Potamos, Barney Rubbles, Napo Orso Capo e molti altri personaggi della Hanna-Barbera. La casa di produzione mette i suoi migliori “artigiani” al lavoro sulla serie dedicata a questo lupo sfortunato.<br />In diverse delle sue avventure gli sceneggiatori giocano con le fiabe più classiche, come avviene appunto nel primo episodio. Ad esempio Loopy incontra Hansel e Gretel, che però rifiutano l’aiuto del lupo che li vorrebbe far fuggire dalla casa di marzapane. Biancaneve invita il lupo a casa, ma i sette nani non sono d’’accordo. In un altro episodio Loopy tenta anche di convincere il Lupo cattivo di Cappuccetto a cambiare vita e a diventare vegetariano come lui, senza successo. Loopy è anche il fondatore della S.S.A., la Sheeps Stealers Anonymous, in cui organizza gli incontri con altri lupi che cercano di uscire dalla “dipendenza” verso le pecore: un’altra impresa destinata al fallimento.<br />In un giorno in cui Riccioli d’oro è fuori di casa, deve fare da baby-sitter al piccolo orso: un compito che si rivela troppo difficoltoso anche per un tipo gentile e paziente come lui. Mentre ha più fortuna quando riesce ad aiutare il Principe Azzurro a trovare Cenerentola, che però si spaventa quando si rende conto che è un lupo. Quando va bene le avventure di Loopy finiscono con una fuga precipitosa, ma più spesso viene picchiato. Adesso capiamo il motivo di quelle ingessature del primo episodio.<br />In genere Loopy si caccia nei guai proprio a causa della sua gentilezza: cerca di aiutare tutti, ma scopre, suo malgrado, che molti non vogliono essere aiutati. E specialmente da un lupo. Un altro dei motivi ricorrenti degli episodi è che tutto sembra andare bene, fino a quando Loopy non si presenta, perché lui è orgoglioso di essere un lupo “diverso”, “a good wolf”, come dice sempre. Ad esempio in <i>Life with Loopy</i> lo vediamo in terapia, mentre racconta di quando ha cercato di diventare un cane da pastore. Il suo padrone era così contento di lui e del suo lavoro, da spingere Loopy a dirgli che era un lupo. Ovviamente costringendolo a una rapida fuga. Ma a questo punto anche il terapista si rende conto che si tratta di un lupo e lo caccia fuori dal suo studio.<br /><br />In Italia Loopy De Loop arriva già nel 1962. Viene ribattezzato Palmiro De Lupis ed è il protagonista di <i>Le eroiche battaglie di Palmiro lupo crumiro</i>, un film prodotto dalla Titania Film, che viene distribuito al cinema montando insieme dodici episodi. Quelli della Titania inseriscono questi episodi autoconclusivi e con nessun legame l’uno con l’altro in una sorta di “cornice”, ossia le pagine di un libro con il titolo dell’episodio, nella tradizione aperta dalla Disney nei suoi classici animati. E si inventano anche un finale: infatti nell’ultimo cartello si dice che Palmiro, stanco di prenderle sempre, ha deciso di cambiare vita e di diventare un lupo cattivo, adeguandosi a quello che gli altri pensano da sempre di lui.<br />La voce del lupo è quella, inconfondibile, di Paolo Panelli, uno dei grandi caratteristi del cinema e della televisione, mentre la voce della sua coscienza - che manca nell’originale americano - e di quasi tutti gli altri personaggi sono affidate ad Alighiero Noschese. Il celebre imitatore si può scatenare nell’episodio <i>I balli mascherati e gli amici del giaguaro</i>. Il lupo, in una delle sue continue fughe, capita davanti a una casa dove c’è una festa in maschera. Il padrone di casa crede che sia un suo amico travestito da lupo, lo invita dentro e gli chiede di esibirsi nelle sue imitazioni. Nell’originale Loopy imita Maurice Chevalier, Peter Lorre, Ed Sullivan e Jimmy Durante. Naturalmente quando si scopre che non è Charlie, ma un vero lupo, Loopy, fino a quel momento applaudito e l’anima della festa, viene cacciato. nella versione italiana Palmiro imita Totò ed Enza Sampò, cavalli di battaglia di Noschese. E in questo curioso film non mancano neppure citazioni di celebri canzoni, da <i>Il blu dipinto di blu</i> a <i>Romantica</i>.<br />Nel 1969 gli episodi vengono nuovamente doppiati e trasmessi, dal 30 settembre di quell’anno, sul Programma Nazionale. Questa volta la voce del protagonista, con un lieve accento inglese, è quella di Antonio Guidi, uno dei grandi del doppiaggio italiano e anche un volto familiare della televisione, visto che per alcuni anni ha condotto <i>Il teatro di Arlecchino</i>, un programma dedicato alle maschere e alla commedia dell’arte. Loopy diventa allora Lupo de’ Lupi. Solo qualche anno dopo, in un successivo doppiaggio - con la voce di Roberto Del Giudice - diventa Lupo de’ Lupis. Come noi lo conosciamo.<br /><br />Ma torniamo nell’America di quel freddo giovedì di inizio novembre. In molte sale cinematografiche degli Stati del Sud bianchi e neri devono sedere in posti separati e ovviamente i primi hanno quelli migliori. Tutti ridono di fronte alle disavventure di quel personaggio, ma qualcuno comincia a pensare. Loopy viene giudicato non per quello che fa, ma per quello è: a nessuno importa che sia un lupo rispettoso delle regole, un altruista, perché quando lo guardano vedono solo un lupo. Ma quello che fa davvero infuriare quelli che hanno questi pregiudizi contro di lui è il fatto che Loopy non alza mai la voce, non protesta, lui continua imperterrito a fare le sue buone azioni. Alla violenza Loopy De Loop risponde con la gentilezza: non c’è nulla di più rivoluzionario. E anche altri lupi “buoni” faticano a capire questa ostinazione di Loopy, la giudicano una forma di arrendevolezza. Ma a lui sembra davvero non importare. Lui sa la verità e la dice: “I’m Loopy De Loop. I’m a good wolf”. E questo vi deve bastare.<br />I cinque anni in cui Loopy De Loop appare sugli schermi, l’America cambia in maniera profonda.<br />Il 6 maggio 1960 il presidente Eisenhower firma il Civil Rights Act, la legge federale che istituisce ispezioni e detta le sanzioni per chi impedisce ai neri di votare.<br />Dal 1 novembre 1961 sui mezzi di trasporto pubblico interstatale nessun posto può essere riservato in base al colore della pelle, al credo religioso o all’origine nazionale.<br />Il 28 agosto 1963 duecentocinquantamila persone arrivano a Washington per la Marcia per il lavoro e la libertà. La maggioranza della folla assiepata di fronte al Lincoln Memorial è composta da afroamericani, ma sono tanti i bianchi che hanno aderito. Quel giorno Martin Luther King pronuncia il celeberrimo discorso che comincia con le parole “I have a dream”.<br />Il 2 luglio 1964 il presidente Johnson, dopo un lungo e sofferto iter legislativo, promulga il Civil Rights Act: vengono dichiarate illegali le disparità di registrazione nelle elezioni e la segregazione razziale nelle scuole, sui posti di lavoro e in tutte le strutture pubbliche<br />Loopy De Loop è consapevole che non basta una firma sotto una legge per cambiare le teste delle persone, sa che il futuro sarà difficile - come dirà nel 1967 Spencer Tracy nello splendido monologo che chiude <i>Guess Who’s Coming to Dinner</i> - ma è altrettanto sicuro che senza quella legge la sua battaglia sarebbe vana. È contento di aver fatto la sua parte, di aver dato il suo contributo alla lotta. Con gentilezza.</div>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-64634214186041468202023-07-21T13:08:00.004+02:002023-07-21T15:22:58.828+02:00Verba volat (841): giudizio...<div><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUY1Va9pLgGJeOgT4l3mFpKEL3cl_zhNTdUpQkjIDlHblbOEVak45l2KG2XUoKaAn1focWEfr62IZw_Suc8nt1mGt5ymdw97KEtGrh4LM9jbwvMKcpEx-naunUdQ8MRKvahzaPioAaHDXvnIzH8cy_nq77oxjCdDjF6Ilfytz2wXmgDw7XWW2CDMErI7rj/s1200/unitaopen.jpg" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="728" data-original-width="1200" height="454" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiUY1Va9pLgGJeOgT4l3mFpKEL3cl_zhNTdUpQkjIDlHblbOEVak45l2KG2XUoKaAn1focWEfr62IZw_Suc8nt1mGt5ymdw97KEtGrh4LM9jbwvMKcpEx-naunUdQ8MRKvahzaPioAaHDXvnIzH8cy_nq77oxjCdDjF6Ilfytz2wXmgDw7XWW2CDMErI7rj/w749-h454/unitaopen.jpg" width="749" /></a></div>Giudizio</b>, <i>sost. m.</i></div><div><br /></div>Il 28 novembre 1989 - due mesi dopo l’uscita al cinema di <i>Palombella rossa</i> e solo qualche giorno dopo la “svolta” della Bolognina – la Epic Records pubblica <i>Di terra e di vento</i>, un 33 giri di inediti di Fiorella Mannoia. Confesso che in quei giorni di autunno non sono molto attento alle novità discografiche. Penso ad altro: sono le mie prime settimane all’università, ma soprattutto guardo con grande interesse a quello che succede a Berlino, a Mosca, in un’Europa in cui sembrano schiudersi grande speranze. E mi appassiono - molto - a quello che sta succedendo nel mio partito, che si chiama ancora PCI. Allora ci credevo ancora: ero davvero convinto di poter cambiare il mondo.<br />La seconda traccia di quello splendido disco è <i>Oh che sarà</i>. Ivano Fossati ha tradotto, abbastanza fedelmente, il testo scritto da Chico Buarque de Hollanda e la canta insieme a Fiorella. Per quel 33 giri l’autore genovese scrive per lei anche Baia senza vento e la bellissima <a href="https://www.youtube.com/watch?v=W9T7hsjQdo4"><i>Lunaspina</i></a>.<br /><br /><i>ah, che sarà, che sarà<br />che vanno sospirando nelle alcove<br />che vanno sussurrando in versi e strofe<br />che vanno combinando in fondo al buio<br />che gira nelle teste, nelle parole</i><br /><br />Bologna, 2002. È un caldissimo pomeriggio di fine agosto. La Festa provinciale dell’Unità è cominciata solo da qualche giorno e io convoco una riunione urgente delle compagne e dei compagni responsabili delle varie attività. So già che non sarà un’assemblea facile: devo chiedere di allungare la festa di due giorni. Forse a voi sembra poco, ma sono già venticinque - senza contare quelli necessari per il montaggio e lo smontaggio - e altri due oggettivamente pesano. Però secondo me ne vale la pena. Gli organizzatori del tour di Pino Daniele, Francesco De Gregori, Ron e Fiorella Mannoia ci hanno proposto di organizzare un concerto dei quattro artisti mercoledì 18 settembre, proprio nella grande arena del Parco Nord.<br />Quel tour è stato l’evento dell’estate: venticinque date, ma nessuna in Emilia-Romagna. E poi sarà l’occasione per registrare dal vivo il doppio cd e il dvd di quel concerto, sfruttando il grande palco e molte delle attrezzature già montate per le riprese dell’MTV Day del 14 settembre.<br />Com’è prevedibile c’è più di un malumore, anche perché immaginano già le reazioni di quelli a cui loro dovranno a loro volta riferire quella decisione. Sono compagni saggi, sanno che abbiamo già detto di sì e che quella è una comunicazione e non una decisione da prendere. Prevale comunque un giudizio favorevole: il “centralismo democratico” funziona, almeno nelle Feste dell’Unità.<br />Così il 30 agosto comincia la vendita dei biglietti nelle prevendite abituali, come si diceva una volta, prima di Vivaticket e delle altre piattaforme specializzate. I biglietti costano da 35 euro per i posti a sedere nel primo settore a 24 per stare in piedi o accomodarsi sul “bananone”, come chiamiamo l’anfiteatro di terra che delimita l’arena. Qualcuno - soprattutto qualche compagno intellettuale snob - fa polemica per il costo troppo alto dei biglietti, che peraltro loro possono acquistare senza problemi. I posti a sedere si venderanno comunque in pochi giorni: i bolognesi arrivano senza fretta, sanno che l’arena è enorme e i posti praticamente illimitati.<br /><br /><i>che accende candele nelle processioni<br />che va parlando forte nei portoni<br />e grida nei mercati che con certezza<br />sta nella natura, nella bellezza</i><br /><br />Il 22 novembre 1976 esce nei cinema brasiliani <i>Dona Flor e Seus Dois Maridos</i>, un film diretto da Bruno Barreto, adattamento del romanzo scritto dieci anni prima da Jorge Amado. Realizzare quel film è possibile grazie al nuovo clima di aperture portato avanti dal presidente Ernesto Geisel, che attenua la repressione del suo predecessore Emílio Garrastazu Médici. Si tratta sempre di un regime sostenuto dai militari e finanziato dalla Cia, ma in quegli anni la censura comincia ad allargare le maglie. Geisel, nonostante il regime di Salazar sia sempre stato un alleato, dopo la rivoluzione dei garofani, riconosce il governo del socialista Mario Soares, dimostrando un notevole pragmatismo.<br />Il film è un grande successo in Brasile, anche grazie all’interpretazione di una splendida Sônia Braga, che nel suo paese diventerà famosa, oltre che per questo ruolo, per quello della protagonista di <i>Gabriela</i>, un film, diretto sempre da Barreto, in cui recita accanto a Marcello Mastroianni. Anche questo è un personaggio di Amado, del suo romanzo <i>Gabriella, garofano e cannella</i>. Poi negli anni Ottanta per la diva brasiliana arriverà anche la fama internazionale, grazie a <i>Il bacio della donna ragno</i> e <i>Milagro</i>. E anche grazie alla sua storia d’amore con Robert Redford.<br />Nel febbraio 1978 il film arriva nell’Italia della “solidarietà nazionale”, sconvolta dal terrorismo, alcuni mesi dopo l’uscita dell’edizione italiana del romanzo. Nel nostro paese il film va abbastanza bene, anche se il pubblico probabilmente si aspetta una commedia più scollacciata, vista la locandina. Certo in quell’anno escono sia <i>Ecce Bombo</i> che <i>L’albero degli zoccoli</i>, ma nei manifesti di tante sale campeggia la prorompente bellezza di Edvige Fenech, protagonista in quella stagione di ben tre film, diventati pietre miliari della commedia sexy degli anni Settanta:<i> L’insegnante va in collegio, La soldatessa alle grandi manovre </i>e<i> L’insegnante viene a casa</i>.<br /><br /><i>quel che non ha ragione né mai ce l’avrà<br />quel che non ha rimedio né mai ce l’avrà<br />quel che non ha misura</i><br /><br />È una bella festa quella del 2002. È la quarta da quando Giorgio Guazzaloca è sindaco di Bologna, il primo di destra nella città “rossa” per eccellenza, la città della più grande Federazione comunista dell’Europa occidentale, come si diceva una volta. La Federazione è sempre grande, la più grande d’Italia, ma ovviamente non siamo più comunisti. Adesso ci chiamiamo Democratici di Sinistra e Fassino è il nostro segretario nazionale, dopo il combattuto congresso dell’anno precedente, in cui la sua mozione - che anch’io ho sostenuto in tante sezioni della provincia - ha prevalso su quella di Giovanni Berlinguer, appoggiata dalla Cgil di Sergio Cofferati. È anche la quarta da quando sono un funzionario di partito, proprio con l’incarico di organizzare le Feste dell’Unità. E noi continuano a fare una delle feste più grandi d’Italia. Me lo dirà anche l’ex presidente Scalfaro l’anno dopo, ammettendo che noi siamo sempre stati i più bravi a fare le feste. <br />A Palazzo Chigi c’è il Berlusconi II, che sarà il più longevo della storia della Repubblica.<br />Almeno l’Unità è tornata in edicola, diretta da Furio Colombo: a me è toccato fare nel 2000 la prima Festa nazionale dell’Unità senza l’Unità, una cosa che ha accesso la curiosità degli annoiati cronisti agostani. E mi ha fatto anche andare su Radio Uno.<br />Stiamo già morendo, ma molti di noi non se ne rendono conto. Io, per esempio, sono uno di quelli che ancora è convinto di poter cambiare il mondo, almeno un po’.<br /><br /><i>ah, che sarà, che sarà<br />che vive nell’idea di questi amanti<br />che cantano i poeti più deliranti<br />che giurano i profeti ubriacati<br />che sta sul cammino dei mutilati</i><br /><br />Per la colonna sonora di <i>Dona Flor e Seus Dois Maridos</i> Chico Buarque compone <a href="https://www.youtube.com/watch?v=ZYPNsxRjWbA"><i>O que serà</i></a>. Nel film ci sono tre versioni, che punteggiano i tre momenti della storia: <i>Apertura</i>, <i>A fior de piel</i>, <i>A fior de tierra</i>.<br />Chico racconterà qualche anno dopo di essersi ispirato a una serie di fotografie scattate a Cuba, che descrivono la vita di quel paese, al di fuori della retorica castrista.<br />I funzionari della censura passano al setaccio i versi della canzone. Chico Buarque è un autore di sinistra. Durante gli anni di Médici è stato arrestato e poi ha lasciato il paese per venire in Italia, in una sorta di auto-esilio. Ora è tornato in patria, ma continua a essere una spina nel fianco del regime.<br />Gli uomini della censura vogliono evitare quello che è successo qualche hanno prima con la canzone <i>Apesar de você</i>, che in un primo momento hanno approvato e poi è diventata un inno del movimento democratico, costringendoli in tutta fretta a bandirla. Ogni parola viene soppesata, ma alla fine decidono che non si tratta di una canzone politica.<br />Forse è vero, forse è solo una bossa nova. C’è una malinconia profonda che avvolge quelle parole, che raccontano la sofferenza del mondo e insieme il bisogno di gridare che occorre fare qualcosa per combatterla. <i>O que serà</i> è la canzone di uno che il mondo lo vuole cambiare, che ci crede ancora, per quanto si renda conto che è sempre più difficile.<br /><br /><i>e nella fantasia degli infelici<br />che sta nel dai e dai delle meretrici<br />nel piano derelitto dei banditi</i><br /><br />Ma torniamo al 2002. Lunedì 16 c’è il tradizionale spettacolo di fuochi d’artificio con cui chiudiamo sempre la festa, mentre viene posticipata al mercoledì l’estrazione dell’automobile alla pesca gigante. Il maestro di cerimonia di questo evento è, come sempre, Maurizio Cevenini, il cui suicidio, dieci anni dopo, segnerà per molti di noi un traumatico passaggio, personale e politico.<br />Martedì 17 è una giornata di attesa e di preparazione del concerto.<br />Arriva mercoledì 18: finalmente l’ultimo giorno di quella lunghissima festa. E noi stiamo già lavorando per programmare le attività di smontaggio, che dureranno per un’altra ventina di giorni.<br />Nel primissimo pomeriggio, nella distesa vuota del Parco Nord, cominciano a risuonare le note di <a href="https://www.youtube.com/watch?v=LFC04aIymtk"><i>Napule è</i></a>. Pino Daniele è quello che prova in maniera più meticolosa i propri pezzi. Io ascolto così quel concerto, la sera ci sono troppe cose da fare e non riesco a fermarmi come vorrei. Ma quel pomeriggio mi siedo sulla sgangherata sedia del mio ufficio nella palazzina rossa e ascolto. Dopo alcune canzoni, parte la chitarra di Pino e Fiorella comincia a cantare <i>Oh che sarà</i>. E quei versi mi rimangono in testa. Per sempre.<br />Prima del concerto gli organizzatori mi accompagnano, insieme al segretario della Federazione, nel backstage. Quando mi presentano Fiorella Mannoia, farfuglio un saluto. È così bella che ammutolisco.<br /><br /><i>ah, che sarà, che sarà<br />quel che non ha decenza né mai ce l’avrà<br />quel che non ha censura né mai ce l’avrà<br />quel che non ha ragione</i><br /><br />A interpretare il brano nel film è Simone Bittencourt de Oliveira - o meglio solo Simone, come è conosciuta - che nel 1973 ha lasciato la carriera sportiva - è nella nazionale femminile di pallacanestro del Brasile - per dedicarsi soltanto alla musica. <i>O que serà</i> è uno dei primi successi di questa artista, destinata a diventare una delle cantanti più popolari del suo paese.<br />Qualche mese dopo Chico Buarque la registra in un duetto con Milton Nascimento; e questa diventa la versione più popolare del brano. Milton ha una voce splendida, fa un grande uso del falsetto, e anche lui è uno di quelli che combatte il governo fascista dei militari. <i>Coração de Estudante</i> commemora il funerale dello studente Edson Luís, ucciso giovanissimo dalla polizia del regime il 28 marzo 1968.<br />Nel 1978 Gigliola Cinquetti incide la canzone nel suo album <i>Pensieri di donna</i>. Gigliola canta un po’ in portoghese e un po’ in italiano, in una versione, non molto fedele, scritta da Sergio Bardotti. Non è una “pasionaria”, ma anche Gigliola sta dalla parte giusta.<br /><br /><i>ah che sarà, che sarà<br />che tutti i loro avvisi non potranno evitare<br />che tutte le risate andranno a sfidare<br />che tutte le campane andranno a cantare<br />e tutti gli inni insieme a consacrare</i><br /><br />A metà del concerto, non so come, arriva in palazzina la notizia che Nanni Moretti è tra il pubblico. Certo Moretti è il regista che ha raccontato con <i>Palombella rossa</i> e <i>La cosa</i> la fine del PCI, è il vincitore, con <i>La stanza del figlio</i>, della Palma d’oro al Festival di Cannes del 2001, il secondo italiano dopo Ermanno Olmi con <i>L’albero degli zoccoli</i>, ma nel settembre 2002 è, almeno per noi, soprattutto un uomo politico, il leader “de facto” dei girotondi.<br />Immagino che molti di voi non se lo ricordino, ma per alcuni mesi in quell’Italia tenacemente berlusconiana nasce questo movimento fatto di professori, artisti, intellettuali, altrettanto tenacemente antiberlusconiani. La forza di Berlusconi, sia detto per inciso, è stata proprio questa capacità di animare entusiasmi, a favore o contro poco importa, riuscendo a stare lui comunque al centro della scena. Quelli dei girotondi non sono solo contro Berlusconi, sono anche contro di noi, perché, a loro dire, non siamo abbastanza antiberlusconiani. È stato proprio Nanni, il 2 febbraio di quell’anno a piazza Navona, a dare voce a questo malcontento contro i partiti dell’Ulivo: salito inaspettatamente sul palco, dove ci sono anche i leader del centrosinistra, li attacca e quell’attacco viene calorosamente applaudito.<br />Il 14 settembre, mentre noi alla Festa dell’Unità di Bologna ospitiamo l’MTV Day - nel cast di quell’edizione ci sono Afterhours, Articolo 31, Daniele Silvestri, Meganoidi, Negrita, Piero Pelù, Timoria e dall’Irlanda arrivano The Cranberries - i girotondi organizzano una grande manifestazione a Roma. Piazza del Popolo non basta e viene spostata a piazza San Giovanni. Quella scelta ha anche un valore simbolico, perché quella è la piazza delle storiche manifestazioni della sinistra italiana. Don Luigi Ciotti, Rita Borsellino, Gino Strada, Paolo Flores d’Arcais, Furio Colombo, Francesco Pardi, Daria Colombo, Vittorio Foa sono tra quelli che parlano dal palco. Ci sono anche molti artisti: De Gregori, Mannoia e Roberto Vecchioni. È proprio Nanni Moretti ad aprire quella grande manifestazione.<br />Quindi quel mercoledì sera c’è alla Festa, seppur non invitato, un importante ospite politico, per rango qualcosa di simile a un segretario di partito. Qualcosa bisogna pur fare. Il segretario della Federazione mi ordina di raggiungere Moretti e di invitarlo a cena dopo il concerto. Inaspettatamente Nanni accetta.<br />Adesso devo chiedere a Vanes e ai compagni di Pianoro - che gestiscono uno dei ventuno ristoranti della Festa - di tenere aperto il ristorante fino alla fine dello spettacolo, sicuramente parecchio dopo la mezzanotte. Stavolta si arrabbiano davvero, tanto più quando spiego che dobbiamo portare a cena Moretti, che quei compagni considerano un avversario, perché è uno che invece di unire, divide. Per fortuna c’è la moglie di Vanes che intercede e organizza un gruppo minimo di compagni per tenere in piedi il ristorante così tardi.<br /><br /><i>e tutti i figli insieme a purificare<br />e i nostri destini ad incontrare<br />perfino il padreterno da così lontano<br />guardando quell’inferno dovrà benedire</i><br /><br />Durante la cena Nanni mangia e parla poco, c’è un palpabile imbarazzo. Per fortuna tra le compagne scelte per rimanere c’è la figlia di Gino Agostini, un passato da partigiano, fondatore del Cidif, il Consorzio italiano distributori indipendenti, uno dei pochissimi che ha creduto nel regista ai tempi di <i>Io sono un autarchico</i>. Il ricordo di Gino serve ad allentare la tensione. E non si parla di politica. La cena è comunque piuttosto veloce, per la soddisfazione dei compagni di Pianoro, che finalmente possono pulire e mettere via tegami e stoviglie, che dovranno essere pronti per una prossima Festa.<br />Per i giovani e per quelli che hanno perso memoria, occorre ricordare che il movimento dei girotondi è destinato a svanire, rapidamente come è nato. All’inizio dell’anno successivo sembra che Sergio Cofferati - che il 23 marzo 2002 ha portato al Circo Massimo tre milioni di persone con la Cgil - possa diventare il leader di questa eterogenea compagnia. Ma, come sappiamo, dopo essere tornato per qualche giorno a lavorare alla Pirelli, si candida a sindaco di Bologna e quel sogno movimentista sfuma. Nel 2003 sarà proprio Sergio la “star” della Festa al Parco Nord - ancora una volta nazionale, la mia seconda - e proprio da lì inizierà la lunga campagna elettorale della “reconquista”.<br />Io forse non sono il più adatto a parlarne, visto che ero dall’altra parte, facevo il funzionario di partito, ero considerato da quelli del movimento la quintessenza di quello che non volevano essere, di quello che era da buttare. Eppure senza i vituperati partiti, senza le compagne e i compagni delle Feste, non avrebbero potuto fare nulla. Ed effettivamente non hanno fatto nulla. Erano un movimento fatto di generali che pensavano inutile la fureria. E io ero un furiere, e lo facevo anche abbastanza bene. Sembrava non si rendessero conto che per fare politica servono anche risorse, il “vil denaro” (e le feste servivano anche a questo). Proprio non riuscivo a farmeli stare simpatici. E oggi, anche se sono convinto che noi allora abbiamo completamente sbagliato, lo sono altrettanto che non avevano ragione nemmeno loro. Se avessero vinto, saremmo morti comunque.<br />L’unica soluzione possibile sarebbe stata affidarsi alla saggezza e alla determinazione della moglie di Vanes, ma ovviamente non lo abbiamo fatto.<br /><br /><i>quel che non ha governo né mai ce l’avrà<br />quel che non ha vergogna né mai ce l’avrà<br />quel che non ha giudizio<br /></i><br />Adesso che sono certo che io non cambierò il mondo e che sono abbastanza sicuro che non possa affatto cambiare, credo di aver capito che <a href="https://www.youtube.com/watch?v=g1okQUHZS0w"><i>O que serà</i></a> è, con il suo ritmo di bossa nova, una canzone d’amore. Dell’amore per i nostri ideali perduti.<br /><br /><i>quel che non ha governo né mai ce l’avrà<br />quel che non ha vergogna né mai ce l’avrà<br />quel che non ha giudizio</i>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-35651977851506158352023-07-04T12:58:00.000+02:002023-07-04T12:58:18.283+02:00Verba volant (840): sbuffo...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisnuOhhVxLkwPnYU28WDUUeRYHjogmNYiBDYSo5SFKl2V-dskQKsdQyoJSOPFDD9FKsdL3w6IKe8eGhBlIiJpc6f21Q6OrFOuum7yjTJB94_1p9wde2Knzby5yzf7TDOx6qkSRAB-dS3afyUf0yK6i1OSohrbLkmQv4_6xFwhMmET6GhASnCCXdLMPYuEd/s745/897003_1_m.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="485" data-original-width="745" height="475" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEisnuOhhVxLkwPnYU28WDUUeRYHjogmNYiBDYSo5SFKl2V-dskQKsdQyoJSOPFDD9FKsdL3w6IKe8eGhBlIiJpc6f21Q6OrFOuum7yjTJB94_1p9wde2Knzby5yzf7TDOx6qkSRAB-dS3afyUf0yK6i1OSohrbLkmQv4_6xFwhMmET6GhASnCCXdLMPYuEd/w731-h475/897003_1_m.jpg" width="731" /></a></div>Sbuffo</b>, <i>sost. m.</i><br /><br /> È l’una di notte del 15 settembre 1954. All’angolo tra Lexington Avenue e la 52esima Strada c’è molta confusione, insolita anche per la città che non dorme mai.<br />Adesso in quell’isolato, che arriva fino a Park Avenue, c’è un grattacielo di quarantaquattro piani - per lo più uffici di prestigiose società finanziarie e ricchi studi legali - costruito alla fine degli anni Sessanta, dopo che è stato demolito lo storico Hotel Ambassador. In particolare su quell’angolo - dove adesso c’è la steak-house Le Relais de Venice, la sede di New York di un famoso ristorante di Parigi - c’erano il Trans-Lux Theater, un negozio di liquori e una gioielleria. <br />Quella sera in quel cinema è in programma <i>Il mostro della laguna nera</i>, uno dei grandi successi cinematografici dell’anno, con la splendida Julie Adams - di questo però vi parlerò in un’altra delle mie noterelle. Ma non è per questo motivo che si è accalcata tutta quella folla. Stanno girando la scena del nuovo film di Billy Wilder con Marilyn Monroe. L’idea è venuta al fotografo Sam Shaw.<br /><br />Sam è nato a New York nel 1912, ma si è trasferito presto a Hollywood. È un fotografo di grande talento, l’autore di celebri ritratti delle star del cinema della Golden Age, capace di cogliere la spontaneità anche in quelle pose così studiate. Ha conosciuto Marilyn sul set di <i>Viva Zapata! </i>che lei frequenta perché il regista è Elia Kazan e sono diventati subito amici. Lei, nei giorni in cui non lavora su qualche set, accetta di portare Sam in giro in auto, visto che il fotografo non guida. Quel lavoretto le serve per pagare l’affitto e in più diventa uno dei soggetti preferiti del geniale fotografo, capace di renderla ancora più bella di quanto già sia. Sam segue Marilyn in tutta la sua carriera, anche quando diventa una star e non ha certo il problema di trovare i soldi per l’affitto. È lui a convincere Arthur Miller a trasformare in una sceneggiatura il suo racconto <i>Gli spostati</i>.<br />Per <i>Quando la moglie è in vacanza</i> Sam suggerisce a Billy Wilder di girare una scena in cui, per trovare sollievo dal caldo di quell’estate in città, la Ragazza - come si chiama il personaggio interpretato da Marilyn - si ferma sulla grata di aereazione della metropolitana e quello sbuffo d’aria fresca le alza la gonna. Probabilmente si è ricordato di quando lavorava a Coney Island: in una delle grandi giostre c’erano dei buchi da cui i clown, quando salivano delle belle ragazze, azionavano un congegno che buttava fuori un getto di aria compressa, per fare alzare le gonne e mostrare le gambe di quelle giovani bellezze newyorchesi, che Sam prontamente fotografava.<br />A Billy Wilder l’idea piace molto. Da appassionato di cinema si è probabilmente ricordato di un curioso cortometraggio del 1901 intitolato <i>What Happened on Twenty-third Street, New York City</i>, in cui lo sbuffo d’aria della metropolitana solleva la pesante gonna di una donna che passeggia per la città, facendola molto divertire. Nella commedia di George Axelrod ovviamente quella scena non c’è, ma Billy capisce che funziona e così viene inserita nella sceneggiatura. Siamo nella seconda parte del film: Richard ha trovato il coraggio di invitare la Ragazza al cinema, anche perché lì c’è l’aria condizionata. Usciti dalla sala, la Ragazza cerca di rinfrescarsi su quella grata, aspettando che passi la metropolitana - naturalmente là sotto c’è un tecnico che, agli ordini di Wilder, aziona un grande ventilatore, uno dei tecnici più invidiati nella storia del cinema. Ogni sbuffo d’aria suscita l’ammirazione del povero Richard, lasciato dalla moglie in città, in balia di tante tentazioni. Ci scappano anche due baci: per testare la bontà del dentifricio Brillident che la Ragazza pubblicizza. Passeranno la notte insieme - nell’appartamento dell’uomo c’è l’aria condizionata - ma tra loro non succederà nulla. Solo il Codice Hays poteva costringere un americano medio a resistere a Marilyn Monroe. Nella commedia sappiamo che invece non resiste e quel tradimento estivo viene effettivamente consumato.<br /><br />A dire la verità potrebbero girare quella scena anche negli studi della 20th Century Fox su Pico Boulevard, ma i press-agent decidono di farne un veicolo pubblicitario del film. E così si organizza quella notte di riprese a Manhattan, comunicandolo alle agenzie di stampa. E naturalmente sono tanti i curiosi che vogliono vedere da vicino Marilyn, l’attrice che ha fatto impazzire il pubblico in <i>Gli uomini preferiscono le bionde</i> e <i>Come sposare un milionario</i>. Wilder chiede di girare la scena ben quattordici volte, un po’ per la confusione che fanno tutti quelli che stanno lì intorno - ogni volta che la gonna si alza un urlo sale dalla folla - ma soprattutto a beneficio dei tanti fotografi che non vogliono perdere il fugace momento in cui la gonna dell’abito bianco creato da William Travilla si alza, lasciando scoperte le bellissime gambe di Marilyn. Qualcuno maligna che il costumista si sia limitato a comprare quel vestito, trovandolo perfetto per la sua attrice. Ovviamente Travilla ha sempre negato, pur considerandolo un “vestitino”, una cosuccia disegnata in pochi minuti.<br />Solo Marilyn riesce a essere così sfacciatamente candida in quella scena di seduzione. È davvero irresistibile. Da questo momento la sua stella brillerà come nessun’altra nel cielo di Hollywood - grazie anche al grande Billy Wilder che la dirige quattro anni dopo in <i>A qualcuno piace caldo</i> - una stella però destinata a spegnersi così rapidamente come si è accesa.<br />La scena sarà girata nuovamente negli studi di Hollywood. Ovviamente la conoscete tutti, anche se nel film non si vede, o meglio non si vede quello che voi ricordate. C’è l’immagine delle gambe di Marilyn scoperte dall’aria e poi lo stacco sullo sguardo di Tom Ewell. E anche lui è perfetto: sembra davvero che siano le prime gambe che abbia mai visto. Questo è il materiale girato in studio. Invece voi ricordate la splendida Marilyn a figura intera con la gonna svolazzante, inutilmente trattenuta dalle mani della ragazza che ci sorride, innocente e maliziosa, consapevole di essere l’oggetto del desiderio di tutti quegli uomini, conscia che stanno mettendo in mostra la sua bellezza e il suo corpo per vendere un film, ci sembra a un tempo felice e spaventata. Quella che ricordate è la foto di Sam Shaw. Poi ce ne sono altre, tante altre, perché quella notte a fotografare Marilyn ci sono George Zimbel, Garry Winograd, Elliot Erwitt, Geoge Barris, artisti che hanno fatto la storia della fotografia e che hanno fatto o faranno splendidi ritratti di Marilyn. Ma solo al suo amico Sam lei regala quel sorriso che è entrato nella storia, perché quella foto è diventata una delle immagini simbolo del Novecento.<br />Non c’è Ed Feingersh, che però nel 1955 scatta alcune splendide foto di Marilyn all’interno della Grand Central Station e a bordo di un vagone della metropolitana durante un celebre servizio fotografico per Redbook, in cui deve raccontare una giornata dell’attrice.<br />Tra le persone che quella notte sono a quell’angolo di Lexington Avenue c’è anche Joe DiMaggio, da pochi mesi marito di Marilyn. Joe si infuria di fronte a quegli uomini che guardano Marilyn, che urlano quando vedono le sue gambe, trova quello spettacolo indecoroso o forse realizza per la prima volta che Marilyn non sarà mai “sua”. E certo soffre di non essere più la star. Furibondo lascia il set e quella notte i clienti del St. Regis sentono le urla del loro litigio. La mattina successiva i truccatori faranno fatica a nascondere i segni lasciati da Joe. Il matrimonio finirà pochi mesi dopo. Tanti altri vorranno possedere Marilyn, che però, anche grazie a quelle foto che fanno il giro del mondo, è ormai diventata una leggenda. E nessuno può imprigionare una leggenda.<br /><br />Prima di quel fugace, seppur peccaminoso, sbuffo d’aria, la Ragazza commenta con Richard il film che hanno appena visto e, stupendo il suo accompagnatore, lei difende il mostro.<br /><blockquote>Faceva paura a guardarlo, però in fondo non era cattivo. Forse cercava solo un po’ d’affetto, di sentirsi amato, desiderato, coccolato.</blockquote>Forse in una calda notte d’estate di dieci dopo, Norma Jean si è ricordata di questa battuta. Anche Marilyn era un monstrum, un prodigio, che chiedeva solo di essere amato.Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-990681702695287362023-06-30T15:14:00.001+02:002023-06-30T15:14:07.398+02:00Verba volant (839): quoziente...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEbKQ_pkFlmzko0S5TsGWhe3RDlxmBX9DBEx54v_JKCoNir0B5mLuU5iYHyYgxB_kZPxyrZv2IeM4Q4XEshyUaQ0T2BpIF0gxA6fdZrkIufcY5Zv8YIiKE6pbQcSVqtT8bK2Dno9fzE1WQ51scHVsFMQJaq1Q1u7l4KGL-xwvWzVuFLIFr4lbfUjNzF1SR/s1295/The-Seven-Year-Itch.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="878" data-original-width="1295" height="455" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgEbKQ_pkFlmzko0S5TsGWhe3RDlxmBX9DBEx54v_JKCoNir0B5mLuU5iYHyYgxB_kZPxyrZv2IeM4Q4XEshyUaQ0T2BpIF0gxA6fdZrkIufcY5Zv8YIiKE6pbQcSVqtT8bK2Dno9fzE1WQ51scHVsFMQJaq1Q1u7l4KGL-xwvWzVuFLIFr4lbfUjNzF1SR/w671-h455/The-Seven-Year-Itch.jpg" width="671" /></a></div>Quoziente</b>,<i> sost. m.</i><br /><br /> I Brind sono una famiglia della colta borghesia ebraica di Vienna: Nah è un insegnante di lingue e Anna una psicologa. Il 24 marzo 1928 nasce Smylla. Nel 1937 partono per Parigi: hanno provato a resistere al regime di Dollfuss, ma è chiaro che tra poco l’Austria sarà annessa al Reich e per loro sarà impossibile continuare a vivere lì. Ma anche la capitale francese diventa troppo pericolosa per loro e, pochi giorni dopo lo scoppio della guerra, scappano negli Stati Uniti. Smylla frequenta le scuole a Manhattan e si dimostra, anche grazie alla perfetta padronanza della nuova lingua, una studentessa brillante. Oltre al tedesco e all’inglese, parla correntemente il francese e l’italiano. Ama recitare e a dodici anni, quando viene a sapere che a Broadway stanno cercando una bambina della sua età con l’accento tedesco, decide, senza dire nulla ai suoi genitori, di presentarsi all’audizione. È il nuovo dramma di Lillian Hellman, intitolato <i>Watch on the Rhine</i>.<br />Lillian ha già avuto successo a teatro con <i>La calunnia</i> e <i>Le piccole volpi</i>: sono testi che hanno dato scandalo, perché l’autrice non ha paura né di affrontare temi scabrosi come l’omosessualità femminile né di denunciare l’ipocrita perbenismo della società americana. Compagna di Dashiell Hammett, comunista, attiva sostenitrice delle campagne per aiutare la Repubblica in Spagna, entra in contrasto con le posizioni pacifiste della sinistra radicale degli Stati Uniti che, in nome dell’internazionalismo, non vuole partecipare a una “guerra borghese”: infatti Lillian si schiera decisamente per l’intervento militare del suo paese contro i regimi fascisti europei. Scrive sia per Broadway che per Hollywood, anche se il Codice Hays le impone di attenuare molto la portata polemica dei propri testi quando li adatta per il grande schermo.<br />L’autrice trova che Smylla sia perfetta e la bambina viene ingaggiata per il ruolo di Babette, ma i Brind, che adesso devono essere informati della decisione della figlia, preferiscono che la ragazzina non perda troppi giorni di scuola. Così la parte va alla sua coetanea Ann Blyth - che, grazie anche alla sua bravura come cantante, andrà a Hollywood, anche se non avrà il successo che avrebbe meritato. Smylla viene comunque scritturata come sostituta di Ann e nelle ultime repliche dello spettacolo riesce a debuttare a Broadway e a partecipare a una tournée estiva.<br />Dopo che la sua famiglia si trasferisce a Chicago, grazie al suo altissimo quoziente di intelligenza - Smylla ottiene un incredibile punteggio di 165 - viene chiamata come ospite del popolare programma radiofonico <i>Quiz Kids</i>, dove in ogni puntata un gruppo di cinque bambini risponde alle domande degli ascoltatori e del pubblico dello studio. Smylla, oltre che essere bravissima sulle domande di letteratura, è simpatica e molto spigliata davanti al microfono, tanto da diventare un’ospite fissa del programma.<br />I produttori della RKO, sempre a caccia di talenti, si accorgono di quella giovane e a sedici anni la mettono sotto contratto. Lo studio la fa debuttare, con il nome Tessa Brind, nel 1944 in <i>Youth Runs Wild</i>, un film scritto da John Fante, sul problema della delinquenza giovanile cresciuta durante la guerra. Poi lo studio le cambia nome e Vanessa Brown, tra il 1946 e il 1949 appare in sette film: con quel viso e quei grandi occhi scuri è perfetta per i ruoli da “ingenua”. Mentre lavora per la RKO, Smylla si iscrive all’Università della California e si laurea in letteratura inglese nel 1949. È anche la critica cinematografica del giornale del campus, il Daily Bruin.<br />I film in cui appare non sono memorabili, ma offrono a Vanessa l’occasione di lavorare con registi importanti come Joseph. L. Mankiewicz, Walter Lang, William Wyler. In <i>Il fantasma e la signora Muir</i> - forse il migliore tra i film di Vanessa - recita con Rex Harrison e la bellissima Gene Tierney: è Anna da adulta, mentre Natalie Wood è Anna bambina. La protagonista di <i>Come nacque il nostro amore</i> è Betty Grable, Maureen O’Hara è<i> La superba creola</i>, ancora con Rex Harrison, mentre Olivia de Havilland e Montgomery Clift sono le giovani star di <i>L’ereditiera</i>. Quella brillante studentessa si trova fianco a fianco ogni giorno nella mensa degli studi del 780 di Gower Avenue con chi realizza i film di cui scrive le recensioni. È una posizione privilegiata per capire come funziona davvero Hollywood.<br />Vanessa sembra una promessa dello studio, non ha il fisico di una pin up, ma ha un viso dolce e un bellissimo sorriso. Nel 1950 viene scelta per il ruolo di Jane in <i>Tarzan e le schiave</i>, il secondo in cui l’eroe di Edgar Rice Borroughs viene interpretato da Lex Barker, che qualche anno dopo girerà alcuni film anche in Italia: ne <i>La dolce vita </i>è Robert, il marito di Anita Ekberg. Vanessa è l’ottava attrice a interpretare Jane, dopo Maureen O’Sullivan e Brenda Joyce, che hanno portato questo personaggio sul grande schermo rispettivamente sei e cinque volte. La splendida attrice irlandese è la sola che ha avuto l’opportunità di essere Jane nella Pre-Code Hollywood e per questo è rimasta nell’immaginario di una generazione di giovani spettatori, anche grazie al fatto che quella Jane può nuotare nuda insieme a Tarzan. Vanessa ovviamente non può indossare il succinto perizoma di Maureen, le sue forme aggraziate devono solo intuirsi sotto il costume. Sa che si tratta dell’ennesimo b-movie su Tarzan, di un prodotto di consumo, in cui lei deve soltanto sorridere e far vedere le gambe. Vanessa, qualche anno dopo, dirà che la cosa difficile non è stata arrampicarsi sugli alberi, ma capire come doveva interpretare quel personaggio. E in generale che si sentiva “contorta” nel dover gestire insieme la sua bellezza con quell’ingombrante QI. Comunque Vanessa spera ancora - è lecito a quell’età - che Hollywood le possa riservare qualcosa di più. Non sarà così. Il ruolo di Jane passa ad altre giovani promesse, Virginia Huston, Dorothy Hart, Joyce Mackenzie; e per nessuna di loro sarà il trampolino per una felice carriera.<br />Agli inizi degli anni Cinquanta Vanessa recita in alcuni altri film non memorabili. Nel 1952 ottiene una piccola parte in <i>Il bruto e la bestia</i>, un film diretto da Vincente Minnelli con Lana Turner e Kirk Douglas, che viene presentato al Festival di Venezia. A ventiquattro anni la sua carriera cinematografica è praticamente terminata.<br /><br />Smylla sa che nella vita c’è altro oltre al cinema. Si sposa. La prima volta, dal 1950 al ’57, con Robert Alan Franklyn, un chirurgo plastico, e poi, dal 1959 all’89, con il regista televisivo Mark Sandrich Jr. - suo padre è stato uno specialista dei film musicali: negli anni Trenta ha diretto tutti i grandi successi della coppia Fred Astaire e Ginger Rogers. Smylla e Mark hanno due figli: David Michael e Cathy Lisa.<br />Decide di impegnarsi in politica. È iscritta al Partito Democratico e sostiene con passione la candidatura di Adlai Stevenson alla presidenza sia nel 1952 che nel 1956 - quell’anno è anche delegata alla convention di Chicago - ma in entrambe le occasioni l’ex governatore dell’Illinois viene sconfitto da Eisenhower. Stevenson è un grande oratore, un uomo capace di infiammare il pubblico durante i comizi, ma, per dirla con Nenni, “piazze piene, urne vuote”. Stevenson è un intellettuale e l’America negli anni Cinquanta, nel pieno della Guerra fredda, preferisce affidarsi a un generale. Il mondo del cinema è schierato con quell’avvocato dalle idee progressiste e per questo nel 1962 un gruppo di attivisti del partito - tra cui troviamo anche Smylla - crea un comitato per presentare la candidatura di Stevenson come governatore della California.<br />Non se ne fa nulla, e poi sta nascendo la stella di Ronald Reagan. Smylla sostiene anche Kennedy. L’interesse per la politica non la abbandona. È una corrispondente di The Voice of America, il servizio ufficiale radiotelevisivo del Governo federale degli Stati Uniti, occupandosi prevalentemente di analisi politica, ma anche di scienza e di medicina. Agli inizi degli anni Settanta scrive un ponderoso saggio sulle politiche di Willard Wirtz, il Segretario al Lavoro delle amministrazioni Kennedy e Johnson. Per il suo ruolo Wirtz è stato uno dei membri del gabinetto Johnson che ha promosso e attuato le riforme della cosiddetta “Great Society”, il programma sociale più ambizioso dai tempi del New Deal, smantellato da Nixon prima e poi da Reagan, e mai più superato dalle blande politiche di riforma dei successivi presidenti del Partito Democratico. Sappiamo che i rapporti tra Wirtz e il Presidente si incrinarono a seguito di un memorandum, reso pubblico solo alcuni annui dopo, in cui il primo criticava l’impegno statunitense in Vietnam, che è stata la ragione del sostanziale fallimento di quella auspicata stagione di riforme. Smylla vive intensamente questo fermento politico e sociale e se ne sente parte. È in qualche modo un testo che si occupa di politica il dramma che in questi anni scrive con la speranza di poterlo portare a Broadway. Si intitola <i>Europa e il toro</i>. Troppo intellettuale e non se ne fa nulla.<br />Ha anche un buon successo come pittrice: si firma con il suo nome alla nascita Smylla.Vanessa torna ogni tanto anche a lavorare in televisione o come ospite fissa in quiz - <i>I’ll Buy That</i> e <i>Pantomine Quiz</i>, celebri programmi degli anni Cinquanta - o come guest star in telefilm, da <i>Perry Mason </i>a <i>Dallas</i>, fino a <i>La signora in giallo</i> - Vanessa è nell’undicesima puntata della quinta stagione. Al cinema è una delle avide figlie di una madre fin troppo generosa in <i>Rosie!</i> del 1967, con Rosalind Russell nella parte della protagonista, e nel 1976 la sorella dell’inquietante protagonista - Millie Perkins, Anna Frank nel classico degli anni Cinquanta - nell’horror <i>The Witch Who Came from the Sea</i>. Un personaggio secondario in un b-movie di scarsa qualità: questo è l’ultimo ruolo che Hollywood propone a Vanessa.<br /><br />Ma c’è un’altra storia che dobbiamo assolutamente raccontare a proposito di Smylla Brind. Nel 1952, a ventiquattro anni, torna a recitare a Broadway e questa volta finalmente con un ruolo da protagonista.<br />George Axelrod è uno scrittore di trent’anni che fino a quel momento si è guadagnato da vivere scrivendo sceneggiature per commedie radiofoniche e televisive. Vive con la moglie e i due figli al 71 di Irving Place, nel quartiere di Gramercy a Manhattan. L’appartamento degli Axelrod è a piano terra, ma, come in tutti quei palazzi, c’è una scala esterna che lo collega ai piani superiori. Quell’estate la moglie e i due figli di George sono in vacanza. Sopra di loro vive un simpatico vecchietto, ma - pensa lo scrittore - cosa potrebbe succedere se in quell’appartamento vivesse una bella e disinibita ragazza, ad esempio come la sua amica Barbara Nichols, una bionda pin up che lavora da modella e sogna di sfondare a Broadway. Barbara negli anni Cinquanta farà una carriera da Marilyn minore. E da quello spunto e forse da una storia successa davvero - ma questo è un affare del signore e della signora Axelrod - George in poche settimane scrive una commedia. I produttori Elliott Nugent e Courtney Burr credono in quel testo - probabilmente più di quanto ci creda lo stesso autore - e il 20 novembre 1952 va in scena al Fulton, il grande teatro sulla 46esima Strada, che tre anni dopo sarebbe stato dedicato a Helen Hayes, la commedia intitolata <i>The Seven Year Itch</i>. Dimenticate<i> Quando la moglie è in vacanza</i>, come si intitola in Italia il film che nel 1955 la 20th Century Fox costruisce intorno all’erotica innocenza di Marilyn Monroe e che consacrerà Norma Jean tra le leggende di Hollywood. E su quel celeberrimo sbuffo d’aria da una grata della metropolitana di Lexington Avenue scriverò una delle mie prossime noterelle.<br />George Axelrod e Billy Wilder che scrivono la sceneggiatura sanno bene cosa permette il Codice Hays. E soprattutto cosa non permette. Mentre il film è una divertente commedia romantica, in cui il tradimento di Richard con la Ragazza è solo immaginato - e i due protagonisti si scambiano soltanto tre baci - l’opera che va in scena a Broadway è una commedia esplicitamente sul sesso, in cui il tradimento è consumato, praticamente in scena.<br />Il mattino dopo il debutto George è preoccupato. Le prove non sono andate bene, sono state necessarie diverse riscritture e il terzo atto non lo convince. Anche i produttori cominciano a preoccuparsi per le reazioni dei gruppi religiosi. Il pubblico della prima ha applaudito con calore, ma quanto potrà reggere? Quella mattina nevica, George non ha voluto comprare i giornali, ma ha bisogno di soldi e decide di andare a teatro per chiedere un anticipo di dieci dollari. Quando svolta sulla 46esima George vede una fila di persone che dal botteghino del Fulton arriva fino alla Settima Avenue. Adesso compra i giornali e tutti i critici, anche quelli più severi, lodano quella commedia. <i>The Seven Year Itch</i> chiuderà il 13 agosto 1955, dopo millecentoquarantuno repliche: il più grande successo di Broadway degli anni Cinquanta per un’opera non musicale. Il Tony andrà a <i>Il crogiolo</i> di Arthur Miller - che nel 1956 diventerà il marito di Marilyn - che però rimane in scena solo centonovantasette repliche.<br /><i>The Seven Year Itch</i> è quello che il pubblico degli anni Cinquanta vuole finalmente vedere a teatro: il sesso. Sono gli anni in cui escono i due cosiddetti Rapporti Kinsey. Hugh Hefner nel dicembre 1953 pubblica il primo numero di Playboy. Il perbenismo imposto dal Codice Hays non riesce più a trattenere quello che il pubblico vuole davvero vedere.<br />Per il ruolo di Richard Sherman, l’americano medio che non riesce a resistere alle tentazioni, viene scelto Tom Ewell. nato nel 1909 nel Kentucky, Tom scopre presto la passione per la recitazione. Debutta nel 1934 a Broadway e nel 1940 a Hollywood. Presta servizio in Marina durante la guerra. Congedato torna a recitare e inizia una carriera da brillante caratterista, sia al cinema che in teatro. Anche se lui preferisce di gran lunga il secondo. <i>The Seven Year Itch </i>è il suo primo - e più fortunato - ruolo da protagonista. Vince il Tony e vincerà anche il Golden Globe nel 1956 per lo stesso ruolo nell’adattamento cinematografico, che viene completamente ignorato dall’Academy. Tom continua a lavorare con successo a Hollywood, ma non rinuncia al teatro: nel 1956 è Vladimiro nella prima edizione negli Stati Uniti di <i>Aspettando Godot</i>. E poi arriva la televisione. Partecipa a decine di serie e vince un Emmy per il ruolo del vecchio poliziotto in pensione Billy Truman in <i>Baretta</i>. Il suo ultimo ruolo è nella tredicesima puntata della seconda serie di <i>La signora in giallo</i>.<br />Vanessa Brown è la Ragazza. È giovane, è bella, è perfetta per essere l’oggetto del desiderio di Richard. Ma anche in questo caso dimenticatevi Marilyn, perché la Ragazza della commedia non è la “magnifica preda” del film di Billy Wilder. La Ragazza è una donna indipendente che, a poco più di vent’anni, ha già fatto i conti con la sua sessualità. E appare molto più sveglia di Richard. A lei non interessa innamorarsi e per questo rifiuta gli appuntamenti con quei ragazzi che pensa si innamoreranno di lei. Richard gli sembra perfetto, perché è sposato e soprattutto perché sa che, dopo quell’avventura estiva di una notte o due, lui tornerà da sua moglie. La Ragazza cerca sesso senza vincoli e Richard lo può offrire: è un buon affare per entrambi. I moralisti, la stampa conservatrice, i gruppi religiosi ovviamente si scagliano contro la commedia, ma il pubblico che corre a teatro intuisce che quella storia racconta un mondo nuovo, in cui i rapporti tra i sessi dovrebbero essere molto più liberi. C’è a suo modo una speranza di cambiamento in quel messaggio di liberazione, un messaggio che la società americana – come la nostra – non sembra più in grado di ascoltare. E forse non è un caso che dopo quella fortunata stagione <i>The Seven Year Itch </i>non sia mai più stato ripreso a Broadway.<br />Non siamo pronti a un mondo in cui ci siano donne come la Ragazza. E non siamo pronti a donne come Vanessa.Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-22344375380172745812023-06-14T09:08:00.000+02:002023-06-14T09:08:00.298+02:00Verba volant (838): piede...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjK1KzqHyVtjEDyHskJ8IhaWkTRY-NP4B9dIMkguppUi1-Fc4ZrMVIE0OgwkHYJokDKj7bpmtqvP1gDBgZfi4bc2t35r-VodmOwSG7VDkw14ccyZuk6_KbCZbcLBsOapvEMN-Fum_GHsr6xe8yYdhcciSSmGKsdFQu2GzzyOnr3q4IcTMLw0vH410MEgg/s1255/redfordashley.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="812" data-original-width="1255" height="419" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjK1KzqHyVtjEDyHskJ8IhaWkTRY-NP4B9dIMkguppUi1-Fc4ZrMVIE0OgwkHYJokDKj7bpmtqvP1gDBgZfi4bc2t35r-VodmOwSG7VDkw14ccyZuk6_KbCZbcLBsOapvEMN-Fum_GHsr6xe8yYdhcciSSmGKsdFQu2GzzyOnr3q4IcTMLw0vH410MEgg/w647-h419/redfordashley.jpg" width="647" /></a></div>Piede</b>, <i>sost. m.</i><br /><br /> Immagino che tutti i fedeli lettori delle mie noterelle abbiamo visto - e rivisto -<i> A piedi nudi nel parco</i>, perché questo film del 1967 è un classico, che le televisioni replicano spesso.<br />Probabilmente solo i maniaci conoscono il nome del regista, che pure è stato uno dei grandi artigiani di Broadway e Hollywood e per quasi trent’anni il marito di Bea Arthur. E forse non ricordate neppure il nome dell’autore della sceneggiatura, eppure è il più prolifico e famoso commediografo della seconda metà del Novecento, il drammaturgo che nella carriera ha collezionato più nomination agli Oscar e ai Tony di qualunque altro autore. Vi viene in mente cosa succede durante i centosei minuti del film? Forse no, ma non preoccupatevi: come scrive Variety “non ha praticamente una trama” o per dirla con l’Herald Tribune “non parla di niente”. Eppure, come dice Life, è “una delle commedie più divertenti di sempre”.<br />Ecco vi ricordate di esservi divertiti e sicuramente avete in mente i due protagonisti, perché in questo film Robert Redford e Jane Fonda sono bellissimi. E perfetti per quei ruoli. Robert ha trentun’anni, è elegante e ben pettinato, il perfetto bravo ragazzo americano. Solo due anni dopo sarà Sundance Kid e presto diventerà il volto, sdrucito e spettinato - ma sempre bellissimo - del cinema politico degli anni Settanta, soprattutto grazie ai film diretti da Sidney Pollack: in quel giovane impettito e conservatore è difficile riconoscere Condor. Jane ha un anno in meno del suo coprotagonista, ma è più nota di lui, è una starlette in ascesa. Anche se alla fine del film lei sembra accettare di rientrare nella “normalità”, di diventare la mogliettina che Paul desidera, sappiamo che Barbarella continuerà a lottare, nelle piazze, insieme ai giovani che vogliano che gli Stati Uniti si ritirino dal Vietnam, e al cinema in una stagione di impegno civile davvero memorabile di Hollywood: Pollack, ancora lui, la dirige nello splendido <i>Non si uccidono così anche i cavalli?</i><br />Ma ovviamente non voglio parlarvi di Robert e Jane né di Neil Simon, voglio raccontarvi qualcosa che spero non sappiate. Ad esempio chi è stata la prima Corie.<br /><br />Infatti la commedia <i>Barefoot in the Park</i> debutta a Broadway, al Biltmore Theatre, il 23 ottobre 1963. Nonostante le critiche non proprio favorevoli, per questa commedia di Neil Simon, fino ad allora conosciuto soprattutto come autore televisivo, grazie al passaparola, il pubblico si accalca, tanto che la direzione del teatro deve raddoppiare il personale al botteghino per smaltire le file. Chiuderà il 25 giugno 1967, dopo millecinquecentotrenta repliche – il decimo spettacolo non musicale più longevo nella storia di Broadway – un mese dopo il lancio del film diretto da Gene Saks e sceneggiato dallo stesso Simon.<br />Il regista dello spettacolo è Mike Nichols, a cui molti riconoscono il merito di aver creato il successo della commedia. Negli anni successivi Mike, un ebreo tedesco che ha cominciato a lavorare nei cabaret - in coppia con Elaine May - e negli spettacoli off-Broadway, diventerà uno dei più importanti registi teatrali del paese - dirige tutti i grandi successi di Simon - e andrà a Hollywood: tra il 1966 e il 1970 è il regista di <i>Chi ha paura di Virginia Woolf?</i> con Richard Burton e Elizabeth Taylor,<i> Il laureato</i>, per cui vincerà l’Oscar, e <i>Comma 22</i>. Anche Nichols è uno di quelli che negli anni Settanta prende posizione dalla parte giusta.<br />Per i ruoli dei due giovani protagonisti Nichols sceglie questo giovane attore arrivato dalla California, Robert Redford, che l’anno prima ha debuttato al cinema nel film <i>Caccia di guerra</i> - pellicola in cui ha esordito come attore anche Pollack - ambientato durante la guerra di Corea. Per Robert, che ha già lavorato in qualche produzione a Broadway, si tratta del primo ruolo da protagonista. È un successo, anche personale, ma il suo ultimo ruolo a teatro. Con quella faccia la sua carriera sarà a Hollywood.<br />Per il ruolo di Corie viene scritturata Elizabeth Ashley. Ha solo ventiquattro anni, ma ha già vinto un Tony come attrice non protagonista per <i>Take Her, She’s Mine</i>, per la parte di Mollie, la figlia di un apprensivo avvocato di Los Angeles - interpretato da Art Carney - che va a studiare a Parigi. Il padre, leggendo le lettere in cui la figlia gli racconta del suo impegno e dei suoi amici beat, la raggiunge, temendo il peggio. È una divertente commedia scritta da Henry e Phoebe Ephron, che raccontano la loro esperienza di genitori di una ragazza al college. Sì, quella ragazza è Nora. E nel 1963 la commedia diventa un film con James Stewart e Sandra Dee.<br />La giovane “ribelle” che mette la testa a posto sembra proprio il ruolo per Elizabeth, che ottiene una meritata nomination ai Tony per <i>A piedi nudi nel parco</i>. Nonostante il successo, Elizabeth decide di lasciare la sua carriera, decide, come Corie, di essere moglie e madre. Sul set di <i>L’uomo che non sapeva amare</i> conosce George Peppard, si sposano, hanno un figlio e lei lascia tutto. Per questo non è lei a interpretare Corie nel film, accanto a Robert. Torna a recitare dopo cinque anni, ma ormai per lei il treno è passato. A Hollywood compare in alcuni film, ma in parti secondarie. Per fortuna c’è la televisione dove lavora moltissimo, partecipa a decine di serie e Johnny Carson l’ha ospite nel suo show per ventiquattro volte.<br />Nel 1999 è un’importante guest star in <i>Law & Order - SVU</i>: interpreta la professoressa Serena Benson, la madre di Olivia. E naturalmente c’è Broadway. Nel 1974 è Maggie in una fortunata ripresa di <i>La gatta sul tetto che scotta</i>, ruolo per cui ottiene un’altra nomination ai Tony, è Cleopatra nella commedia di Shaw, accanto a Rex Harrison nel 1977. Nel 1982 ottiene un grande successo in <i>Agnese di Dio</i>, nel ruolo della dottoressa Livingstone, accanto a Geraldine Page che interpreta la sua antagonista, madre Miriam. Tre anni dopo verrà girato il film e il ruolo della dottoressa andrà, ancora una volta, a Jane Fonda, con Ann Bancroft in quello della suora. L’ultimo ruolo a Broadway è nel 2014, è la vecchia Olga, granduchessa nella Russia degli che vive facendo la cameriera in un ristorante Childs, nella ripresa di <i>You Can’t Take It With You</i>.<br /><br />In <i>A piedi nudi nel parco</i>, oltre a quella dei due giovani sposi, c’è un’altra coppia di personaggi, decisamente più maturi, la posata Mrs Banks, la madre vedova di Corie, la tipica signora americana, e l’inquilino dell’attico, l’eccentrico e misterioso - o almeno così ama presentarsi - Victor Velasco. Anche loro, come Corie e Paul, sembrano una coppia mal assortita, ma questa volta è la compassata Mrs Banks che cede e si lascia andare alle stravaganze di quel nuovo compagno.<br />Per questi ruoli Nichols sceglie Mildred Natwick e Kurt Kasznar. E questi sono due grandi attori di cui dobbiamo raccontare qualcosa.<br />Kurt Servischer nasce da una famiglia ebrea a Vienna nel 1913. Il padre abbandona la moglie, che si risposa con un ristoratore ungherese. Kurt, che adesso si chiama Kasznar, lo considera suo padre. Fa il cameriere, ma quando incontra il regista Max Reinhardt capisce che vuole diventare un attore. Dopo le prime esperienze in patria, Reinhardt lo scrittura per la compagnia con cui va in tournée negli Stati Uniti. Nel 1936 Kurt lascia un paese che sta diventando sempre più ostile per quelli come lui. Debutta a Broadway, ma poi scoppia la guerra e Kurt si arruola nell’esercito americano. Viene assegnato al fronte del Pacifico. Ha esperienza come operatore e il comando gli assegna il compito di documentare le operazioni militari. Filma gli sbarchi americani in Nuova Guinea e nelle Filippine e la resa dell’Impero giapponese a bordo della USS Missouri. È anche uno dei primi a fotografare quello che il suo esercito ha fatto a Hiroshima e Nagasaki. Congedato, torna al teatro. È lo zio Louie in <i>The Happy Time</i> di Samuel A. Taylor, il regista di un’acclamata edizione di <i>Sei personaggi in cerca d’autore</i> e Pozzo nella prima versione americana di <i>Aspettando Godot</i>. Recita anche in alcuni film e lavora per la televisione - purtroppo il suo Nero Wolfe con William Shatner come Archie Goodwin viene cancellato - ma la sua passione è il teatro. In <i>The Sound of Music</i> è Max Detweiler, il produttore teatrale e migliore amico del capitano von Trapp: quando lo spettacolo festeggia le mille repliche, lui è l’unico componente del cast che può dire di non averne mai mancata una. Però il ruolo nel film tocca a Richard Haydn. Dopo <i>A piedi nudi nel parco</i>, è Tevye in alcune edizioni di <i>Fiddler on the Roof </i>e John Houseman lo vuole tra gli interpreti della sua edizione di <i>Don Juan in Hell</i> con Myrna Loy, Edward Mulhare e Ricardo Montalban: in sei mesi quello spettacolo tocca centocinquantotto città. Nel 1978, un anno prima di morire, interpreta con grande autorevolezza Mansky in <i>The Play’s the King</i> di Ferenc Molnàr: il suo ruolo è ormai quello del gentiluomo europeo. Non interpreta Victor nel film. La Paramount vuole un nome di maggior richiamo e Charles Boyer, con quella aria da vecchio playboy, il passato misterioso da bandito come Pépé le Moko, è perfetto: ha già sedotto almeno due generazioni di spettatrici americane. Adesso, nonostante ammiri la bellezza di Corie, può cercare la tranquillità con la signora Banks.<br />Invece Mildred Natwick interpreta lo stesso ruolo sia a teatro che al cinema. Lei è nata a Baltimora nel 1905 da una famiglia della ricca borghesia del Maryland. Il padre non è stato particolarmente contento quando la ragazza, all’età di ventun’anni, si è unita a The Vagabonds, un gruppo teatrale amatoriale della città. Debutta a Broadway nel 1932 e da quel momento tra teatro, cinema e televisione, la sua carriera dura fino al 1988, quando Stephen Frears vuole proprio lei per la parte di Madame de Rosemonde, la zia del visconte di Valmont, in<i> Le relazioni pericolose</i>. E in questi cinquantasei anni Mildred è una grandissima caratterista. A Broadway ottiene due nomination ai Tony: nel 1957 per la commedia <i>The Waltz of the Toreador</i> e nel 1970 per il musical <i>70 Girls 70</i>. Tra i ruoli che la rendono celebre, oltre a quello di Mrs Banks, ci sono quelli di Madame Arcati in<i> Spirito allegro</i> e di Miss Proserpine Garrett in <i>Candida</i>. A Hollywood John Ford la vuole in diversi film tra cui <i>Un uomo tranquillo</i>, mentre Alfred Hitchcock le affida la parte di Miss Gravely in <i>La congiura degli innocenti</i>. E per la versione cinematografica di <i>A piedi nudi del parco</i> Mildred ottiene una meritata nomination all’Oscar. Tra i tanti lavori in televisione merita di ricordare che lei e un’altra delle regine di Broadway, la sua amica Helen Hayes - insieme sono anche nel consiglio della Riverside Shakespeare Company - hanno interpretato due anziane sorelle con l’hobby di risolvere i misteri in una fortunata serie della NBC, un ruolo per cui Mildred ha ottenuto l’Emmy.<br /><br /><div>C’è un altro attore che compare sia nel cast teatrale che in quello del film. Anche se non ricordate la trama, c’è un particolare che non potete proprio dimenticare: quel delizioso appartamentino del Village si trova al quinto piano, in un caseggiato senza ascensore, e arrivare fin lassù è sempre un’impresa. Soprattutto per chi deve andarci per lavoro, come l’operaio della ditta dei telefoni. E le due volte che Herb Edelman entra in scena è sempre uno spasso.<br />Anche la storia di Herb deve essere raccontata. Nasce nel 1933 a Brooklyn. Pensa di fare il veterinario, ma lascia la Cornell University dopo il primo anno. Si arruola e l’esercito gli fa fare l’annunciatore per la Armed Forces Radio. Congedato, si iscrive al corso di teatro del Brooklyn College, ma non lo finisce. Fa il tassista e un giorno carica uno che ha più o meno la sua età e che sta cercando un attore per la commedia che deve dirigere al Biltmore. Da allora la sua carriera non si ferma più. Lo ricordate per forza, perché ha interpretato decine di telefilm. Non è mai il protagonista ovviamente, ma quella faccia davvero è impossibile dimenticarla. Tra i ruoli per cui è più celebre ci sono quelli di Stanley Zbornak, l’ex marito di Dorothy, ossia Bea Arthur in <i>The Golden Girls</i>, e il tenente Artie Gelber della polizia di New York, che in nove episodi riesce a risolvere i delitti misteriosi in cui viene chiamato a investigare grazie alle capacità di Jessica Fletcher nelle sue rare visite in città.<br /><br />Credo di avervi raccontato parecchie storie su <i>A piedi nudi nel parco</i>, che spero ricorderete la prossima volta che vedrete il film in televisione.<br />E il parco? Ovviamente a Broadway non si vede, ma nel film sì. È il parco di Washington Square, quello più vicino al Greenwich Village. Anche se si chiama parco, per lo più si tratta di una grande area pavimentata. Ci sono il Washington Square Arch e una grande fontana; e poi aree giochi per bambini e una zona dedicata ai giocatori di scacchi, due piste per i cani e anche una grande statua di Giuseppe Garibaldi. Ci sono anche delle aiuole: quando andate a New York dovete assolutamente camminarci a piedi nudi.</div>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-56589012693801031082023-06-07T09:07:00.003+02:002023-06-07T09:08:28.486+02:00Verba volant (837): pietra...<div><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhm6YZPpJqTX-g6CePw_XLj5f54sFJeijSzUgskJa48NJ03ZW6K7kvkOt_4Lh0LvJkvLbeOiKvvymOTMQb_tfQT6pWetccneiWByuGP1T8H6yW0zHRA5b7PwFX168XZGNm3ubZ5-WSBfSWXzeV3jScy1F8FjkdhDYHHS92qPGm6tX8_TEM1WGqCd7kYKw/s593/3.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="443" data-original-width="593" height="496" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhm6YZPpJqTX-g6CePw_XLj5f54sFJeijSzUgskJa48NJ03ZW6K7kvkOt_4Lh0LvJkvLbeOiKvvymOTMQb_tfQT6pWetccneiWByuGP1T8H6yW0zHRA5b7PwFX168XZGNm3ubZ5-WSBfSWXzeV3jScy1F8FjkdhDYHHS92qPGm6tX8_TEM1WGqCd7kYKw/w663-h496/3.jpg" width="663" /></a></div>Pietra</b>, <i>sost. f.</i></div><div><br /></div>Venerdì 30 settembre 1960; venti e trenta, ora di New York. I telespettatori che accendono il loro apparecchio televisivo sulle frequenze della ABC rimangono stupiti: non c’è né una sitcom né un programma musicale, ma un cartone animato su due famiglie che vivono in una curiosa parodia dell’età della pietra.<br />Coloro che sono rimasti sintonizzati per tutti i trenta minuti di quella puntata probabilmente non si sono resi conto di aver vissuto un avvenimento importante della storia della televisione americana. E della cultura di massa non solo degli Stati Uniti.<br />Molti di loro il lunedì precedente hanno assistito a un altro programma destinato a entrare nella storia: il primo dibattito televisivo tra i due candidati alla presidenza, il Vicepresidente Richard Nixon e il senatore del Massachusetts John Fitzgerald Kennedy. Al termine di quel dibattito sono pochi quelli pronti a scommettere sulla vittoria di Nixon, tutti sono convinti che con l’arrivo alla Casa Bianca di JFK stia per cominciare una nuova fase della politica americana, un’era di pace e di felicità. Sappiamo che non è andata così, ma è facile dirlo dopo l’omicidio di Dallas, il massacro di Mỹ Lai e il Watergate.<br /><br />Sabato 1 ottobre Variety definisce <i>The Flintstones</i> “a pen-and-link disaster”, insomma un disastro su tutta la linea. Anche altri critici televisivi, pur con giudizi meno trancianti, bocciano il programma. Per fortuna non sono loro a decidere i palinsesti. Dopo poche settimane gli americani si affezionano a Fred e Wilma, a Barney e Betty, si riconoscono in loro, nei loro pregi e specialmente nei loro difetti, decretandone un successo che dura ancora oggi.<br />William Hanna e Joseph Barbera sono quasi coetanei - il primo è nato nel New Mexico nel 1910 e il secondo a New York nel 1911 - si sono conosciuti nel 1938 quando entrambi lavorano al reparto animazione della Metro-Goldwyn-Mayer, diretto da Fred Quimby. William fa il regista e Joseph lo sceneggiatore e l’animatore. Nonostante abbiano caratteri e interessi assolutamente diversi, capiscono che insieme lavorano molto bene e creano una serie di cartoni i cui protagonisti sono un gatto e un topo in perenne conflitto. È un successo incredibile: sono oltre duecento i cortometraggi della serie <i>Tom & Jerry</i> e ricevono, dal 1940 al 1953, ben otto Oscar, che però ritira sempre Quimby, pur non partecipando al processo creativo. Alla fine degli anni Cinquanta la MGM decide di chiudere il reparto animazione, visto che ormai al cinema i cartoni non si proiettano più, ci pensa la televisione, e così William e Joseph fondano la propria casa di produzione. Tirano a sorte per decidere l’ordine dei nomi e nasce la Hanna-Barbera Productions, con lo studio al 3400 di Cahuenge Boulevard a Hollywood.<br />Stanno cercando un’idea per ottenere un successo altrettanto clamoroso di quello dei loro primi cartoni animati. Braccobaldo, Yoghi, Ernesto Sparalesto sono sì personaggi di successo, ma solo tra i bambini. I due autori cercano qualcosa che possa tenere insieme, come facevano i cartoni della serie <i>Tom & Jerry</i>, il pubblico di tutte le età.<br />Nella stagione televisiva 1955-56 va in onda sulla CBS una serie intitolata <i>The Honeymooners</i>, che racconta le vicende quotidiane di Ralph Kramden, un autista di autobus irascibile, ma dal cuore tenero, un bambinone con la testa sulle nuvole, che sogna sempre di diventare ricco. Per fortuna a riportarlo con i piedi per terra c’è sua moglie Alice. Sopra di loro vivono i loro migliori amici, il bonario Ed Norton, un operaio che lavora per il sistema fognario della città, e sua moglie Trixie. I personaggi che Hanna e Barbera cercano sono già lì, basta trasportare le loro storie da Brooklyn a Bedrock, aggiungere un dinosauro domestico, delle auto con le ruote di pietra azionate con i piedi, un piccolo mammut che diventa un aspirapolvere, e in questo modo nasce <i>The Flagstone</i>, come si intitola l’episodio pilota, scritto da uno specialista di sitcom come Harry Winkler, con l’animazione di Kenneth Muse che, dopo aver lavorato per Disney in <i>Pinocchio </i>e <i>Fantasia</i>, è stato uno dei “padri” alla MGM di <i>Tom & Jerry</i>. E Fred viene disegnato sulle fattezze di Jackie Gleason, che nella serie della CBS interpreta Ralph. Jackie - un ottimo caratterista che ricordiamo come Minnesota Fats ne <i>Lo spaccone</i> - anni dopo dirà di aver pensato di citare Hanna e Barbera, ma che i suoi avvocati lo hanno dissuaso: “Vuoi davvero essere ricordato come quello che ha tolto Fred Flintstone ai bambini americani?”<br />William e Joseph ci mettono due mesi a convincere la ABC e le agenzie pubblicitarie che quella può essere una serie di successo. Nessuno dei loro interlocutori dubita che sia divertente, ma in pochi credono che sia un prodotto adatto alla prima serata. Alla fine però arriva il tanto sospirato via libera. Durante la lavorazione dei ventotto episodi della prima serie, in cui Hanna e Barbera coinvolgono soprattutto sceneggiatori che vengono dalle sitcom, il cognome Flagstones viene cambiato prima in Gladstones e infine in Flintstones e sparisce il piccolo Fred Jr.. Sia i Flintstones che i Rubbles, come avviene in <i>The Honeymooners</i>, saranno due coppie senza figli.<br />La Japan Tobacco accetta di essere lo sponsor principale della serie e alla fine di ogni episodio viene aggiunto un breve spot in cui i protagonisti fumano le sigarette Winston. Proprio perché la serie non nasce per essere trasmessa nella fascia dedicata ai bambini, Fred e Wilma sono la prima coppia di un cartone animato che viene mostrata dormire in un letto matrimoniale, anche se nella sigla marito e moglie dormono convenientemente in due letti separati.<br />Il successo sorprende i dirigenti della ABC. Viene subito approvata la seconda stagione, questa volta di trentadue episodi. Il pubblico televisivo del venerdì sera continua a scegliere le avventure dei Flintstones e quindi viene programmata anche la terza serie, e questa volta la ABC decide di puntare sul colore: è uno dei primi programmi della rete a venire trasmesso con questa nuova tecnologia.<br />Viene anche sostituita la sigla. Nelle prime due stagioni il pezzo che accompagna i titoli di testa e di coda è un brano strumentale intitolato<i> Rise and Shine</i>, un pezzo molto orecchiabile, che ricorda la sigla di <i>The Bugs Bunny Show</i>, in onda sempre sulla ABC. Dal terzo episodio della terza stagione viene sostituito da un brano - <i>Meet The Flintstones</i> - con un testo di Hanna e Barbera e la musica composta dal loro storico collaboratore Hoyt Curtin, che si ispira a una parte della sezione B del secondo movimento della Sonata n. 17 di Beethoven. Quel brano diventa immediatamente popolarissimo e sono sicuro che non vi serve un link da YouTube per cominciare a canticchiarlo. E, per la sua particolare struttura, che permette continui cambi di ritmo, diventa da subito uno standard jazz.<br />Nelle terza stagione Hanna e Barbera decidono che Fred e Wilma devono avere un bambino. Questa decisione permette di aggiungere un arco narrativo agli episodi, che solitamente presentano una trama autoconclusiva. I due autori pensano di recuperare l’idea di Fred Jr., ma quelli del dipartimento marketing chiedono che sia una bambina, perché le bambole femminili si vendono più facilmente. La nascita di Pebbles cambia un po’ lo spirito della serie, che adesso viene vista anche da un pubblico di bambini. La Japan Tobacco ritira la sponsorizzazione, ma viene prontamente sostituita dalla Welch, che produce succo d’uva e gelatine, un prodotto apprezzato anche dai più piccoli. che chiederanno alla mamma di mangiare quello che in televisione mangia la piccola Flintstone. E così dalla quarta alla sesta stagione il programma viene anticipato di un’ora e spostato al giovedì.<br />Nella quarta stagione Hanna e Barbera decidono che anche Barney e Betty devono avere un bambino, introducendo un nuovo arco narrativo. Ma in questo caso gli autori scelgono di affrontare, seppur in maniera molto sfumata, il tema dell’infertilità e infatti Bamm-Bamm viene adottato.<br />Il successo della serie è dimostrato anche dalla partecipazione di alcune star, che interpretano se stesse, seppur in versione “preistorica”, come Tony Curtis e Ann-Margret, che diventano rispettivamente Stony Curtis e Ann-Margrock. E nella sesta stagione Fred e Wilma incontrano l’altra coppia d’oro della televisione americana dei primi anni Sessanta, Samantha e Darrin Stephens di <i>Vita da strega</i>, interpretati da Elizabeth Montgomery e Dick York.<br />All’inizio del decennio la serie comincia a diffondersi anche fuori dagli Stati Uniti, non solo nei paesi di lingua inglese. Nell’aprile 1963 sul canale RTF viene trasmessa la prima puntata di <i>Les Pierrafeu</i>, mente il 30 agosto dello stesso anno sul Secondo Programma della Rai debuttano <i>Gli antenati</i>. Sono i mesi del primo governo Leone, il governo “balneare” che deve traghettare l’Italia del boom verso il centrosinistra di Aldo Moro e Pietro Nenni. In quella stagione vengono doppiati solo alcuni episodi della prima serie, da alcune delle voci storiche della televisione italiana, Michele Riccardini, Mirella Pace, Carlo Reali, Zoe Incrocci - la Lumachina del <i>Pinocchio </i>di Comencini - Tina Lattanzi, Renato Cominetti, Lauro Gazzolo.<br />Il cartone animato ha un grande successo anche in Italia, tanto che i personaggi creati da Hanna e Barbera diventano protagonisti di una serie di pubblicità in onda su Carosello dal 1965 al 1971. I brevi filmati, realizzati prima da Toni e Nino Pagot - i creatori tra gli altri di Calimero e Grisù - e poi dai fratelli Gavioli, servono a reclamizzare l’insetticida Neocid Florale. È in questi caroselli che nasce la frase “Wilma, dammi la clava”, un’espressione che noi italiani associamo immediatamente a Fred, ma che il personaggio non ha mai pronunciato in nessuno dei centosessantasei episodi della serie classica.<br /><br />So che questi cartoni animati continuano a essere replicati, poi ci sono stati i film e i parchi a tema - e naturalmente il merchandising si è molto sviluppato da quelle prime bamboline della metà degli anni Sessanta - ma non credo che questa serie abbia lo stesso travolgente successo di allora. Perché i tempi sono cambiati.<br />Io e quelli della mia generazione abbiamo amato<i> Gli antenati </i>perché abbiamo subito riconosciuto quella famiglia della working class, in cui il padre andava a lavorare in fabbrica, portandosi dietro il pranzo nella gamella di alluminio - la schiscetta come la chiamano i milanesi - e in cui, anche se ci si poteva permettere qualche “lusso”, come una serata al cinema o una pizza fuori, bisognava fare i conti per arrivare alla fine del mese. E abbiamo riconosciuto nelle nostre madri, nelle madri dei nostri amici, tante Wilma e Betty, donne capaci e forti, spesso più intelligenti e sveglie dei loro mariti, donne che magari preferivano apparire un passo indietro, ma che sapevano tenere la rotta, quando la nave doveva affrontare una navigazione più pericolosa del consueto. Pensavamo che Fred e Wilma probabilmente non erano andati alle superiori, avevano conosciuto da bambini la miseria, ma erano vissuti in un mondo in cui, grazie al loro lavoro, si erano potuti comprare una casa, poi un automobile e addirittura degli elettrodomestici e potevano mandare Peebles all’università. Fred e Wilma credevano nella politica – immagino che siano stati sostenitori di Kennedy – e volevano che le riforme portate avanti dal centrosinistra fossero più radicali e soprattutto più stabili. Proprio perché erano stati poveri, Fred e Wilma sapevano che valore forte sia la solidarietà. Io li ho conosciuti Fred e Wilma, immagino che sia per questo che voglio loro ancora bene.Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-83598974464883332302023-05-20T11:14:00.002+02:002023-05-20T11:14:23.260+02:00Verba volant (836): pianoforte...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1Ntobxl3YirSoCjmYTEaFTSs7nhpZqvCgisveaCEumnCf3i3vxo7Tdgh2SQHaEcWEE8oCrqMQSRBYSiWgqFEyft-xMdIi23i4pSAFMlxcS_ltvVeOtBDAEY59UoDNjXCHdpTWv_6hmvX9QbkQP_WWMzCaqLqH2nouEPcJmLnQr1l7Wu6vEtpmf8zKFw/s2560/piano_octave-scaled.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1714" data-original-width="2560" height="425" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh1Ntobxl3YirSoCjmYTEaFTSs7nhpZqvCgisveaCEumnCf3i3vxo7Tdgh2SQHaEcWEE8oCrqMQSRBYSiWgqFEyft-xMdIi23i4pSAFMlxcS_ltvVeOtBDAEY59UoDNjXCHdpTWv_6hmvX9QbkQP_WWMzCaqLqH2nouEPcJmLnQr1l7Wu6vEtpmf8zKFw/w636-h425/piano_octave-scaled.jpg" width="636" /></a></div>Pianoforte</b>, <i>sost. m.</i><br /><br /> Come succede spesso alle grandi storie americane, anche quella che vi sto per raccontare comincia nella vecchia Europa, esattamente in un’imprecisata città del Regno di Sassonia, al tempo di Federico Augusto II, il re costretto alla fuga nell’effimera “rivoluzione di maggio”, sulle cui barricate hanno combattuto fianco a fianco Wagner e Bakunin. Ma non divaghiamo.<br />Non sappiamo di preciso né dove né quando sia nato Julius Weiss. Né perché, intorno ai trent’anni, abbia deciso di andare negli Stati Uniti. Certo non era facile la condizione degli ebrei nell’Europa centrale alla metà dell’Ottocento, a meno che non fossero molto ricchi, ma immaginiamo che nel caso di Julius ci siano state anche altre ragioni per abbandonare il più in fretta possibile il suo paese, lasciandosi alle spalle un oceano.<br />Julius ha trent’anni quando arriva ad Ellis Island, ma preferisce non rimanere in quella grande città. Si trasferisce nella piccola Port Jarvis, nello Stato di New York, diventata un fiorente centro commerciale grazie all’apertura, nel 1828, del canale Delaware e Hudson, che serviva a trasportare il carbone estratto nella Pennsylvania nord-orientale fino al porto di New York. Julius a Dresda è andato all’università e quindi in America fa l’insegnante, poi conosce la musica e quindi dirige il coro della piccola comunità tedesca della città. Nel 1877 deve lasciare velocemente anche Port Jarvis a causa di diversi debiti che non riesce a pagare. Si trasferisce allora in una cittadina di cinquemila abitanti nel Texas, Texarkana. Si tratta di una città fondata nel 1874 dai proprietari della ferrovia che collega il Texas e l’Arkansas, esattamente dove c'è il lungo e diritto confine che separa i due stati: a ovest c’è la Texarkana del Texas e a est la Texarkana dell’Arkansas.<br />Julius si stabilisce nella prima, confidando che i suoi creditori non arrivino fino a lì. Un ricco proprietario terriero, attivo nell’industria del legname, Robert W. Rodgers, assume Weiss per insegnare ai propri figli il tedesco, la matematica, le materie scientifiche e a suonare il violino. Il precettore arrivato dalla Germania si fa presto un nome e altre ricche famiglie della cittadina mandano i figli a studiare musica da lui, tanto che all’archivio comunale si fa registrare come “professore di musica”.<br />Ma c’è un’altra cosa che divide gli abitanti di Texarkana, ben più drammatica del confine, lungo e diritto, tra Texas e Arkansas. Bianchi e neri devono vivere in due mondi rigorosamente separati. Naturalmente i neri possono andare a servizio nelle case dei bianchi, ma devono rimanere al loro posto. Julius è un bianco che ama frequentare i locali dove i neri passano il loro tempo libero. Certo è guardato male, ma è il professore di musica, un’artista, e quindi viene in qualche modo tollerato. Gli uomini di colore che osservano quel bianco con sospetto non immaginano che Julius ha già dovuto sopportare quegli sguardi pieni di odio, nella sua patria.<br />In una di queste serate Julius ascolta un ragazzino che suona il piano dimostrando un incredibile talento. Finita l’esibizione, gli chiede quanti anni abbia e dove abbia imparato a suonare così. Gli risponde che ha dodici anni, che suo padre suona il violino e sua madre il banjo e che loro gli hanno insegnato quello che sanno. Poi sua madre lo porta nelle case dei signori dove fa le pulizie e, se non c’è nessuno, gli permette di suonare il piano. Julius scopre che quel ragazzo ha imparato da solo, praticamente da autodidatta. Si offre di dargli lezioni private, ma Florence deve rifiutare: il marito se n’è andato con un’altra donna, lasciandola sola con sei figli. Non può certo spendere soldi per lezioni private di pianoforte. Julius però le dice che quelle lezioni saranno gratuite. Per cinque anni Julius insegna musica a quel ragazzo nero, lo fa esercitare al pianoforte, gli fa ascoltare la musica dei grandi compositori europei, gli spiega cos’è l’opera. Dà anche a Florence i soldi per acquistare un vecchio pianoforte, in modo che il suo allievo possa esercitarsi anche a casa. Il ragazzo vuole bene a quello strano professore che sa tutte quelle storie sulla musica, che gli insegna a suonarla e ad amarla.<br />È grazie alle lezioni di Julius Weiss che quel ragazzino diventa Scott Joplin.<br /><br />Sono passati venticinque anni. Scott Joplin vive da qualche mese a New York, insieme alla sua terza moglie, Lotti Stokes. <a href="https://www.blogger.com/blog/post/edit/4653573181176868392/2579451971860942414#"><i>Maple Leaf Rag</i></a> e i molti altri brani che ha composto tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento gli hanno procurato fama a livello nazionale e una certa sicurezza economica. Sono lontani gli anni in cui Scott suonava il piano nei bordelli tra Sedalia e Saint Louis, sviluppando quel suo stile così caratteristico. Ormai ha fatto conoscere il ragtime, la nuova musica dei neri, a tutta l’America, grazie soprattutto all’Esposizione Universale di Chicago del 1893. Gli organizzatori di quello storico evento non hanno coinvolto gli artisti afroamericani, ma i ventisette milioni di visitatori che hanno accalcato la fiera nella “città del vento” non si limitano a frequentare le manifestazioni ufficiali. Riempiono i saloon, i caffè e le case di appuntamento della città e in tutti questi posti si suona questa musica, nuova, sincopata, la musica che annuncia il nuovo secolo e così Scott Joplin diventa l’indiscusso “Re del Ragtime”.<br />Però a Scott non basta. Ricorda bene cosa gli ha insegnato il professor Weiss, ossia che con la musica si possono raccontare delle storie. Anche lui vuole scrivere un’opera, come hanno fatto Mozart, Rossini, Verdi e Wagner.<br />Scott ci ha già provato. Nel 1903 ha scritto musica e libretto di <i>A Guest of Honor</i>, un’opera in due atti, in cui ha raccontato gli eventi che hanno preceduto la cena che il presidente Theodore Roosevelt ha organizzato per l’educatore e leader dei diritti civili Booker T. Washington, la prima volta che un leader afroamericano viene invitato alla Casa Bianca. Scott, grazie ai proventi dei suoi pezzi di ragtime, ha anche messo in piedi la compagnia per rappresentarla e organizzato una tournée nella principali città americane. In una di queste, a Springfield o a Pittsburg, qualcuno ruba a Scott gli incassi dei biglietti e lui non riesce più a pagare né i salari degli artisti né i conti degli alberghi dove alloggiano. È un fallimento: gli viene perfino confiscato lo spartito dell’opera, che oggi è ormai perduto.<br />Nonostante questa drammatica battuta d’arresto il musicista non si dà per vinto: il suo obiettivo è scrivere la prima opera della musica nera americana. Per questo si trasferisce a New York, perché pensa che in quella città troverà un ambiente più favorevole per produrre il suo nuovo lavoro, intitolato <i>Treemonisha</i>. Ma rimane, ancora una volta, deluso: nessun produttore vuole metterla in scena, nonostante l’ottima recensione apparsa nel numero di giugno del 1911 dell’<i>American Musician and Art Journal</i>, a cui Scott ha inviato la partitura per canto e pianoforte.<br /><i>Treemonisha </i>rappresenta una novità sia per la musica che per il libretto. Anche se viene talvolta definita come la prima “opera ragtime”, Joplin usa questo stile musicale solo in alcune scene di ballo. La struttura è piuttosto classica, ci sono un’ouverture e un preludio, si alternano arie e recitativi, con brani d’insieme e cori. Ma la musica è quella della tradizione nera che Scott ha conosciuto così bene nel corso della sua giovinezza. Ci sono echi degli spirituals e dei canti eseguiti nelle congregazioni. C’è quello che sarà il blues e il jazz. <i>Treemonisha </i>racconta con la sua vitalità e la sua forza la musica che sta per nascere in quel paese.<br />La protagonista dell’opera è Treemonisha, una giovane ex-schiava che ha avuto l’opportunità di imparare a leggere e scrivere grazie a una donna bianca che l’ha accolta nella sua casa e le ha insegnato il valore della cultura. E per questo è facile immaginare che Scott abbia pensato a Julius Weiss e a quanto quell’uomo abbia rappresentato per lui. Per questo la ragazza si batte contro gli evocatori di spiriti, che, sfruttando l’ignoranza e la superstizione, riescono a tenere soggiogata la sua comunità. I “cattivi” nell’opera di Joplin sono anch’essi neri che, rendendosi conto del pericolo rappresentato da Treemonisha, la rapiscono e cercano di ucciderla. Alla fine lei si salva e la sua comunità, che prima l’ha trattata con sufficienza, si rende conto del valore dell’educazione e sceglie Treemonisha come insegnante e propria leader. Con questa opera Scott Joplin vuole dire ai neri americani che solo attraverso lo studio saranno davvero liberi.<br />L’impossibilità di mettere in scena <i>Treemonisha </i>getta nello sconforto Scott. Nel 1915 lui stesso organizza un’esibizione in forma di concerto dell’opera al Lincoln Theatre di Harlem, la prima sala che accoglie spettacoli dei neri in un quartiere in cui la popolazione è ancora prevalentemente bianca, anche se la composizione sociale sta rapidamente cambiando. Paga di tasca sua la compagnia di canto, che lui accompagna al pianoforte al posto dell’orchestra. Le reazioni a questa esibizione non sono particolarmente lusinghiere. La delusione aggrava le sue condizioni di salute. Il suo fisico è minato da una grave forma di neurosifilide. All’inizio di febbraio del 1917 viene ricoverato in un istituto psichiatrico, il Manhattan State Hospital, dove muore il 1 aprile per demenza sifilitica, all’età di 48 anni. Il “Re del ragtime” viene sepolto in una tomba anonima destinata ai poveri nel cimitero di St. Micheal a East Elmhurst nel Queens. Solo nel 1974 la tomba viene ritrovata e vi viene posta una lapide. È l’anno in cui la sua musica ottiene un Oscar per la colonna sonora del film <i>La stangata</i>, che fa conoscere a una nuova generazione quel ritmo incredibile.<br />Sono gli anni in cui finalmente viene ritrovata la partitura di <i>Treemonisha </i>che si credeva perduta e che nessuno, dopo quella sfortunata esibizione del 1915 ha potuto ascoltare. Il 22 ottobre 1971 estratti dell’opera vengono eseguiti in forma di concerto alla New York Public Library for the Performing Arts da William Bolcon, Joshua Rifkin e Mary Lou Williams. Finalmente il 27 gennaio 1972 va in scena ad Atlanta con la regia della ballerina e coreografa afroamericana Katherine Dunham e la direzione di Robert Shaw, uno dei primi grandi direttori d’orchestra a volere sia bianchi che neri nelle proprie compagini. È finalmente un successo e per quest’opera a Scott Joplin nel 1976 viene assegnato il Premio Pulitzer.<br /><br />E che ne è stato di Julius Weiss? Le notizie sull’ultima parte della sua vita sono frammentarie. Sappiamo che a Texarkana, dopo aver finito la sua attività di precettore, Weiss gestisce una gioielleria e un banco di pegni. Un’attività redditizia, tanto che diventa presidente della Texarkana Savings Bank e azionista di rilievo di un’importante azienda di legname. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Nel 1889 fugge dalla città con trentamila dollari. Lo ritroviamo a Houston dove apre un banco di pegni e riprende la sua attività di insegnante di musica. Senza troppo fortuna. Vive quegli ultimi anni della vita malato e in miseria. Nessuno sa quanto sia stato importante per la musica americana. Scott non si dimentica di lui e, pur tra le sue difficoltà, gli invia ogni tanto del denaro. Non sappiamo nulla della sua morte.Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-49487702446203891892023-05-13T13:59:00.000+02:002023-05-13T13:59:24.644+02:00Verba volant (835): attrice...<div><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4GEHvtTWMUNSg2syacznP8zLwj0g01lCjkVLB2BsCgTVNtVFsb3MnC0Cd7pO3sVo1jww55MVxVHcjZcj02MDt8T2f-3n1MocFXWONnn1dj8P4E28oQ_hI6CvvApllU3RRK865WmT6S--LenH90tif-osLqKOVLDeBvPbnZLtHFeewiQgtKtvKvnxqvg/s1182/CHASTAIN.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="745" data-original-width="1182" height="411" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi4GEHvtTWMUNSg2syacznP8zLwj0g01lCjkVLB2BsCgTVNtVFsb3MnC0Cd7pO3sVo1jww55MVxVHcjZcj02MDt8T2f-3n1MocFXWONnn1dj8P4E28oQ_hI6CvvApllU3RRK865WmT6S--LenH90tif-osLqKOVLDeBvPbnZLtHFeewiQgtKtvKvnxqvg/w652-h411/CHASTAIN.jpg" width="652" /></a></div>Attrice</b>, <i>sost. f.</i></div></b></div><div><br /></div>Domenica 21 dicembre 1879 a Copenaghen, nel Teatro Reale Danese - nella splendida sede sulla Kongens Nytorv, inaugurata solo cinque anni prima - debutta il nuovo dramma di Henrik Ibsen. Il drammaturgo norvegese lo ha scritto nei mesi precedenti, tra Amalfi e Roma, durante il suo lungo soggiorno italiano. C’è una grande attesa tra il pubblico. <i>Casa di bambola</i> è stato pubblicato nella capitale danese il 4 dicembre, in un’edizione di ottomila copie, andata esaurita in poche settimane. Gli spettatori di quelle fredde serate che precedono il Natale sanno già che si tratta di un testo scandaloso.<br />L’Europa in cui irrompe il dramma di Ibsen è apparentemente stabile, i grandi imperi sembrano aver trovato un loro equilibrio, almeno sul continente, anche perché le tensioni tra le cancellerie vengono scaricate sulle colonie. Ma ci vorrà poco perché si arrivi alla prima guerra mondiale. E anche la società sembra solida, retta intorno alla sana famiglia borghese. Ma sotto la cenere covano forze che il perbenismo vittoriano e il rigore guglielmino non riescono più a trattenere. Nuove forze politiche stanno crescendo, pronte a deflagrare tutta la loro carica rivoluzionaria all’inizio del secolo. Nuove correnti artistiche sentono che il classicismo non è più in grado di raccontare il mondo. A Vienna c’è un medico che sta per cambiare tutto quello che si sa su come funziona la mente degli uomini. E poi si profila all’orizzonte un soggetto “nuovo”, che non è più disposto ad accettare le regole imposte da una morale maschile sempre più asfissiante e sclerotizzata: sta per cominciare il secolo delle donne.<br /><i>Casa di bambola</i> è il testo che annuncia tutto questo con la forza eversiva del teatro. Nora, diventata finalmente consapevole di se stessa, quando dice al marito che non sarà più la sua bambola e lascia la casa per un avvenire tanto incerto quanto libero, è la donna del secolo nuovo, che vuole per sé un futuro diverso da quello che gli altri hanno costruito per lei.<br /><br /><b>Betty Hennings</b> è la prima attrice a portare questo personaggio sul palco.<br />Nasce a Copenaghen nel 1850. Entra giovanissima nella scuola di danza del Teatro Reale Danese: è molto brava e il suo futuro sembra quello di una stella della danza. Nel 1869 diventa ballerina solista, ma il direttore della scuola di recitazione del teatro la esorta a provare anche un’altra strada. L’anno dopo è Agnès ne <i>La scuola delle mogli</i> di Molière e Betty capisce che recitare è quello che vuole fare davvero, anche se corre il rischio di deludere le aspettative dei suoi genitori. Diventa la più importante interprete dei drammi di Ibsen: dopo <i>Casa di bambola</i>, è la protagonista di <i>L’anitra selvatica, La donna del mare, Hedda Gabler</i>. Ed eccelle nel repertorio shakespeariano: da giovane è una celebre Ofelia, ma è altrettanto famosa nella maturità per il ruolo di Gertrude. Nel 1922, quando si ritira, la regina del teatro danese ha interpretato centosettanta parti in più di tremila spettacoli.<br /><br />La fama di Ibsen e la curiosità per quel dramma dalla trama così nuova fa sì che in pochi giorni vengano allestite altre produzioni. A gennaio del 1880 <i>Casa di bambola</i> viene rappresentato al Teatro Reale di Stoccolma. E poi a Christiana, come si chiama allora la capitale norvegese.<br />La grande attrice tedesca <b>Hedwig Niemann-Rabee</b> viene scritturata per il debutto in Germania.<br />Nata a Magdeburgo nel 1844, è da diversi anni la stella del teatro tedesco. Dopo i primi anni ad Amburgo, ha lavorato al Teatro Tedesco di San Pietroburgo, per poi tornare definitivamente in patria. Il pubblico la adora. Il giovane Nietzsche le scrive nel 1866 una lettera appassionata, confessandole tutto il suo amore. A questa lettera, come alle altre dei suoi ammiratori, l’attrice non risponde. Hedwig ha già recitato nelle opere di Ibsen ed è naturale che sia lei a interpretare Nora, ma si rifiuta: non vuole portare in scena una donna che abbandona i propri figli.<br />Ibsen, sollecitato dai suoi editori che temono la censura e la reazione del pubblico, accetta di riscrivere il finale: non ci sono leggi a tutelare il diritto d’autore e non vuole che sia qualcun altro a mettere mano alla sua opera. Il drammaturgo considera un “barbaro oltraggio” quel secondo finale, in cui Nora non lascia il marito, ma accetta di rimanere al suo posto, sperando che l’uomo abbia capito quello che lei sente davvero. Così nel febbraio 1880 <i>Casa di bambola</i> può debuttare a Flensburg e cominciare una tournée nelle principali città della Germania: Amburgo, Dresda, Hannover e Berlino. Mercoledì 3 marzo un’altra compagnia mette in scena il dramma al Teatro della Residenza di Monaco, ma nella versione originale, e Ibsen partecipa ad alcune delle prove per dare le sue indicazioni di regia agli interpreti. Si tratta di una compagnia senza nomi di richiamo, rimane in cartellone pochi giorni e non si riescono a programmare repliche in altre città. Ma nemmeno la produzione “ufficiale”, con il secondo finale, nonostante la fama della protagonista, ottiene il successo sperato. Hedwig, da consumata donna di teatro, capisce che le sue convinzioni non possono prevalere sulla forza drammatica del personaggio e nelle repliche della capitale introduce il finale originale. Così finalmente il dramma ha successo. Il secondo finale viene dimenticato: verrà ripreso, significativamente, durante il regime nazista, quando <i>Casa di bambola</i> potrà essere messo in scena solo in questa versione.<br /><br />Nel 1883<i> Casa di bambola</i> viene rappresentato per la prima volta negli Stati Uniti, a Louisville, nel Kentucky. È l’attrice di origini polacche <b>Helena Modjeska</b> che vuole fortemente produrre quello spettacolo, la prima volta di un dramma di Ibsen al di là dell’Atlantico.<br />Helena nasce a Cracovia nel 1840. Non sappiamo molto della sua infanzia e della sua giovinezza, su cui lei stessa, nella sua autobiografia, è reticente. A ventun’anni debutta a teatro e in breve tempo diventa la più acclamata attrice polacca della sua epoca e, forse involontariamente, un simbolo del nazionalismo del suo paese. Quando un gruppo di studenti, nel 1868, al termine di uno spettacolo le regala un mazzo di fiori legato con un nastro bianco e rosso, le autorità imperiali russe ordinano la chiusura del teatro e l’espulsione dei ragazzi da ogni scuola del paese. Dieci anni dopo Helena, suo marito - editore di un giornale nazionalista liberale - e un gruppo di letterati e intellettuali polacchi decidono di fondare una comunità rurale in California e acquistano un ranch vicino ad Anaheim. Nessuno di loro ha una qualche vera esperienza e non parlano neppure l’inglese: in pochi mesi la fattoria fallisce e il gruppo si sfalda. Lei decide di tornare al teatro e debutta nel 1877 nel ruolo della protagonista in <i>Adriana Lecouvrer</i>. Studia con impegno l’inglese, ma non perderà mai il suo marcato accento polacco. Eppure ottiene un grande successo: è un’attrice di grande carisma e in poco tempo diventa la più famosa interprete dei drammi di Shakespeare. Nel 1883 diventa finalmente cittadina americana e quell’anno vuole produrre per il teatro di Louisville il dramma di Ibsen, che debutta venerdì 7 dicembre, senza incontrare l’entusiasmo del pubblico del Sud, che fatica a immedesimarsi in quella storia sulla buona borghesia europea. Helena continua a recitare fino al 1905, pochi anni prima della morte. La polizia zarista, a causa delle sue idee politiche e delle sue ascoltate denunce sulla condizione delle donne nella Polonia occupata, le vieta l’ingresso in Russia.<br /><br />In Gran Bretagna la censura che il Lord Ciambellano impone sugli spettacoli teatrali impedisce che il dramma di Ibsen venga rappresentato. Nel 1884 debutta al Princess Theatre <i>Breaking a Butterfly</i>, un adattamento scritto da Henry Arthur Jones e Henry Herman. Non solo ai due commediografi viene data una brutta traduzione della versione con il secondo finale, ma viene chiesto di ricavarne una commedia. In questa versione un vecchio impiegato sottrae la cambiale dalla scrivania di Krogstad e la vicenda si chiude con un improbabile lieto fine. L’opera di Ibsen però comincia a circolare a stampa. In alcune ricche case aristocratiche il dramma viene messo in scena per un pubblico selezionato. In una di queste è impegnato anche George Bernard Shaw, nel ruolo di Krogstad. Finalmente venerdì 7 giugno 1889, al Novelty Theatre, viene messa in scena una fedele traduzione del dramma, con il primo finale. Nora è l’attrice <b>Janet Achurch</b>.<br />Nata vicino a Manchester nel 1863, Janet è una figura singolare del teatro inglese tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento, perché è l’unica donna che produce spettacoli e che, proprio dal 1889, dirige un teatro, il Novelty, la grande sala aperta su Great Queen Street solo cinque anni prima. E non smette di recitare: eccelle in molti ruoli shakespeariani, ma è soprattutto celebre per portare in scena opere contemporanee, come appunto <i>Casa di bambola</i>. Pensando a lei George Bernard Shaw scrive <i>Candida </i>e non ne autorizza la messa in scena se non sarà Janet la protagonista. Candida è un’altra delle donne del secolo nuovo, che dimostra la sua forza e la sua intelligenza di fronte ai due deboli uomini che la amano, e che hanno così bisogno di lei. L’attrice porta il dramma di Ibsen in Australia, in una lunga tournée che la vede impegnata, insieme al marito Charles Charrington, in molte colonie. Durante la permanenza al Cairo, dà alla luce un bambino nato morto, rischiando lei stessa di morire. Per superare il dolore diventa dipendente della morfina, cosa che la porterà alla morte pochi anni dopo.<br /><br />Sabato 21 dicembre 1889 <i>Casa di bambola</i> debutta finalmente a Broadway, al Palmer’s Theatre sulla 30esima Strada: in questa nuova produzione Nora è <b>Beatrice Cameron</b>. Neppure il pubblico di New York riserva una grande attenzione al dramma di Ibsen.<br />Beatrice, nata nello Stato di New York nel 1868, nonostante sia una delle più apprezzate attrici della fine dell’Ottocento, smette presto di recitare. E dedica la sua vita all’impegno sociale e politico. In patria è attiva nella League of Women Voters e si batte per il suffragio femminile. Poi, una volta ottenuto questo risultato, alla fine del 1920 è con la Croce Rossa sul fronte della guerra turco-armena. Poi presta soccorso in Siria e in Cecoslovacchia. In patria è attiva nella League of Women Voters e si batte per il suffragio femminile.<br /><br /><div>La prima italiana di <i>Casa di bambola</i> è lunedì 9 febbraio 1891, nella storica sala del Teatro dei Filodrammatici a Milano. Lo scrittore verista Luigi Capuana, che nei suoi lavori ha sempre indagato con sensibilità la psicologia delle donne, traduce per <b>Eleonora Duse</b> il testo di Ibsen.<br />Non può che essere la “Divina” la prima interprete di Nora nel nostro paese. Nata nel 1858 a Vigevano da una famiglia di attori originari di Chioggia, figlia d’arte che calca il palcoscenico fin dall’infanzia - a quattro anni è la piccola Cosetta ne <i>I miserabili</i> - Eleonora è la più grande attrice italiana e rivaleggia con Sarah Bernhardt per essere la più famosa attrice del mondo. Ha una propria compagnia e ha ormai la forza di imporre le proprie scelte artistiche. Nessuna donna ha il suo potere nel mondo dello spettacolo. E poi rivoluziona il modo di recitare. Getta le parrucche, i trucchi pesanti e rifiuta i toni enfatici dello stile ottocentesco. Crea uno stile nuovo di recitazione, più fisico, più istintivo, più naturale, in cui tutto il corpo partecipa all’azione: anche nelle sue fortunate tournée all’estero vuole recitare solo in italiano e questo non è sentito dal pubblico come un limite, perché è tale la sua forza in scena da superare le barriere linguistiche. Come dice Cechov: “Non conosco l’italiano, ma ella ha recitato così bene che mi sembrava di comprendere ogni parola”.<br />Nora è il personaggio che Eleonora aspetta. Nella sua carriera riscrive i grandi drammi ottocenteschi, perché con il suo lavoro teatrale cerca di trasmettere al pubblico un messaggio preciso. La società borghese è ipocrita, si fonda su valori falsi, è tutta incentrata sul denaro, e per questo si perdono emozioni e sentimenti. E le donne sono le prime vittime di questa falsa esteriorità, perché la società non ne vuole far esprimere il talento, l’intelligenza, la forza.<br /><blockquote>Il fatto è che mentre tutti diffidano delle donne, io me la intendo benissimo con loro! Io non guardo se hanno mentito, se hanno tradito, se hanno peccato - o se nacquero perverse - perché io sento che hanno pianto - hanno sofferto per sentire o per tradire o per amare… Io mi metto con loro e per loro e le frugo, frugo non per mania di sofferenza, ma perché il mio compianto femminile è più grande e più dettagliato, è più dolce e più completo che non il compianto che mi accordano gli uomini.</blockquote>Quando scopre questo personaggio Eleonora si rende conto di aver trovato una sorella, una compagna, una donna che combatte la sua stessa lotta. E, come fa con gli altri personaggi che ama, indossa i costumi di scena anche fuori del palcoscenico. Eleonora vuole essere Nora.<br /><blockquote>Le donne delle mie commedie mi sono talmente entrate nel cuore e nella testa che mentre m’ingegno di farle capire a quelli che m’ascoltano, sono esse che hanno finito per confortare me.</blockquote><div><br /></div>Devono passare tre anni prima che anche la Francia della Terza Repubblica, agitata dall’affare Dreyfus, abbia la propria Nora. Il direttore dell’Odéon ottiene i diritti per mettere in scena il dramma di Ibsen già nel 1889, ma la prima c’è solo venerdì 20 aprile 1894 al Théâtre de Vaudeville, sul boulevard des Capucines. È <b>Réjane</b> a interpretare Nora. Il pubblico parigino fa la fila per assistere allo spettacolo. Ibsen tiene molto a questo debutto e all’indomani della prima invia all’attrice un telegramma entusiasta: “Il mio sogno si è avverato, Réjane ha creato Nora in Paris”. E serve appunto questa edizione di <i>Casa di bambola</i> affinché il suo teatro sia finalmente apprezzato anche nella capitale francese.<br />Gabrielle-Charlotte Reju, conosciuta con il nome d’arte Réjane, nata nel 1856 nella capitale francese, durante la sua carriera deve accettare di essere la seconda dopo la grande Sarah Bernhardt. Anche se Marcel Proust non è affatto d’accordo: infatti secondo lui Sarah può interpretare solo alcune parti, “Réjane, invece, può interpretare qualunque ruolo, dalla tragedia al boulevard. Lei supera l’attrice; lei ha la qualità dell’artista”. Ed effettivamente la grande capacità di Réjane è quella di passare dalla tragedia alla commedia, dai drammi di Ibsen al varietà. Il ruolo che l’ha resa celebre è quello di Catherine, la schietta lavandaia che diventa una duchessa nella commedia <i>Madame Sans-Gêne</i> di Victorien Sardou ed Èmile Moreau, un personaggio che ha interpretato al debutto nel 1893 e replicato in anni successivi, anche al cinema. È amatissima. Quando muore, nel 1920, Le Figaro scrive: “Silenzio. Noi perdiamo l’anima di Parigi”.<br /><br />Negli ultimi anni dell’Ottocento e nei primi del nuovo secolo<i> Casa di bambola</i> diventa finalmente un titolo apprezzato non solo dagli estimatori di Ibsen. Venerdì 30 maggio 1902 al Manhattan Theatre - che oggi non esiste più - va in scena una nuova edizione del dramma. E questa volta il pubblico di Broadway è entusiasta, grazia anche all’interpretazione di <b>Minnie Maddern Fiske</b>.<br />Anche lei, nata nel 1865 a New Orleans, è figlia di una famiglia di artisti e comincia a calcare le scene da bambina: a tre anni è il Duca di York nel <i>Riccardo III</i>. In pochi anni diventa una delle attrici più importanti della scena americana. È un’ottima interprete shakespeariana, anche se predilige le opere moderne: ottiene un grande successo alla fine del secolo come protagonista nella produzione originale di <i>Becky Sharp</i>, una commedia tratta da <i>La fiera delle vanità</i>. Minnie, conosciuta anche solo come Mrs. Fiske non si limita a recitare, ha una propria compagnia, scrive opere teatrali e le dirige. Porta negli Stati Uniti uno stile nuovo nella recitazione, che ha visto in Europa, e riesce a far amare al pubblico i drammi di Ibsen, che diventa in breve il suo autore preferito. In un intervista al New York Times dice: “Ibsen interessa l’attore perché per capire bene un ruolo bisogna studiare il personaggio fin dalla prima infanzia. La maggior parte degli uomini e delle donne d Ibsen ha vissuto la propria vita prima che si alzi il sipario”. Negli anni Dieci si dedica con grande energia a combattere contro il Theatrical Syndacate, che, controllando i maggiori teatri del paese e le agenzie di vendita dei biglietti, impone la scelta sia delle opere da rappresentare sia di chi le deve interpretare. Minnie si batte per la libertà artistica e per questo il trust fa in modo che non possa più recitare nei grandi teatri di Broadway. Ma lei non si perde d’animo, allestisce i suoi spettacoli in chiese, piste da pattinaggio, locali da ballo, porta il teatro in luoghi insoliti. Nonostante sia la più famosa attrice americana del suo tempo, muore in miseria, proprio per avere sostenuto questa battaglia.<br /><br />Ormai la fama dell’opera di Ibsen non conosce confini. Venerdì 22 settembre 1911 Casa di bambola viene rappresentato per la prima volta in Giappone. Nora è <b>Sumako Matsui</b>.<br />È nata a Nagano nel 1886, la sua famiglia le impone un matrimonio combinato, ma lei, dopo un anno, divorzia e si dedica al teatro. Fonda una propria compagnia insieme al regista Hōgetsu Shimamura, con cui vive un’intensa storia d’amore. Diventa una celebrità in pochi anni, grazie anche alla sua interpretazione dei dramma di Ibsen e alla sua splendida voce - la sua incisione di <i>La canzone di Katyusha</i> vende più di ventimila copie nella prima metà degli anni Dieci. Il compagno muore a causa della spagnola nel 1918 e lei, disperata, si uccide, chiedendo nel suo testamento di essere sepolta insieme a lui. Non sono sposati e quindi le regole della società giapponese vietano che sia rispettato questo suo ultimo desiderio.<br /><br />Purtroppo è andato perduto <i>Casa di bambola</i>, il film muto uscito nella sale domenica 12 febbraio 1922, diretto da Charles Bryant, prodotto, sceneggiato e interpretato da <b>Alla Nazimova</b>.<br />Per la giovane Alla, nata a Yalta nel 1879, il teatro è una fuga da un’infanzia infelice in cui passa da un collegio all’altro, dopo il divorzio dei suoi genitori. All’inizio del secolo è già una stella nei teatri di Mosca e San Pietroburgo, fa tournée nelle grandi capitali europee e nel 1905 si trasferisce a New York, dove fonda un teatro in lingua russa nel Lower East Side. In cinque mesi impara l’inglese e l’anno successivo debutta a Broadway in <i>Hedda Gabler</i>. Per Dorothy Parker nessuna come lei ha saputo interpretare questo personaggio. In pochi anni diventa una star, tanto che le viene intitolato un teatro. Nel 1916 debutta al cinema, ma non le basta essere una delle attrici più pagate di Hollywood. Crea la Nazimova Productions, dirige, si occupa del montaggio, disegna costumi e scenografie. I suoi film segnano una svolta per l’industria cinematografica americana. <i>Casa di bambola</i> - in cui vuole per il ruolo del marito il giovane Alan Hale, di cui abbiamo raccontato <a href="https://www.allonsanfan.it/2023/03/02/robin-hood-little-john-alan-hale-errol-flynn/">qui la storia</a> - è un successo, ma <i>Salomé </i>dell’anno successivo si rivela un disastro dal punto di vista finanziario. Il pubblico non riesce ad apprezzare la spregiudicatezza delle sue scelte artistiche e naturalmente pesano su di lei i pregiudizi a causa della sua omosessualità. I racconti su quello che avviene nella sua villa sul Sunset Boulevard, “The Garden of Alla”, accendono la morbosità delle cronache mondane degli anni Venti. L’attrice ospita e fa recitare colleghe la cui fama di essere omossessuali le rende difficile lavorare e Hollywood non le perdona di essere una donna, forte e indipendente, di essere una donna che vuole fare cinema in un mondo di maschi.<br /><br />Naturalmente ci sarebbero stati tanti modi per raccontarvi <i>Casa di bambola</i>. Però mi è sembrato giusto farlo attraverso le storie di queste dieci grandi attrici, di queste donne che, anche grazie al personaggio di Nora, hanno fatto la storia del teatro e della cultura tra le fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.<br />Naturalmente tante altre hanno interpretato negli anni successivi questo splendido personaggio, perché <i>Casa di bambola</i> è un classico e, come succede ai veri classici, riesce a raccontare sempre qualcosa del tempo in cui viene rappresentato. Emma Gramatica - qui un suo <a href="https://www.allonsanfan.it/2023/03/30/noel-coward-al-calar-del-sipario-rai-le-attrici/">ritratto</a> - Julie Harris, Claire Bloom, Jane Fonda, Ottavia Piccolo, Niki Karimi, Gillian Anderson sono state grandi interpreti di Nora. E non credo che sia un caso che siano donne che si sono affermate non solo per la loro bravura a recitare, ma anche per il loro impegno, per la loro passione civile.<br />Come <b>Jessica Chastain</b>, attiva nel movimento che chiede sostegno per le donne vittime di abusi e molestie sessuali sui luoghi di lavoro. Proprio in questi giorni è Nora all’Hudson Theatre, sulla 44esima Strada. E naturalmente non sarà l’ultima, perché Nora accompagnerà sempre il cammino delle donne e, se vogliamo, anche di noi uomini, che possiamo cambiare grazie a lei.<br /><br />Perché Nora ci accompagnerà sempre.<br /><blockquote>Credo di essere prima di tutto una creatura umana, come te… o meglio, voglio diventarlo. So che il mondo darà ragione a te, Torvald, e che anche sui libri sta scritto qualcosa di simile. Ma quel che dice il mondo e qual che c’è scritto sui libri non può essermi di norma. Debbo riflettere col mio cervello per rendermi chiaramente conto di tutte le cose.</blockquote></div>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-15257569192957632822023-05-03T22:02:00.003+02:002023-05-03T22:02:54.741+02:00Verba volant (834): insegna...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvgair6blMI-2Y5lftawK-8H9kAY8OuafkkFk-Kp2n-s6zngbE4641PRDbhF2J-c_cjKrAgBJWAXyGw9W7oWWN033rVI936BaOwmg2TmKGvLIpop578IqcjoXSX0-uJtom93TqQhkzmpnCBA9GL0AxZ5XaLEnDSBGidj8u_1RuR4tqL6BtU_E57tRBFQ/s1200/Hollywoodland-1200x761.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="761" data-original-width="1200" height="400" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvgair6blMI-2Y5lftawK-8H9kAY8OuafkkFk-Kp2n-s6zngbE4641PRDbhF2J-c_cjKrAgBJWAXyGw9W7oWWN033rVI936BaOwmg2TmKGvLIpop578IqcjoXSX0-uJtom93TqQhkzmpnCBA9GL0AxZ5XaLEnDSBGidj8u_1RuR4tqL6BtU_E57tRBFQ/w631-h400/Hollywoodland-1200x761.jpg" width="631" /></a></div>Insegna</b>,<i> sost. f.</i><br /><br /> Cosa hanno in comune Alice Cooper e Andy Williams? Il rocker che gioca con il macabro e l’horror e il crooner amato dalle mamme, star della televisione degli anni Sessanta? Quasi nulla, a parte la professione. Neppure le idee politiche, visto che il primo è un convinto repubblicano, mentre il secondo è un democratico, amico dei Kennedy. Eppure è grazie anche a loro due se ancora oggi noi turisti di tutto il mondo possiamo ammirare il “monumento” più famoso di Los Angeles, immancabile sfondo per ogni nostro selfie nella città degli angeli.<br /><br />Ma questa storia bisogna cominciarla dall’inizio, ossia dal 1923. Nei primi anni Venti Los Angeles non era ancora la megalopoli che è oggi e soprattutto non era ancora la città del cinema. I film si facevano a Chicago, a New York, anche a Los Angeles ovviamente, ma non esisteva ancora quella che pochi anni dopo avremmo cominciato a chiamare Hollywood. In quegli anni era solo un quartiere di Los Angeles, certo un quartiere in espansione, ma non ancora la metonimia più celebre del Novecento. Proprio nel 1923 i costruttori Woodruff e Shoults acquistano una grande area edificabile a ridosso delle colline, nell’area del Beachwood Canyon, e ne vogliono fare un quartiere residenziale modello, chiamato Hollywoodland. Anche altri sono interessati a quella zona di Griffith Park. Il regista e produttore Mack Sennett, “The King of Comedy” del cinema muto, diventato ricco grazie ai brevi cortometraggi delle Bathing Beauties, che con i loro costumi da bagno sono il “sogno proibito” del pubblico americano degli anni Dieci, vuole costruire la sua grande villa in cima a quella collina. Iniziano anche i lavori per spianare quella piccola vetta, ma alla fine non se ne fa nulla.<br />La pubblicità è l’anima del commercio e Woodruff e Shoults decidono di realizzare sul lato meridionale della collina una grande scritta per invogliare i nuovi cittadini di Los Angeles a investire in quel progetto. La realizzazione viene affidata alla Crescent Sign Company. Thomas Fisk Goff progetta la grande insegna: tredici lettere in legno, in stampatello bianco, alte più di quindici metri. Sulle lettere sono montate quattromila lampadine che devono illuminare la scritta in tre segmenti successivi: “HOLLY”, “WOOD” e “LAND”. E sotto la scritta c’è un grande riflettore per renderla ancora più evidente. I pali devono essere portati lassù a dorso di mulo. L’insegna costa più di ventimila dollari dell’epoca, una somma ingente, ma Woodruff e Shoults sono soddisfatti: quella scritta si vede da tutta la città.<br />Hollywood però non è destinata a diventare un quartiere di villette per la nuova borghesia di Los Angeles, ma il centro dell’industria cinematografica americana. Uno dopo l’altro nascono i grandi studi, poi arrivano tutte le attività che ruotano intorno al cinema. A metà degli anni Trenta Don Lee, un tempo proprietario di un negozio di biciclette diventato un pioniere della televisione, costruisce nelle vicinanze dell’insegna la sede degli studi e del trasmettitore della prima stazione televisiva di Los Angeles, la W6XAO. Don si trasferisce nel 1951 su una vetta più alta, ma quella collina sopra Hollywood, fino a quel momento senza nome, dal 1939 viene chiamata Mount Lee e la torre è ancora lì, visibile in tutte le foto dei turisti: è l’impianto di trasmissione utilizzato dalle radio della polizia e dei vigili del fuoco di tutta Los Angeles.<br />La speculazione di Woodruff e Shoults si rivela fallimentare. L’insegna però rimane al suo posto, anche se i nuovi proprietari, dieci anni dopo l’inaugurazione, decidono di spegnere l’illuminazione, che è davvero troppo costosa, e non fanno più lavori di manutenzione.<br />Nel frattempo, nel 1940, Howard Hughes acquista il terreno tutto intorno alla scritta: vuole costruire una villa in cima alla collina per il suo amore di quei giorni, la splendida Ginger Rogers, in quel momento all’apice del successo, dopo i film con Fred Astaire e vincitrice dell’Oscar per il suo ruolo drammatico in <i>Kitty Foyle</i>. L’attrice rompe presto il fidanzamento, Hughes abbandona il progetto e il terreno rimane vuoto. Non è l’unica pazzia per amore dell’eccentrico produttore e aviatore. Paga a un produttore suo concorrente una penale di un milione di dollari per portare via Katharine Hepburn, con il suo aereo direttamente dal set. Dopo un furioso litigio con Ava Gardner, compra tutti i biglietti aerei diretti all’estero, per impedire che l’attrice esca dagli Stati Uniti. Tra i suoi amori ci sono anche Bette Davis e Olivia de Havilland, Hedy Lamarr e Rita Hayworth, ma probabilmente ha ragione Gene Tierney - peraltro una che ha resistito alle sue avances - quando dice: “Non credo che Howard possa amare qualsiasi cosa che non abbia un motore”.<br />Nel 1944 la H crolla a causa di una tempesta di vento e nessuno, durante la guerra, pensa di sistemarla. Alla fine degli anni Quaranta un comitato di cittadini chiede la rimozione di quell’obbrobrio che deturpa la collina. A questo punto la Camera di commercio di Hollywood, in cui sono rappresentati gli interessi delle case di produzione, decide che quella scritta deve rimanere, ma non sarà più la réclame di un’impresa immobiliare fallita, ma il simbolo dell’industria culturale più potente del mondo. Viene stipulato un contratto con il Dipartimento dei parchi della città di Los Angeles, vengono rimosse le ultime quattro lettere, vengono restaurate le altre e costruita una nuova H. Così nel settembre 1949 viene inaugurata la nuova scritta HOLLYWOOD.<br /><br /><div>Si tratta comunque di una struttura realizzata prevalentemente in legno e la tempesta di vento del 10 febbraio 1978 distrugge la parte superiore della prima O, facendola diventare una sorta di u minuscola, e abbatte l’ultima O. HuLLYWO D: nella primavera appare più o meno così la grande scritta che domina Mount Lee. Non è certo il miglior biglietto da visita per la città degli angeli.<br />Hugh Hefner, dalle pagine di Playboy, organizza una campagna di stampa per restaurare la scritta, convince la Camera di commercio a costruirne una nuova, più resistente, e soprattutto trova i nove donatori disposti a spendere ciascuno 27.778 dollari necessari per completare i lavori. L’11 novembre 1978 viene trasmessa dalla CBS la cerimonia di inaugurazione della nuova scritta, alta più di tredici metri, con le lettere in acciaio sostenute da pali conficcati in un basamento di cemento armato. I camion hanno sostituito i muli.<br />I soldi per la H vengono donati da Terence Donnelly, l’editore dell’Hollywood Independent Newspaper, un giornale popolare diffuso in quella parte della città. Alice Cooper paga per costruire la O, dedicandola alla memoria del suo idolo Groucho Marx, morto il 19 agosto 1977. Le due L vengono pagate rispettivamente da Les Kelley e Gene Autry. Les è l’editore di Kelley Blue Book, la più importante rivista americana di valutazione delle automobili. Les ha cominciato negli anni Venti come venditore di automobili, è stato suo fratello minore Buster, qualche anno dopo, a pensare di pubblicare la guida per le valutazioni, utilizzando per la prima volta il chilometraggio per definirne il valore. Gene, il cowboy cantante con il fiuto per gli affari, è una leggenda di Hollywood, su cui è necessario raccontare qualcosa.<br />Magari il suo nome non vi dice nulla, ma Gene Autry è l’unico ad avere cinque stelle sulla Hollywood Walk of Fames, una per ciascuna delle cinque categorie istituite dalla Camera di commercio di Hollywood: cinema, radio, televisione, dischi e spettacolo dal vivo. Gene, nato nel 1907 in Texas, cresce in Oklahoma. Fa il telegrafista sulla linea ferroviaria St. Louis-San Francisco e nei lunghi turni notturni passa il tempo suonando la chitarra e cantando. E per questo viene licenziato. Prova a cantare e in pochi anni quel suo stile semplice, da cui nascerà il country, ottiene un grande successo: nella sua carriera incide più di seicento canzoni, di cui la metà scritte da lui, e vende più di cento milioni di dischi, grazie anche alle sue canzoni natalizie:<i> Santa Claus Is Comin’ to Town</i>, <i>Frosty the Snowman</i> e, il suo successo più grande, <i>Rudolph, the Red-Nosed Reindeer</i>. Hollywood si accorge presto di questo talento. Il personaggio del cowboy, che in sella al suo cavallo Champion canta le sue canzoni, diventa popolarissimo. Gira novantatré film, il suo show radiofonico va in onda dal 1940 al 1956 - anche il cavallo Champion ha un proprio show alla radio, seguissimo dai bambini - poi debutta anche in televisione. Nel 1942 apre ad Ardmore in Oklahoma uno spazio dove si svolgono grandi rodei. Per trent’anni Gene Autry è per i ragazzini americani il simbolo del cowboy onesto e coraggioso: attraverso i suoi programmi diffonde il Cowboy Code, il decalogo del cowboy, il cui primo “comandamento” è: “Il Cowboy non deve mai sparare per primo, colpire un uomo più basso o trarne un vantaggio sleale”. Gene Autry si ritira dal mondo dello spettacolo nel 1964 e si dedica esclusivamente a gestire i propri affari. Negli anni ha accumulato una fortuna e l’ha fatta ben fruttare. Ha una propria casa di produzione, gestisce i diritti della sua immagine che viene usata nei fumetti, nei giocattoli e ovviamente nella pubblicità, è proprietario di una squadra di baseball, i California Angels. Ed è anche molto attivo nelle speculazioni immobiliari, dove dimostra una notevole abilità. Ha degli interessi intorno al Griffith Park, dove costruisce il suo Museum of Western Heritage. La scritta HOLLYWOOD è dietro casa sua e per lui ventisettemila dollari sono una bazzecola.<br />Hugh Hefner mette i soldi per la Y, mentre Andy Williams quelli per la W. C’è anche un po’ d’Italia nel restauro della scritta, visto che il produttore italiano Giovanni Mazza paga per restaurare la seconda O. La Warner Brothers si fa carico della terza O, è l’unico dei cinque grandi studi a partecipare al restauro della scritta. Harry, Albert, Sam e Jack, originari dalla Polonia, sono stati tra i primi a arrivare a Hollywood, fondando un piccolo studio sul Sunset Boulevard. Prima avevano un cinema a Newcastle, in Pennsylvavia: un’agenzia di pompe funebri prestava le sedie ai fratelli Warner, ma se c’era un servizio funebre il pubblico doveva stare in piedi. Il vecchio Jack Warner muore due mesi prima dell’inaugurazione della “nuova” scritta. Dennis Lidtke, proprietario della Gribbitt Ltd, un’agenzia grafica con sede al 5419 di Sunset Boulevard, paga il restauro della D.<br /><br />Anche su Giovanni Mazza bisogna raccontare una storia.<br />Francesco Alliata, Quintino di Napoli, Pietro Moncada, Renzo Avanzo, Fosco Maraini e Giovanni Mazza sono un gruppo di giovani amici appassionati di immersioni subacquee e di cinema. Decidono di unire queste due passioni e nel 1947 fondano la Panaria Film. Con vecchie attrezzature americane rese impermeabili, cominciano a realizzare dei cortometraggi in 35mm nei fondali delle Eolie. Giovanni è un ottimo palombaro e grazie a lui sono possibili le riprese anche più pericolose, come quelle effettuate nella cosiddetta “camera della morte” per documentare la cattura dei tonni. Tra i titoli più noti ci sono <i>Cacciatori sottomarini, Tonnara, Bianche Eolie, Isole di Cenere, Tra Scilla e Cariddi</i>; alcuni di questi brevi documentari vengono presentati al Festival di Venezia dove ottengono anche dei riconoscimenti. Renzo Rosellini firma la musica e così suo fratello Roberto conosce quel gruppo di entusiasti cineasti e li esorta a passare ai lungometraggi.<br />Ed è così che nel 1949 la Panaria Film - e Giovanni Mazza - si ritrovano nel bel mezzo della “guerra dei vulcani”, come scrivono i giornali dell’epoca. Roberto Rossellini, dopo aver ricevuto una lettera di Ingrid Bergman che gli chiede di poter lavorare con lui, decide di girare <i>Stromboli (Terra di Dio)</i>, con lei come protagonista, al posto di Anna Magnani, con cui ha una relazione. In breve nasce una storia d’amore tra il regista italiano e l’attrice svedese, e così Anna Magnani, per vendicarsi del doppio rifiuto, decide di girare nelle stesse settimane un film sull’isola di Salina, <i>Vulcano</i>, con la regia di William Dieterle. I due cast si fronteggiano sulle coste dell’arcipelago delle Eolie, che si trovano a godere di un’inattesa popolarità. La produzione è proprio della Panaria Film, a cui si associa l’United Artists. Nonostante il clamore della vicenda, nessuno dei due film ottiene al botteghino il successo sperato. Per la Panaria Film si tratta comunque di un grande successo. Due anni dopo produce, ancora con Anna Magnani come protagonista, <i>La carrozza d’oro</i> con la regia di Jean Renoir, il primo film europeo in Technicolor. Panaria Film non ha comunque le forze per competere sul mercato internazionale e dopo alcuni altri film, nel 1956 cessa le proprie attività. Ma Giovanni, vent’anni dopo, si toglie la soddisfazione di partecipare al restauro della scritta Hollywood.<br /><br />Cosa ne è stato della vecchia scritta? Viene distrutta. Figurarsi la sorpresa quando nel 2005 il produttore Dan Bliss mette in vendita su eBay la lettera H. Ma non si tratta di quella tolta nel 1978, ma di quella originale e caduta nella tempesta del 1944 e considerata ormai perduta, proprio a causa di quel vento. Non sappiamo chi si è preso la briga di portare via quel cimelio, l’unico rimasto della scritta HOLLYWOODLAND. Ma immagino che prima o poi qualcuno ci farà un film.<br />Proprio da quella H il 16 settembre 1932 la ventiquattrenne attrice inglese Peg Entwistle decide di togliersi la vita. Ha trovato lassù una scala utilizzata per le manutenzioni, è salita sul braccio più alto della lettera e si è gettata nel burrone. I motivi di quel gesto rimangono un mistero. Il biglietto dice soltanto: “Ho paura, sono una codarda. Mi dispiace per tutto. Se l’avessi fatto molto tempo fa, avrei risparmiato molto dolore”. Hollywood, dopo Peg, distruggerà la vita di altre giovani falene.</div>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-26499568626864538512023-04-22T09:04:00.001+02:002023-04-22T09:04:09.033+02:00Verba volant (833): ospizio...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhP4sR2ofnRy7BrRjv-A-LpzkPYxd4u6OZ8EtoMPRZ6ZJ_SnGXLPpyD0AjiQvN6ISv67GpR2E0DigFhL2GzmpMB3V1uFfpOwEph785fhMeYnN2pFd4_-zoRq6t7cJ71ySii0Y-9hrRSH35AHcpHPBPt7fqYgXqXPlXQpOWjTTm3DrUVpdLN4RCNxL_z2A/s350/Screen-Shot-2014-11-17-at-9.58.50-PM.webp" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="200" data-original-width="350" height="351" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhP4sR2ofnRy7BrRjv-A-LpzkPYxd4u6OZ8EtoMPRZ6ZJ_SnGXLPpyD0AjiQvN6ISv67GpR2E0DigFhL2GzmpMB3V1uFfpOwEph785fhMeYnN2pFd4_-zoRq6t7cJ71ySii0Y-9hrRSH35AHcpHPBPt7fqYgXqXPlXQpOWjTTm3DrUVpdLN4RCNxL_z2A/w613-h351/Screen-Shot-2014-11-17-at-9.58.50-PM.webp" width="613" /></a></div>Ospizio</b>, <i>sost. m.</i><br /><br /> Alla fine del 1959 nell’ambiente teatrale londinese si comincia a parlare della nuova commedia di Noël Coward, che dovrebbe debuttare nell’estate dell’anno successivo: si tratta della cinquantesima opera teatrale del prolifico autore inglese e naturalmente l’interesse degli addetti ai lavori e del pubblico cresce rapidamente. Tutti vogliono sapere di cosa parlerà e se lui sarà tra gli interpreti.<br />Ormai Coward è un’istituzione del teatro in lingua inglese, di qua e di là dell’Atlantico. Sono lontani gli anni in cui, prima della seconda guerra mondiale, Noël ha dovuto costantemente lottare contro la censura del Lord Ciambellano o è stato costretto a fare debuttare le proprie opere a Broadway, come nel caso di <i>Design for Living</i>, perché quel testo - in cui si racconta il ménage à trois tra due uomini e una donna, ed è una storia autobiografica che lo coinvolge insieme ad Alfred Lunt e Lynn Fontanne - era considerato troppo scandaloso per la morale britannica. E ormai anche la vita del sessantenne autore - è nato a Teddington, un sobborgo di Londra, il 16 dicembre 1899 - non fa più scandalo: nessuno - lui compreso - parla apertamente della sua omosessualità, che però non è certo un segreto. Coward, con le sue eleganti vestaglie e la sigaretta perennemente accesa alla fine del lungo bocchino, è una figura familiare, una sorta di zio eccentrico, di cui vengono perdonati gli eccessi e le battute salaci e argute. Nel 1953, nella stagione teatrale dell’anno dell’incoronazione della giovane regina - nata dopo i suoi successi degli anni Venti: <i>Fallen Angels, The Vortex, Hay Fever</i> - interpreta Re Magnus in <i>The Apple Cart</i> di George Bernard Shaw, e soprattutto è protagonista di applauditi spettacoli di cabaret, dove dà il meglio di sé recitando e cantando le proprie canzoni: è in quelle serate che Coward può essere finalmente se stesso.<br />Si tratta in sostanza di quegli stessi spettacoli per cui è diventato famoso durante la guerra, quando si è dedicato con grande impegno a sostenere il morale delle truppe. A dire il vero Coward sogna di fare altro durante il conflitto contro la Germania. Appena scoppiata la guerra si arruola, dirige l’ufficio della propaganda britannica a Parigi. Poi va negli Stati Uniti per conto dell’intelligence: suo compito è sfruttare la popolarità che ha acquisito come autore e attore per convincere l’opinione pubblica americana a entrare in guerra. Certo la stampa del suo paese non è molto tenera con lui: mentre Londra è colpita dalle bombe della Luftwaffe, lui fa la bella vita tra Hollywood e New York, costantemente sotto gli occhi dei fotografi. Nonostante questo Coward è nella lista di intellettuali stilata dal regime nazista: sono le persone da eliminare una volta occupato il paese. Tra i primi nomi ci sono, oltre al suo, quelli di Virginia Woolf e Bertrand Russell. È Winston Churchill a richiamare Coward in patria e a toglierlo dagli incarichi di intelligence: “Vai al fronte e canta quando le pistole sparano. Questo è il tuo lavoro!”. Noël obbedisce e si esibisce in Europa, in Asia e in Africa, ovunque ci siano soldati inglesi. Negli anni Cinquanta quegli spettacoli diventano il cabaret per cui diventa così popolare. Si esibisce a Londra, al Café de Paris e poi a Las Vegas, al Desert Inn. Nel 1955 il suo spettacolo viene registrato dal vivo su disco e pubblicato con il titolo <i>Noël Coward at Las Vegas</i>: è un tale successo che la CBS gli fa realizzare tre speciali televisivi da novanta minuti l’uno. Nel primo, intitolato <i>Together with Music</i>, Coward si esibisce con Mary Martin. L’anno successivo è il protagonista di un film per la televisione tratto dalla sua commedia più famosa, <i>Spirito allegro</i>. Accanto a lui ci sono Lauren Bacall nel ruolo di Elvira, la moglie morta, Claudette Colbert come Ruth, la seconda moglie, e come Madame Arcati Mildred Natwick, la suocera di Robert Redford in <i>A piedi nudi nel parco</i>, sia a teatro che al cinema. Inoltre alla fine degli anni Cinquanta partecipa al cast internazionale di <i>Around the World in 80 Days</i> ed è Hawthorne in <i>Our Man in Havana</i>. In quegli anni rifiuta la commissione di comporre una versione musicale di <i>Pigmalione </i>di Shaw, due anni prima di <i>My Fair Lady</i>, e i ruoli del re nella produzione teatrale originale di <i>The King and I</i> - nonostante la possibilità di tornare in scena con la sua amica e complice Gertrude Lawrence - e del colonnello Nicholson nel film <i>The Bridge on the River Kwai</i>.<br /><br />Coward ha scritto questa commedia ambientata in una casa di riposo per attrici. Lo presenta come un atto d’amore verso il teatro e soprattutto come una riflessione sulla vecchiaia, sul fatto che questo periodo della vita non è così triste come viene di solito raccontato, a patto di saperlo affrontare con umorismo e una buona dose di coraggio. Noël è convinto del valore della commedia, durante la quale si ride, ma soprattutto si deve riflettere. E quindi si stupisce quando il suo storico impresario Hugh “Binkie” Beaumont si rifiuta di metterla in scena, definendola troppo “vecchio stile”. La notizia fa presto il giro di Londra, perché Binkie è l’uomo più potente del West End, quello in grado di fare la fortuna di uno spettacolo o di decretarne la fine.<br />Merita raccontare qualcosa di Binkie, l’eminenza grigia del West End nella prima metà del secolo. Si sa poco del suo passato e lui stesso è molto evasivo al riguardo. Racconta di essere nato in Galles nel 1908: la data è vera, ma non il luogo né il suo cognome. Il suo vero nome è Hugh Griffiths Morgan, ma il padre, un avvocato di Londra, ha divorziato dalla moglie, accusata di adulterio. E così il piccolo Hugh cresce con la madre e l’amante, un commerciante di Cardiff, credendo sia suo padre, tanto da usarne il cognome, Beaumont. Anche se in strada tutti lo chiamano Binkie, che in gallese significa “straccione”. A quindici anni lascia la scuola e comincia a vendere biglietti in un teatro di Cardiff. In pochi anni è a Londra e diventa direttore commerciale del Barnes Theatre. Poi viene assunto come assistente di Harry Tennent, che ha diversi incarichi di responsabilità nei teatri che fanno capo alla Moss Empires.<br />Tennent e Beaumont non sono soddisfatti delle opere che devono mettere in scena per conto dei loro datori di lavoro e finalmente nel 1936 decidono di mettersi in proprio, fondando la HM Tennent Ltd.. Il loro primo spettacolo, The Ante Room, è un fiasco, così come i successivi. Ma finalmente con <i>George and Margaret</i> di Gerald Savoy arriva il successo. In poco tempo la Tennent Ltd. diventa così forte che quando nel settembre 1939, dopo l’entrata in guerra, il Lord Ciambellano ordina la chiusura dei teatri, Beaumont fa pressione sul primo ministro Neville Chamberlain che annulla il provvedimento. Nel 1941 Tennent muore e a Binkie rimane il controllo della società. Negli anni Quaranta e Cinquanta dimostra un fiuto quasi infallibile e diventa il produttore più ricco e più influente di Londra, grazie anche alla sua forte amicizia con John Gielgud - che non viene messa in crisi dal fatto che John Perry, allora partner dell’attore, lo ha lasciato proprio per Binkie - e con Coward. E in <i>Present Laughter</i>, la commedia del 1942 in cui Noël rappresenta se stesso e i suoi amici, Beaumont diventa l’astuto uomo d’affari Henry Lyppiatt. I successi di Binkie si succedono l’uno dopo l’altro, produce tutti i classici shakespeariani e le opere dei nuovi drammaturghi. Fa debuttare Peter Brook e Richard Burton. Porta con <i>Oklahoma!</i> i grandi musical di Broadway nel West End. Membro fondatore del National Theatre, Binkie continua a lavorare fino alla fine, anche se il gusto del pubblico sta cambiando e lui fatica a capirlo. L’8 maggio 1956 assiste alla prima di <i>Ricorda con rabbia</i> di John Osborne, ma se ne va durante l’intervallo, non capendo che quello spettacolo segna un punto fondamentale del teatro inglese del dopoguerra.<br /><br />L’amicizia tra Binkie e Noël si interrompe proprio a causa di <i>Waiting in the Wings</i>: l’impresario dice che le grandi interpreti che l’autore vorrebbe non sono disponibili, ma Coward presto scopre che non sono state nemmeno contattate. Micheal Redgrave, il celebre attore e regista, accetta di produrre e mette insieme un cast incredibile.<br />Infatti per il ruolo di Lotta Bainbridge sia Coward che Redgrave pensano immediatamente a Sybil Thorndike: solo la regina del teatro inglese può rendere la grandezza di questo personaggio.<br />Agnes Sybil nasce a Gainsborough, nel Lincolnshire, nel 1882. La bambina ama la musica e viene avviata a una promettente carriera come pianista da concerto: a diciassette anni si esibisce già nelle principali sale da concerto di Londra, ma dopo un anno diventano evidenti i sintomi di una malattia alle mani che le impedisce di continuare. Non si arrende e si iscrive in una scuola di recitazione gestita dall’attore Ben Greet. Questi nota subito il valore di quella ragazza e nel 1904 la scrittura nella sua compagnia che fa una tournée di tre anni negli Stati Uniti. Quando torna nel suo paese non è certo famosa, ma ha già alle spalle una lunga gavetta. Nel 1908 in una compagnia di repertorio in cui entrambi lavorano conosce Lewis Casson: si sposano e il loro sodalizio, anche artistico, durerà per tutta la vita. Durante la prima guerra mondiale è nella compagnia dell’Old Vic e non interpreta soltanto quasi tutti i principali personaggi femminili delle opere di Shakespeare, ma, siccome i suoi coetanei maschi sono al fronte, è il principe Hal in <i>Enrico IV Parte 1</i>, il Matto in<i> Re Lear</i>, Ferdinando ne <i>La tempesta</i> e Puck in <i>Sogno di una notte di mezza estate</i>. Negli anni Venti viene ormai considerata la più importante attrice inglese dell’inizio del secolo, spazia dalla tragedia alla commedia. Le sue interpretazioni di Ecuba e Medea diventano leggendarie e nel 1923 George Bernard Shaw scrive appositamente per lei la sua <i>Santa Giovanna</i>. Questo personaggio, insieme a quello di Lady Macbeth, saranno punti fermi della sua carriera, che riproporrà molte volte.<br />Nel 1931 viene nominata Dame. Sybil, nonostante potrebbe limitarsi a recitare nel West End e nelle sue frequenti tournée a Broadway non vuole assolutamente smettere di portare i suoi spettacoli in provincia. Sente questo come un impegno verso il pubblico. E mette a disposizione la sua celebrità per sostenere giovani drammaturghi che farebbero fatica, senza il suo nome in cartellone, a far debuttare le proprie opere. Sybil è una convinta pacifista, manifesta contro il coinvolgimento del suo paese nella seconda guerra mondiale, ma quando comincia la guerra fa di tutto per portare un momento di serenità in ogni angolo del paese. Porta <i>Macbeth </i>in ogni villaggio del Galles, e spesso passa la notte nelle case dei minatori, perché non ci sono alberghi disponibili in quei paesi così lontani da Londra. Anche Sybil Thorndike è nell’elenco degli intellettuali inglesi che il regime nazista progetta di uccidere una volta occupato il paese. Finita la guerra Sybil torna a essere uno dei nomi di punta dell’Old Vic. Recita in numerose commedie, lavorando con tutti i grandi del teatro inglese. Ha un legame particolare con John Gielgud. Quando l’attore, che nel 1953 viene arrestato perché omosessuale, la prima sera dopo il rilascio ha paura di uscire sul palcoscenico, temendo la reazione del pubblico, Sybil lo prende sottobraccio e lo trascina letteralmente in scena, sussurrandogli: “Non fischieranno mai me…”. Naturalmente negli anni l’attrice si esibisce sia alla radio che al cinema. Olivier la vuole nel ruolo della regina madre in <i>The Prince end the Showgirl</i> con una splendida Marilyn Monroe.<br />È naturale che lei, a 78 anni, sia la principale attrazione per la commedia di Coward. E la sua carriera non finisce con questo spettacolo. Due anni dopo Olivier la vuole nella sua produzione di <i>Zio Vanja</i> al Festival di Chichester: nel cast ci sono, oltre al regista e a Sybil, Michael Redgrave, Joan Plowright, Fay Compton e Rosemary Harris. Nell’ottobre 1969 recita nel suo ultimo spettacolo, <i>There Was an Old Woman</i> di John Graham, in occasione dell’inaugurazione del Thorndike Theatre. Sybil muore a novantatré anni il 9 giugno 1976 e le sue ceneri vengono tumulate nell’abbazia di Westminster. Sybil descrive se stessa come “una socialista all’antica, un’anglicana e una pacifista, un misto che Mister Marx potrebbe disapprovare”.<br /><br />Ottenuta la disponibilità di Sybil, Redgrave sa che che le altre attrici che interpretano le ospiti di “The Wings” devono essere altrettanto famose. May Davenport è Marie Lohr. È nata nel 1890 a Sydney, il padre è il tesoriere dell’Opera Theater di Melbourne e la madre un’attrice della dinastia dei Bishop. Debutta a quattro anni a Sidney, poi la famiglia si trasferisce a Londra e Marie si fa notare a dieci anni in uno spettacolo, la cui corsa viene interrotta dalla morte della regina Vittoria. Dal 1902 al 1960, l’anno di <i>Waiting in the Wings</i>, non c’è una stagione in cui Marie non sia presente nei cartelloni del West End o di qualche città inglese con uno, due, tre o quattro spettacoli. Il suo ultimo lavoro, nel 1967, è una versione televisiva di <i>Present Laughter</i>, con Peter O’Toole e Honor Blackman.<br />Bonita Belgrave è Maidie Andrews. Nata nel 1893, comincia anche lei come attrice bambina. È un’ottima cantante e il teatro musicale diventa la sua specialità: è Sue nell’edizione originale inglese di <i>No, No, Nanette</i> del 1925 e la protagonista di <i>Cavalcade</i>, il celebre musical di Coward del 1931.<br />Maudie Melrose è Norah Blaney. Nata nel 1893, è un’eccellente pianista e cantante, diventa famosa nel music hall, esibendosi in coppia con Gwern Farrar. Norah e Gwen si conoscono nelle compagnie di varietà che organizzano gli spettacoli per le truppe durante la prima guerra mondiale, cantano bene insieme e diventano una coppia anche nella vita, sfidando i pregiudizi della società del tempo. In America scoprono il ragtime e lo portano a Londra. Si esibiscono di frequente anche nei club di Broadway.<br />Mary Clare, nata nel 1892, è una delle attrici preferite di Coward e lavora spesso in sue produzioni. Nel 1945 è una delle protagoniste di <i>Appuntamento con la morte</i> di Agatha Christie. Mary lavora anche al cinema e in televisione. L’unico film in cui è protagonista è <i>Mrs. Pym of Scotland Yard</i> del 1939, un film particolare, uno dei pochissimi in cui l’investigatore è appunto una donna, che, oltre alla caccia dell’assassino, deve vedersela con la stupidità dei suoi colleghi maschi della polizia.<br />Estelle Craven è Edith Day. È nata nel 1896 nel Minnesota, è l’unica americana della compagnia, anche se se ormai è considerata inglese. È una stella del musical del West End dagli anni Venti, quando ha portato a Londra <i>Irene</i>, il musical di maggior successo dell’epoca, la storia di una commessa irlandese che diventa una signora dell’Upper West Side. Dal 1925 si trasferisce e lavora a Londra fino al 1943, l’anno in cui si ritira. Solo per l’amico Noël decide di tornare in scena in <i>Waiting in the Wings</i>.<br />Deirdre O’Malley è l’attrice irlandese Maureen Delany. È nata nel 1888 e si specializza nei ruoli comici anche negli spettacoli musicali: ha una bella voce tanto che all’inizio pensa di dedicarsi al canto. Nel 1959 ottiene la nomination ai Tony per il suo ruolo in <i>God and Kate Murphy</i>, ma quell’anno vince la giovane Julie Newmar per <i>The Marriage-Go-Round</i>.<br />Sarita Myrtle è Nora Nicholson. Nasce nel 1887 e presto scopre la passione del teatro. È compagna di scuola della figlia di Frank Benson e diventa allieva del grande attore, che la fa debuttare e la tiene in compagnia fino al 1914, quando si unisce all’Old Vic. Con la celebre compagnia è Ariel ne<i> La tempesta</i>, Titania nel <i>Sogno di una notte di mezza estate</i>, Jessica ne <i>Il mercante di Venezia</i> e Celia in <i>Come vi piace</i>. Durante la prima guerra mondiale si arruola nel Women’s Royal Naval Service. Tra le due guerre Nora continua a lavorare a teatro, ma sembra che la sua carriera non sia destinata a grandi successi. Solo invecchiando questa attrice ottiene le parti di donna eccentrica che la rendono famosa: è un’acida zitella in <i>Dark Summer</i>, la madre in <i>The Lady’s Not for Burning</i> con Richard Burton e John Gielgud, Miss Brown in <i>The Living Room</i> a Broadway. E continua a lavorare molto dopo <i>Waiting in the Wings</i>: Gielgud vuole sia lei Avdotya Nazarovna nell’<i>Ivanov</i> di Cechov ed è Miss Nisbitt in <i>Quarant’anni dopo</i> di Alan Bennett. Nel 1973 è l’infermiera in <i>Casa di bambola</i> di Ibsen: il suo ultimo ruolo a teatro. Lavora anche al cinema, ma soprattutto in televisione: è la vecchia Juley ne <i>La saga dei Forsyte</i>, una fortunata serie della BBC del 1967. Muore nel 1973, a 85 anni. Alan Bennet e John Gielgud tengono gli elogi funebri.<div><br />Si aggiungono al cast Graham Payn, l’attore e cantante che da alcuni anni è il compagno di Coward, Margot Boyd che negli anni Settanta sarà nota per la sua partecipazione alla serie <i>Upstairs, Downstairs</i>, e il grande Lewis Casson che accetta il piccolo ruolo di Osgood Meeker.<br />Finalmente <i>Waiting in the Wings</i> debutta all’Olympia Theatre di Dublino l’8 agosto 1960, poi passa a Liverpool e Manchester. In tutte queste città è un successo: il pubblico della provincia fa la fila per assistere a uno spettacolo in cui recitano tante grandi attrici, che hanno cominciato prima che Noël diventasse famoso. Lo spettacolo debutta il 7 settembre al Duke of York’s Theatre, aperto nel 1892 con il nome Trafalgar. Nei primi giorni sembra che il pubblico accolga con interesse la commedia, ma i critici dei grandi giornali della città, pur lodando l’interpretazione delle regine, stroncano la commedia, seguiti dai giornali popolari. Le repliche della stagione natalizia su cui normalmente puntano gli spettacoli del West End non vanno bene. Lo spettacolo chiude il 18 febbraio ed è un disastro dal punto di vista finanziario. Binkie non si è sbagliato neppure questa volta. Nella città che sta per diventare la Swingin London quella storia crepuscolare in cui si parla di vecchiaia e di morte non riesce a sfondare. E poi non si ride come si fa di solito nelle commedie di Coward, che ci rimane molto male, pensa sia una delle cose migliori che ha scritto. E Sybil, che è una che se ne intende è d’accordo con lui: “Ho adorato quella commedia. È la commedia moderna più bella che abbia mai interpretato”.Brucia l’insuccesso di <i>Waiting in the Wings</i>. Graham decide di ritirarsi dalle scene e di dedicarsi soltanto a gestire i diritti delle opere del compagno. <i>Sail Away</i>, il musical del 1961, l’ultimo per cui Coward scrive libretto, musiche e parole delle canzoni, è un successo sia a Londra che a New York, dove debutta con Elaine Stricht come protagonista. Noël rifiuta sia il ruolo del “cattivo” nel film che stanno preparando per il personaggio reso famoso dai romanzi di Ian Fleming sia quello di Humbert Humbert in <i>Lolita</i>.<br />Nel febbraio 1968 debutta a Broadway la nuova commedia di Neil Simon <i>Plaza Suite</i>, Noël Coward dichiara: “Che buona idea avere tre diversi spettacoli che si svolgono tutti nella stessa camera d’albergo. Mi chiedo dove Neil Simon l’abbia trovata”. Tre anni prima il drammaturgo inglese ha presentato a Londra <i>Suite in Three Keys</i>, una trilogia composta da due atti unici, che devono essere rappresentati insieme nella stessa serata, e uno spettacolo più lungo, tutti e tre ambientati nella stessa suite di un lussuoso albergo svizzero. L’unico personaggio che si trova in tutti e tre i copioni è il cameriere italiano. In ogni pièce ci sono tre personaggi, un uomo e due donne, che negli spettacoli londinesi vengono interpretati dallo stesso Coward, nel suo addio alle scene, e da Lilli Palmer e Irene Worth. E in <i>A Song at Twilight</i>, per la prima volta, Noël interpreta un personaggio apertamente omosessuale.<br />Le condizioni di salute di Coward gli impediscono di portare lo spettacolo a Broadway. Noël Coward muore nella sua villa a Port Maria in Giamaica il 26 marzo 1973. Forse in quei giorni Noël ricorda una cosa che ha detto Lotta: “Vogliamo tutti essere ricordati per come eravamo, non per come siamo”.<br /><br /><i>La prima puntata di </i>Waiting in the Wings<i> è stata dedicata alla versione tv della Rai (<a href="https://www.allonsanfan.it/2023/03/30/noel-coward-al-calar-del-sipario-rai-le-attrici/#more-20410">qui</a>). La seconda puntata alla versione di Broadway in cui si fronteggiano Lauren Bacall e Rosemary Harris (<a href="https://www.allonsanfan.it/2023/04/04/waiting-in-the-wings-noel-coward-lauren-bacall-rosemary-harris/">qui</a>).</i></div>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-13201685915938944112023-04-06T08:51:00.000+02:002023-04-06T08:51:08.719+02:00Verba volant (832): magia...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEij2MU9Zj9BOOSAKusV9LBUggI_5oF9467ew8NfYp8f1Slmc2TnFdvxadkbNXEx-ViiMQ4q-J49z5OSliA6dn8dkybcLNzzrNDfvtLF46tQLmWTD7S-wcubxTJolT0nBiGG1-Xt7WoNVpUKOJ2Wh69BcbYHX4c1lOmTnGEOrZi7nck1nn7Ar1Rtd63QFQ/s1999/movie-theaters-coronvirus.webp" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1499" data-original-width="1999" height="466" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEij2MU9Zj9BOOSAKusV9LBUggI_5oF9467ew8NfYp8f1Slmc2TnFdvxadkbNXEx-ViiMQ4q-J49z5OSliA6dn8dkybcLNzzrNDfvtLF46tQLmWTD7S-wcubxTJolT0nBiGG1-Xt7WoNVpUKOJ2Wh69BcbYHX4c1lOmTnGEOrZi7nck1nn7Ar1Rtd63QFQ/w621-h466/movie-theaters-coronvirus.webp" width="621" /></a></div>Magia</b>, <i>sost. f.</i><br /><br /> Trentanove anni dopo la prima a Dublino e trentaquattro dopo lo spettacolo trasmesso dalla Rai, a cent’anni esatti dalla nascita di Noël Coward, il 16 dicembre 1999 debutta al Walter Kerr Theatre sulla 48esima Strada <i>Waiting in the Wings</i>. Jeremy Sams, un giovane autore e paroliere inglese ha adattato il testo, mentre il regista è il veterano Michael Langham, nato nel 1919 nel Somerset e direttore artistico per molti anni del Stratford Festival in Canada e in due distinti periodi direttore della Juilliard. Le anteprime a Boston non sono andate molto bene, ma i produttori sperano che la presenza nel cast di Lauren Bacall sia una garanzia al botteghino.<br />Perché Lauren Bacall non è solo una grande attrice, è una leggenda, l’ultima della Golden Age di Hollywood. Ha debuttato cinquantacinque prima, nel 1944, diretta da Howard Hawks, che l’ha scelta dopo avere visto una sua foto in copertina di Harper’s Bazaar. Il film è <i>To Have and Have Not</i> e il protagonista maschile è Humphrey Bogart.<br />L’anno dopo i due si sposano: una delle coppie più famose, belle e desiderate, del cinema. Recitano insieme in altri tre film, tra cui il capolavoro del noir <i>The Big Sleep</i>. E insieme lottano contro il maccartismo e la caccia alle streghe: sono proprio loro due che nel 1947 guidano un gruppo di attori in una manifestazione davanti a Capitol Hill. Negli anni Quaranta Lauren è una fatale dark lady, mentre negli anni Cinquanta è la splendida e divertente protagonista di alcune celebri commedie, come <i>How to Marry a Millionaire</i> - difficile scegliere tra lei, Marylin e Betty Grable - e <i>Designing Woman</i>. Lydia Simoneschi, che divide con Tina Lattanzi il trono del doppiaggio delle attrici del grande cinema americano degli anni Trenta e Quaranta, è la voce di Lauren in questi film. <br />Gli anni passano, Lauren rimane bellissima e continua a lavorare. Quando, alla fine degli anni Sessanta, Hollywood sembra averla dimenticata, lei continua a recitare in televisione e nel 1970 sbarca a Broadway: è la protagonista del musical <i>Applause</i> - un adattamento di <i>Eva contro Eva</i> - che porta anche nel West End e per cui riceve un Tony, sconfiggendo un’altra regina, Katharine Hepburn, che è in nomination per <i>Coco</i>. Poi nel 1974 arriva la parte di Mrs Hubbard nel cast stellare di <i>Murder on the Orient-Express</i>: quando appare con il coltello in mano è ancora la dark lady che ci ha fatto sognare nei film degli anni Trenta. Per Lauren è come una seconda carriera: vince un altro Tony nel 1981 per il musical <i>Woman of the Year</i> - in cui interpreta il ruolo portato al successo al cinema proprio da Hepburn - recita a Broadway in <i>La dolce ala della giovinezza</i> di Tennessee Williams, Rob Reiner la vuole nel cast di <i>Misery </i>e Robert Altman in quello di <i>Prêt-a-Portèr</i>, nel 1995 al Festival di Chichester è la protagonista di <i>La visita della vecchia signora</i> di Friedrich Dürrenmatt e l’anno successivo è la madre della protagonista nel film di Barbra Streisand The Mirror Has Two Faces, ruolo per cui ottiene, a settantatré anni, la sua prima e unica candidatura all’Oscar. Quando viene annunciata nel ruolo di Lotte Bainbridge, il pubblico fa la fila per vedere questa commedia di Coward mai rappresentata negli Stati Uniti.<br /><br />Accanto a quello di Lauren Bacall sul cartellone campeggia quello di un’altra regina di Broadway, Rosemary Harris, di due anni più giovane, che interpreta May Davenport. La carriera di Rosemary si svolge per sessant’anni quasi prevalentemente sui palcoscenici inglesi e americani, anche se negli anni Duemila raggiunge un’inattesa popolarità cinematografica, tra un pubblico giovane che non l’ha mai vista a teatro, grazie ai tre film di Sam Raimi dedicati all’Uomo Ragno: è lei che interpreta la zia May.<br />Rosemary è inglese, il padre è un ufficiale della Raf e lei cresce fino allo scoppio della seconda guerra mondiale nella parte nord-occidentale dell’India. Tornata in patria si appassiona la teatro, recita in piccole compagnia di provincia e nel 1951 si iscrive alla Royal Academy of Dramatic Art: è in classe con Joan Collins. Debutta a Broadway nel 1952 in una commedia di Moss Hart, poi torna a Londra, dove viene scritturata per l’edizione inglese della commedia <i>Quando la moglie è in vacanza</i>, nella parte della Ragazza, il ruolo portato al successo a Broadway da Vanessa Brown ed entrato nell’immaginario di tutti noi grazie a Marilyn. Noël Coward, che assiste alla prima, le invia un telegramma di congratulazioni: per Rosemary è un successo personale e lo spettacolo rimane in cartellone per più di un anno. Poi è Desdemona all’Old Vic, con Richard Burton come Otello. Sempre con la compagnia dell’Old Vic torna a Broadway in un acclamato, soprattutto grazie alla sua interpretazione, <i>Troilo e Cressida</i>. Con il regista Ellis Rabb, che diventa suo marito, fonda a New York una compagnia, che mette in scena celebri edizioni di <i>Il gabbiano</i> e <i>Così è (se vi pare)</i>. Torna nel Regno Unito. Laurence Olivier, che l’ha già diretta al Festival di Chichester come Elena in <i>Zio Vanja</i>, vuole che sia Ofelia nell’<i>Amleto</i> del 1963, con Peter O’Toole nei panni del principe di Danimarca, lo spettacolo d’esordio del National Theatre, nell’ambito delle celebrazioni per il quattrocentesimo anniversario della nascita del Bardo. Torna a New York ed è Eleonora d’Aquitana in <i>Il leone d’inverno</i>: è la prima delle sue nove nomination ai Tony e la sua unica vittoria.<br />Rosemary è una grande interprete di Shakespeare - è un’ottima Porzia ne <i>Il mercante di Venezia</i> - ma è anche bravissima in opere moderne come <i>Un tram che si chiama desiderio </i>o <i>Erano tutti miei figli</i>. Lavora molto anche al cinema e in televisione. Negli anni Ottanta è l’attrice più famosa e premiata di Broadway. Anche l’interpretazione di Rosemary Harris in questa commedia di Coward dedicata a una casa di riposo per vecchie attrici è molto attesa. E lei non delude le attese, vincendo il confronto con la sua “rivale” Bacall. Ottiene una meritata nomination, ma il premio va a Jennifer Ehle per <i>The Real Thing</i> di Tom Stoppard. Rosemary è comunque soddisfatta: sua figlia sta facendo una bella carriera.<br />Per Lauren questo spettacolo è l’ultima apparizione a Broadway, mentre Rosemary continua. Nel 2010 ottiene la sua ultima nomination come attrice non protagonista per il ruolo di Fanny Cavendish in <i>The Royal Family</i> di George S. Kaufman ed Edna Ferber. Nel 1976 aveva recitato nella stesso testo - anche in questo caso ottenendo una nomination ai Tony - nel ruolo della giovane Julie Cavendish, con la grande Eva La Galliene nel ruolo della matriarca. L’11 settembre 2018, una settimana prima del suo novantunesimo compleanno, Rosemary Harris debutta nel ruolo della signora Higgins nel revival di <i>My Fair Lady</i>.<br />Accanto alle due regine, c’è una bella schiera di comprimarie. Il ruolo di Sarita è interpretato da Helen Stenborg, che ottiene una meritata nomination ai Tony come attrice non protagonista. Helen è una veterana di Broadway, con una ricca carriera televisiva e cinematografica. Molto attiva nel circuito off-Broadway, una dei primi membri della Circle Repertory Company, è apparsa in diverse produzioni originali di Lanford Wilson. Proprio sul palcoscenico ha conosciuto l’attore Barnard Hughes: il loro matrimonio è durato per cinquantasei anni, fino alla morte di lui. Anche Barnard, un grande caratterista e un volto notissimo, grazie soprattutto alla televisione, recita in <i>Waiting in the Wings</i> - è Osgood Meeker - e questa è la sua ultima apparizione a Broadway.<br /><br /><div><i>Waiting in the Wings</i> chiude il 28 maggio 2000, dopo centottantatré repliche. Non bastano le regine a salvare uno spettacolo datato, che non ha la brillantezza di altre opere del drammaturgo inglese. Si tratta certamente di una delle opere minori di Coward, ma c’è tanta umanità in questa commedia e soprattutto c’è un grande amore per il teatro.<br />Mentre stringe in mano un mazzo di violette e ricordando gli anni passati come spettatore, il povero Osgood diventa l’incarnazione stessa dell’incantesimo che il teatro può lanciare sul suo pubblico. Quando la giovane giornalista gli fa notare che i suoi genitori dicevano che Martha, l’oggetto dei suoi affetti, non avesse molta voce, lui risponde con gravità: “Non aveva molto di niente, in realtà, tranne magia”. E questa magia non è affatto una cosa del passato.<br /><br /><i>Questa è la seconda di tre puntate per </i>Waiting in the Wings<i> di Noël Coward. La prima era dedicata allo spettacolo tv della Rai </i>Al calar del sipario<i> (<a href="https://www.allonsanfan.it/2023/03/30/noel-coward-al-calar-del-sipario-rai-le-attrici/">qui</a>). La terza è per l’originale inglese.</i></div>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-81741398191256156182023-04-04T08:01:00.004+02:002023-04-04T10:53:47.545+02:00Verba volant (831): sipario...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi95wQiowp2Lig1eobW-CToxRj1VecDK1Jv_oqfwSkmryGXkCZJGBw1M8Zpaoin7Z_OAKKk5xtY4xyJWEjgzoJ3QQKtYQlBamJXzn1NYZhLB8jkk58h2TAVNASPhebQScaMGIhDD-hzfjB5Z93YuIp_PVnywrWHn19ORcEoURzlPP2Fa10o55nhsMXIjg/s1024/ilcaffeonline-teatro.jpg" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="699" data-original-width="1024" height="420" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi95wQiowp2Lig1eobW-CToxRj1VecDK1Jv_oqfwSkmryGXkCZJGBw1M8Zpaoin7Z_OAKKk5xtY4xyJWEjgzoJ3QQKtYQlBamJXzn1NYZhLB8jkk58h2TAVNASPhebQScaMGIhDD-hzfjB5Z93YuIp_PVnywrWHn19ORcEoURzlPP2Fa10o55nhsMXIjg/w617-h420/ilcaffeonline-teatro.jpg" width="617" /></a></div>Sipario</b>, <i>sost. m.</i><br /><br /> Il 26 novembre 1965 va in onda sul Programma Nazionale della Rai la commedia di Noël Coward <i>Al calar del sipario</i>, nella traduzione di Renzo Nissim e con la regia di Marcello Sartarelli, un bravo artigiano della Hollywood sul Tevere, passato, come tanti suoi colleghi, alla televisione. Il nome di questo notissimo drammaturgo inglese non è molto conosciuto dal pubblico televisivo, anche se sono state trasmesse in agosto del 1963 <i>I rubini di Lady Alessandra</i> con Lia Zoppelli nel ruolo della protagonista - una parte che nel debutto londinese è stata di Vivien Leigh - e nel giugno dell’anno successivo <i>Breve incontro</i> con Carla del Poggio e Raoul Grassilli.<br />Qualcuno del pubblico di quella sera di fine autunno ha potuto vedere nel 1945 a teatro una celebre edizione di <i>Spirito allegro</i> della compagnia Morelli-Stoppa e alcuni forse ricordano <i>Intermezzo </i>con Sergio e Rosetta Tofano del 1937. Comunque in Italia a metà degli Sessanta Coward è un autore noto solo a pochi appassionati: i suoi testi sono “troppo” inglesi. Forse se qualche anno prima avesse accettato di essere il Dr. No nel primo film dedicato alle gesta di James Bond la sua popolarità sarebbe aumentata. Poi i testi di Coward sono troppo scandalosi, occupandosi, sotto la patina di un’apparente leggerezza, di tradimenti, di famiglie disgregate, di omosessualità, di dipendenze. E offrono l’immagine di una donna indipendente che “disturba” il pubblico borghese.<br />L’interesse del pubblico per questa commedia più che per l’autore è senz’altro per le protagoniste. La commedia infatti si svolge all’interno di una casa di riposo per attrici, i personaggi sono molti e quindi l’elenco delle interpreti, rigorosamente in ordine di entrata, racconta un bel pezzo di storia del teatro italiano. Questo articolo è dedicato doverosamente a loro. E anch’io comincio seguendo l’ordine dei titoli di testa.<br /><br /><i>Sarita Myrtle - Emma Gramatica</i>. E qui c’è uno dei motivi che rendono speciale questa commedia: la grande signora del teatro - nata nel 1874 - è morta a novantuno anni l’8 novembre 1965, proprio pochi giorni dopo aver finito le riprese di <i>Al calar del sipario</i>. Emma, che ha debuttato adolescente accanto a Eleonora Duse nella <i>Gioconda </i>di D’Annunzio, racconta con la sua carriera la storia dello spettacolo del Novecento. All’inizio del secolo è una celebre Nora in <i>Casa di bambola</i> - Ibsen sarà un autore da lei molto amato. Negli anni Venti è la prima interprete di <i>Ma non è una cosa seria</i> e <i>La signora Morli, una e due</i> di Luigi Pirandello. Fa lunghe tournée in America e in Europa: in Germania recita in tedesco. E, pur continuando la sua attività teatrale - ha anche una sua compagnia - accompagna la nascita dei nuovi mezzi di comunicazione di massa. Recita alla radio - è Hedda Gabbler ancora da Ibsen - al cinema e in televisione. Nel 1944 è con la sorella Irma, un’altra grandissima, e Olga Solbelli una delle protagoniste delle <i>Sorelle Materassi</i>, nel 1951 Vittorio De Sica vuole che sia Lolotta in <i>Miracolo a Milano</i> e dieci anni dopo è indimenticabile come Desolina in <i>Don Camillo monsignore… ma non troppo</i>, la vecchia madre che prega ogni giorno la Madonnina del Borghetto per il figlio disperso in guerra. Nel 1955 in televisione recita ne <i>I dialoghi delle Carmelitane</i>, un dramma che ha portato con successo sulle scene.<br />È un privilegio vedere in questa commedia l’ultima interpretazione di Emma Gramatica. Certo ci appare stanca e malata, in una scena è evidente l’ombra del suggeritore che le porge la battuta, ma quando comincia a recitare illumina la scena, anche nei gesti, come quando accende con precisione maniacale e con entusiasmo fanciullesco i fiammiferi che ha rubato a una delle ospiti, perché la passione di Sarita è quella di vedere la fiamma che si accende e dopo poco svanisce. E sarà proprio questa sua mania a costringere chi dirige la casa di riposo ad allontanarla. Quando esce, accompagnata dagli infermieri, salutando le amiche, ci regala un ultimo intenso sguardo, perso nei ricordi, come un’ingenua Norma Desmond, che parte per un’ultima tournée. Vita e teatro si mescolano e diventano tutt’uno in quest’ultimo addio alle compagne di una vita sul palcoscenico. C’è un’altra scena indimenticabile. Quando si accorge che la giovane giornalista che si è intrufolata nella casa cerca di farle una fotografia e le chiede di sorridere, Sarita, che fino a quel momento ha farfugliato in maniera confusa i propri pensieri, mescolando ricordi e vaneggiamenti, dice che sì può fotografarla, ma che non sorriderà, “Perché io sono tragica” e posa, con un gesto affettato e di maniera, come tante volte ha fatto. E come tante volte ha fatto Emma.<br /><br />Come ho detto la commedia racconta le vicende di una casa di riposo per vecchie attrici, “The Wings” nell’originale e “Le Quinte” nella traduzione italiana. Sono sette le ospiti, più Martha che non esce mai dalla propria camera e il cui unico legame con il mondo all’esterno della casa è Osgood Meeker, un ammiratore, più giovane di lei di venticinque anni, diventato ormai vecchio anche lui, che immancabilmente ogni settimana va a trovare l’oggetto della sua ammirazione e probabilmente di un antico amore segreto e impossibile. Il tranquillo equilibrio della casa e di quelle ospiti così particolari viene turbato dall’arrivo di Lotte Bainbridge, un’altra celebre attrice. Tutte sanno che cova una forte inimicizia tra la nuova arrivata e May Davenport, che fino a quel momento è stata la “stella” della casa: le due non si parlano da anni, anche se nessuna di loro sa quale sia il motivo. Lotte spera che quella forzata convivenza convinca May a dimenticare, ma questa non vuole cedere. Il fatto che le due non si rivolgano la parola crea tensione alla “Quinte”. Finalmente una notte, dopo che Sarita ha quasi causato l’incendio della casa, le due donne, rimaste sole, iniziano a parlare. Scopriamo così che è un uomo la causa di quell’inimicizia, un uomo che ha lasciato May per Lotte e che poi ha lasciato anche Lotte, portando in Canada il figlio.<br /><i>May Davenport - Laura Carli</i>. Nata nel 1906, debutta all’inizio degli anni Trenta nella compagnia di Renzo Ricci, poi dalla metà degli anni Quaranta ne ha una propria e in seguito diventa anche direttrice del Teatro dei Satiri a Roma. La sua carriera si sviluppa per oltre quarant’anni tra teatro, radio, cinema e televisione. Sul palcoscenico predilige autori contemporanei, al cinema è impegnata soprattutto nel doppiaggio, anche nei film di animazione - è sua la voce dell’elefantessa Catty in <i>Dumbo</i>, della Fata Smemorina in <i>Cenerentola</i> e della Rosa e della Regina di Cuori (quando canta) in <i>Alice nel Paese delle Meraviglie</i> - è un volto familiare nei grandi sceneggiati degli anni Cinquanta e Sessanta: è Bessy in <i>Jane Eyre</i>, poi è nel cast di <i>Piccolo mondo antico</i>, <i>Il romanzo di un giovane povero</i>, è Marfa Ignàt’evna ne <i>I Fratelli Karamazov</i>.<br /><i>Lotte Bainbrigde - Wanda Capodaglio</i>. È una voce nota della prosa alla radio, fin dai tempi dell’Eiar, e poi un volto molto conosciuto della prosa di quella bella televisione in bianco e nero. Lavora in <i>Piccole donne</i>, anche lei in <i>Jane Eyre</i>, poi è la zia Betsey in <i>David Copperfield</i> e Matilde Crawley ne <i>La fiera della vanità</i>. È nata nel 1889 in una famiglia di attori teatrali, il cui capostipite è sua nonno Luigi. Un fratello di Wanda ha sposato Anna Gramatica, la sorella minore di Irma ed Emma, anch’essa attrice. Wanda comincia proprio nella compagnia di Irma, poi lavora con Ruggero Ruggeri e alla fine degli anni Dieci ha la propria compagnia: Cechov è in questi anni il suo autore preferito. Negli anni Trenta recita molto in Germania, al fianco del celebre attore austriaco Alessandro Moissi. Dal 1939 affianca alla recitazione l’insegnamento all’Accademia nazionale d’arte drammatica: Vittorio Gassman, Tino Buazzelli, Monica Vitti, Rossella Falk, Gian Maria Volonté sono tra i suoi allievi.<br /><br />Altrettanto note le attrici che completano il gruppo delle signore. E si tratta si comprimarie di grandissimo valore. Grazie al testo di Coward e alla loro bravura, queste attrici non costituiscono un coro, ma danno vita a personaggi distinti, anche se con poche battute, rivelano caratteri e passioni diverse l’una dall’altra. D’altra parte ciascuna di loro è stata una prima donna e non lo dimentica.<br /><i>Diana O’Malley - Paola Borboni</i>. Sarebbe molto riduttivo confinarla al personaggio sopra le righe che abbiamo conosciuto nell’ultima parte della sua vita grazie alle frequenti apparizioni come ospite di talk show. Questa grande attrice, nata il 1 gennaio 1900, è stata una grande interprete pirandelliana, una delle più importanti della sua generazione. All’inizio degli anni Venti è nella compagnia di Irma Gramatica e sostituisce la protagonista quando è ammalata. Lavora con Ruggeri, poi fonda una propria compagnia. Nel 1942 riporta in scena <i>La vita che ti diedi</i>, che il drammaturgo siciliano ha scritto per Eleonora Duse e che, a seguito delle critiche della grande attrice, è stata ritirata e non più rappresentata fino a quel momento. Borboni è un’attrice poliedrica, alterna senza problemi la commedia brillante, come <i>Ciao Rudy</i> di Garinei e Giovannini con le tragedie greche, passa dalla rivista a Pirandello, e anzi usa i soldi che guadagna nel teatro leggero e al cinema - interpreta oltre settanta film, in ruoli da grande caratterista - proprio per finanziare i suoi spettacoli pirandelliani e la sua attività di monologhista.<br />Molti autori scrivono dei testi appositamente per questi suoi fortunati recital, che Borboni registra anche su disco. Nel 1994, pochi mesi di morire, torna a Pirandello con <i>Il berretto a sonagli</i>. Nella commedia di Coward Paola Borboni mette tutta la sua verve, interpretando il personaggio più comico della casa, l’unico che peraltro muore in scena.<br /><i>Bonita Belgrave - Elsa Merlini</i>. È nata nel 1903 e vuole recitare, ma fatica a perdere il suo marcato accento triestino. Si trasferisce a Firenze, studia dizione e a diciassette anni debutta nella compagnia di Annibale Ninchi. Poi crea una propria compagnia con Sergio Tofano e un’altra con il suo compagno Renato Cialente. Negli anni Trenta mettono in scena molti classici e una celebre edizione di <i>Piccola città</i> di Thornton Wilder. In questi anni comincia anche una fortunata carriera come cantante, registra molti 78 giri, incidendo alcuni duetti con Vittorio De Sica. Superata con fatica la perdita di Cialente, Merlini dopo la guerra torna al teatro e, come tutte le sue colleghe, lavora al cinema e approda alla prosa radiofonica e televisiva: recita in <i>Il mago della pioggia</i> con Alberto Lupo, in <i>Orgoglio e pregiudizio</i>, <i>Il mulino del Po </i>ed è Perpetua nella bellissima edizione<i> I promessi sposi </i>del 1967, diretta da Sandro Bolchi. Continua a recitare fino a pochi anni prima della morte: nel 1979 è la protagonista di <i>Mela </i>di Dacia Maraini.<br /><i>Cora Clarke - Cesarina Gheraldi</i>. Anche lei, nata nel 1915, è un’attrice molto attiva tra teatro, radio, cinema e televisione. Entra giovanissima nella compagnia di Lamberto Picasso, poi con Antonio Gandusio e infine con Ruggero Ruggeri. Negli anni Cinquanta ha una propria compagnia e ottiene il successo: è la protagonista di <i>La vedova scaltra</i> con la regia di Strehler, <i>Ippolita</i>, <i>Medea</i>. Poi fonda una nuova compagnia, con Leonardo Severini, che si specializza in spettacoli dedicati al genere poliziesco e giallo. È la zia Giuseppina in <i>Il bell’Antonio</i> con Marcello Mastroianni e nel cast di <i>55 giorni a Pechino</i>. In televisione è tra gli interpreti di <i>Canne al vento</i>, è Madame Thénardier ne <i>I miserabili </i>con Gastone Moschin e Tino Carraro e la vecchia nel castello dell’Innominato ne <i>I promessi sposi</i> e Mrs Allen ne <i>La valle della paura</i> con Nando Gazzolo che fa Sherlock Holmes.<br /><i>Maud Melrose - Paola Barbara</i>. Nata nel 1912, dopo le prime esperienze teatrali, grazie alla sua bellezza, si afferma come attrice cinematografica. Interpreta alcuni film nel cinema dei telefoni bianchi, poi è la protagonista di <i>Amazzoni bianche</i> del 1936, in cui mette in mostra le sue capacità di sciatrice, e dimostra la sue doti drammatiche in <i>La peccatrice</i>, uno dei primi film realisti. Il film, in cui Paola Barbara recita con Gino Cervi, Fosco Giachetti, Vittorio De Sica, è il grande successo alla Biennale di Venezia del 1940. Non si interessa di politica e per questo non viene considerata come una diva del regime. Nonostante le venga richiesto, non vuole nemmeno partecipare al provino per la protagonista de <i>La cena delle beffe</i>, ruolo che sarà di Clara Calamai: sa che Alessandro Blasetti vuole che Ginevra appaia a seno nudo e lei non vuole farlo. Nel 1943 si trasferisce in Spagna, dove gira dei film, doppia molte pellicole che la Fox, in attesa della fine della guerra, vuole distribuire in Italia. Tornata a Roma è la protagonista di <i>La monaca di Monza</i> con Rossano Brazzi. Ritorna al teatro e soprattutto lavora nella prosa televisiva. Anche lei è nel cast di <i>Canne al vento </i>ed a fianco di Ubaldo Lay in un episodio di <i>Sheridan, squadra omicidi</i>. Il cinema le offre ruoli secondari, con lo pseudonimo Pauline Baards appare in diversi western negli anni Settanta.<br /><i>Estelle Craven - Tina Lattanzi</i>. Per lei, nata nel 1897, la carriera teatrale comincia in maniera davvero inaspettata. Nel 1922, sposata e madre di due bambini, assiste a una recita universitaria dove conosce un giovane Vittorio De Sica, che a sua volta le presenta Tatiana Pavlova. L’attrice e regista di origini russe rimane colpita dall’eleganza di Tina e le propone di insegnarle a recitare. In poco tempo entra stabilmente nella sua compagnia. Lavora in seguito con la compagnia di Ruggeri, con cui fa una tournée in Sud America, e con quella di Mario Mattioli. Nel 1930 debutta al cinema, ma soprattutto scopre il doppiaggio. Per trent’anni e per oltre trecento film Tina Lattanzi è la doppiatrice più famosa del cinema italiano, è sua la voce di Joan Crawford, Myrna Loy, Greer Garson, Rosalind Russell, Rita Hayworth, Marlene Dietrich e soprattutto di Greta Garbo. Ed è la “cattiva” in alcuni classici della Disney: <i>Biancaneve</i>, <i>La bella addormentata</i> e <i>Cenerentola</i>. Insieme a Laura Carli dà la sua voce alla Regina di Cuori. Nel 1937 la diva Francesca Braggiotti vuole che sia Tina Lattanzi a doppiarla in <i>Scipione l’africano</i>, il colossal del regime, le offre lei stessa una cifra ingente perché vuole avere la voce di Greta Garbo. Di fronte al suo rifiuto, viene convocata dal ministro Alfieri, che la prega di ripensarci, arrivando a minacciarla del confino. Lattanzi non ha paura: “Se lei dovesse scegliere tra me la Braggiotti, chi preferirebbe?”. “Lei”, risponde il ministro. “Ecco, io ho fatto la stessa cosa”. Continua a lavorare in teatro. Desta scandalo il suo costume di scena in <i>L’imperatore d’America</i> di George Bernard Shaw del 1942: sembra nuda. La censura, sollecitata dalla chiesa e dalla stampa conservatrice, vuole bloccare le repliche: deve intervenire Mussolini per far sì che lo spettacolo non venga chiuso. Continua a lavorare al cinema: Luchino Visconti la vuole come nobildonna ne <i>Il Gattopardo</i>. Negli anni Cinquanta insegna recitazione presso il Centro sperimentale di cinematografia. All’inizio degli anni Sessanta, quando le dive della Golden Age del cinema americano smettono di recitare, anche la carriera di Tina Lattanzi segna una battuta d’arresto. Torna a teatro. Garinei e Giovannini la scritturano per il ruolo della madre del professor Higgins in <i>My Fair Lady</i>, accanto a Delia Scala e Gianrico Tedeschi, e in <i>Ciao Rudy</i>. Ma recita anche in opere impegnate come Nerone è morto? e con l’amica Paola Borboni in <i>Becket e il suo re</i>. Ed è una presenza ricorrente nella prosa della Rai: <i>Ottocento, Zio Vanja, Il conte di Montecristo, Il Circolo Pickwick</i> sono tra i titoli entrati nella storia della televisione.<br /><br /><i>Ecco adesso mettetevi comodi e guardate su YouTube queste regine (il link, <a href="https://www.youtube.com/watch?v=FGeb5FYj3aE">qui</a>). E poi arriveranno altre storie. La prossima puntata sarà dedicata alla versione di Broadway in cui si fronteggiano Lauren Bacall e Rosemary Harris. E la terza all’originale inglese.</i>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-15721694488602375062023-03-25T11:31:00.003+01:002023-03-25T11:31:55.569+01:00Verba volant (830): sfortuna...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHzPBNNLm7UMWuB-gjXV1R2ym8tk4JFZi-ymE02wC_01Mmj1i7k1Z-CjV7DUISq4zGMafWIUoKaoLIYSy3Zyl1NnkKjJudlVtXUE0bJadmt5xKNlbRtOhc0udd88VquKXRh-Y4UPWFLIxgbbxrOJMkmGJJD96HO7l9toj36PQ7zvDY44pBhvv5x3YzYw/s1200/NEWYORKOKMORT.jepg_.png" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="928" data-original-width="1200" height="493" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiHzPBNNLm7UMWuB-gjXV1R2ym8tk4JFZi-ymE02wC_01Mmj1i7k1Z-CjV7DUISq4zGMafWIUoKaoLIYSy3Zyl1NnkKjJudlVtXUE0bJadmt5xKNlbRtOhc0udd88VquKXRh-Y4UPWFLIxgbbxrOJMkmGJJD96HO7l9toj36PQ7zvDY44pBhvv5x3YzYw/w639-h493/NEWYORKOKMORT.jepg_.png" width="639" /></a></div>Sfortuna</b>,<i> sost. f.<br /></i><br /> Ci sono delle vecchie storie che vengono raccontate di continuo ai tavoli di Sardi’s e durante le lunghe pause nei backstage, come quella del fantasma di Olive Thomas - che “vive” ancora al New Amsterdam sulla 42esima (1) - o quella di Jackson Mortinsen o, come lo chiamano tutti a Broadway, The Unlucky Jack (2).<br /><br />Certamente Jack è stato sfortunato nella sua carriera, eppure lui nel destino ci ha sempre creduto. D’altra parte solo il destino poteva far sì che si ritrovassero e si incontrassero a Hurtsboro sua padre Jozef e sua madre Anna, arrivati in America, senza conoscersi, dalla stessa città, Bratislava, nei primi anni del Novecento (3). A dire la verità la parte davvero incredibile di questa storia è che quel falegname e quella sarta siano arrivati, facendo lunghi viaggi, in quel piccolo e dimenticato paese in mezzo all’Alabama. Una volta giunti lì era naturale che si incontrassero: erano gli unici slovacchi nella chiesa di padre O’Malley.<br />Jackson è nato a Hurtsboro il 24 giugno 1913. A Jack piace andare a scuola e adora giocare a baseball, ma più di tutto ama cantare. A Hurtsboro l’unica occasione per farlo è il coro della chiesa battista e così Jack la domenica mattina va a messa nella chiesina cattolica di padre O’Malley e poi va a cantare con i suoi compagni di scuola nella congregazione di padre Davis: è l’unico ragazzo bianco, ma ha una voce potente. E poi gioca bene anche a football, a padre Davis fa comodo un ragazzo così nella sua chiesa. A Jack piace anche ballare, ma quello è impossibile a Hurtsboro. I genitori delle ragazze nere non vogliono che Jack balli con le loro figlie e quelli delle ragazze bianche non vogliono che le loro figlie parlino con “quello che canta con i negri”. La passione per il ballo Jack l’ha presa da sua madre e così lui può ballare solo con lei.<br />Nel 1935, quando ha ventidue anni, Jack decide di lasciare Hurtsboro: vuole far fortuna, magari cantando, ma soprattutto sa che per lui rimanere lì è un pericolo, quelli del Ku Klux Klan gli fanno capire che non c’è posto per quelli come lui in città (4).<br /><br />A New York Jack studia ballo, lavora nelle giostre a Coney Island, frequenta i vaudeville, consegna i giornali, si esibisce in qualche serata del dilettante, fa il lavapiatti da Childs’ a Brooklyn, al 503 di Fulton Street (5), corteggia Orthense, una commessa di Macy’s che va sempre a mangiare in quel ristorante, fa un provino dopo l’altro.<br />Finalmente, il 2 gennaio 1940, la telefonata che sta aspettando da quando è arrivato in città. Il suo agente gli dice che quattro giorni dopo debutterà a Broadway in <i>Very Warm for May</i> (6): un tale ha mollato e la produzione cerca un sostituto per la parte dell’elettricista. Un piccolo ruolo, ma è Broadway, ragazzo mio. Il giorno successivo, alle nove precise deve essere all’Alvin Theatre e chiedere dell’aiuto regista William Torpey. Il vecchio agente preferisce non raccontargli che lui è il sostituto del sostituto. Pare che sia già il quarto che lascia dopo neppure due mesi di repliche.<br />Jack non sta nella pelle: il 6 gennaio è il compleanno di sua madre. È un segno del destino e lui ci crede nel destino. Si licenzia da Childs’ e quella sera porta Orthense a cena fuori. Vanno a Manhattan, passeggiano lungo la 52esima e si fermano davanti ai manifesti dell’Alvin Theatre. Jack è al settimo cielo: il nuovo musical di Kern e Hammerstein, di nuovo insieme dopo che il compositore è stato per qualche anno a Hollywood. Lo spettacolo ha debuttato a novembre: rimarrà in cartellone almeno un anno, sarà un successo come <i>Show Boat</i>, e dopo lui e Orthense potranno sposarsi.<br />La mattina dopo Jack è puntualissimo. Una sarta gli sistema alla meglio il vestito di scena, un assistente gli dà il copione e gli spiega quello che deve fare. Jack non nota i musi lunghi della compagnia, che lo accolgono senza troppo entusiasmo.<br />Finalmente sabato sera Jack Mortinsen debutta a Broadway. A Orthense sembra strano che il teatro sia mezzo vuoto, ma è felice di vedere il suo Jack là sul palco e quando alla fine tutti escono sulla ribalta lei è quella che applaude con più entusiasmo. Calato il sipario William Torpey chiede alla compagnia di fermarsi un momento prima di tornare nei camerini: annuncia che quella è stata l’ultima replica, Max Gordon ha deciso di chiudere lo spettacolo. Da lunedì potranno andare nell’ufficio in Times Square per ricevere l’ultima paga. Jack è l’unico che rimane sorpreso da quella notizia, che tutti evidentemente si stanno aspettando (7).<br /><br />Per fortuna il suo capo da Childs’ non ha ancora assunto un nuovo lavapiatti. Sono passati solo pochi mesi dal suo sfortunato debutto a Broadway, ma Jack crede che la grande occasione stia per arrivare. Spulcia i numeri di Variety per avere informazioni sulle nuove produzioni, telefona ogni settimana al suo agente per sapere se ci sono audizioni adatte a lui. Finalmente ad agosto crede di aver trovato quella giusta: il ruolo di quello squattrinato cantante di nightclub sembra fatto per lui.<br />Ed effettivamente il provino per il ruolo del protagonista in <i>Pal Joey</i> va bene. Jerome Whyte ed Edison Rice scelgono lui e altri cinque tra i tanti che si sono presentati all’audizione. Al regista George Abbott, al coreografo Robert Alton e a Richard Rodgers, che ha composto la musica delle canzoni, spetta la decisione finale. Viene fatto un sorteggio per decidere l’ordine con cui si esibiranno. Jack è il sesto. Pensa sia di buon augurio: si ricorderanno di lui quando dovranno prendere la decisione. Jack conosce di vista anche gli altri. Li ha visti ballare tutti, tranne quel suo coetaneo di Pittsburgh, che però dicono sia più un coreografo che un ballerino. Sa che ha preparato i numeri per una rivista di Billy Rose. Jack è nervoso, ma è convinto di poterli convincere con la sua esibizione. Rimane in camerino mentre si esibisce quello prima di lui, che è proprio quello di Pittsburgh. Alla fine del suo numero Jack è soddisfatto, pensa di aver fatto bene. Purtroppo Rodgers e Abbott assistono un po’ distratti all’esibizione di Jack. Hanno già scelto: solo Gene Kelly può essere Joey Evans o, come lo chiamano tutti a Chicago, Pal Joey. Sarà il primo e l’ultimo spettacolo di Broadway di quel ballerino di Pittsburgh: la stella di Gene Kelly è destinata a brillare a Hollywood (8).<br /><br />Adesso fa il cameriere, la paga è più alta e poi ci sono le mance. Lui e Orthense si sono sposati, anche senza l’ingaggio a Broadway. A settembre, quando un amico gli dice che Sam Harris sta allestendo un nuovo spettacolo e sta cercando un cantante per interpretare la parte di un fotografo gay (9), Jack non ci pensa due volte e chiede al suo agente di poter fare un provino. Non si tratta di un ruolo da protagonista, ma è il musical per cui Ira è tornato a scrivere, tre anni dopo la morte di George. E con la musica di Kurt Weill. A Broadway c’è una grande attesa ed essere nel cast, a fianco di una regina come Gertrude Lawrence, per Jack sarebbe la svolta.<br />Il provino va bene: Harris gli dice che ci sono ottime possibilità. Ma proprio quella sera il librettista Moss Hart, che è anche il regista di <i>Lady in the Dark</i>, decide di prendersi una pausa dal lavoro e porta sua moglie a La Martinique, il nightclub sulla 57esima. Si esibiscono marito e moglie: lei è Sylvia Fine, suona il piano e compone canzoni, lui si chiama Danny Kaye, canta, fa battute, imita ogni cosa, incanta il pubblico con la sua bravura. Dopo quella sera Moss non ha dubbi: sarà lui a interpretare Russell e proprio sulle sue incredibili capacità Ira Gershwin e Kurt Weill scrivono la canzone <i>Tschaikowsky (and Other Russians)</i>: solo Danny riesce a snocciolare i nomi di cinquanta compositori russi in meno di quaranta secondi. Quello spettacolo segna la carriera di quell’attore di Brooklyn, i cui genitori sono arrivati dall’Ucraina (10).<br /><br />All’inizio del 1941, quando il suo capo decide di andare in pensione propone ai manager di Childs’ che Jack lo sostituisca: conosce il lavoro, si impegna, e gli è appena nato un bambino. Jack continua a leggere Variety, ma ormai non ha più un agente. Si esibisce in qualche serata del dilettante nei locali di Brooklyn. Gli piace andare a teatro con Orthense. Nel 1948 la Child’s gli affida la direzione del proprio ristorante nel Paramount Building, al 1501 di Broadway (11). In fondo Jack nel destino ci ha sempre creduto.<br />Ed è proprio ai tavoli di quel ristorante Childs’ frequentato da tanti appassionati del teatro che Jack sente raccontare per la prima volta la storia di questo attore sfortunato, il cui primo spettacolo è stato chiuso proprio il giorno del suo debutto e che non è diventato una star per colpa di Gene Kelly e di Danny Kaye. A dire il vero nel corso degli anni la storia di The Unlucky Jack si arricchisce di altri episodi, molti del tutto inventati e alcuni capitati ad altri attori, come quella volta che il balconcino di Giulietta è caduto in testa a Romeo all’Imperial Theatre (12). Jack conosce la vera storia di quell’attore sfortunato, ma non la racconta a nessuno.<br /><br /><div>Jackson Mortinsen è morto nella sua casa di Brooklyn il 6 gennaio 1984: una data che gli sarebbe piaciuta. In fondo lui ci credeva nel destino. È sepolto al cimitero di Green-Wood, non molto lontano dalla tomba di Frank Morgan, il mago di Oz. E da quella di Leonard Bernstein (13). Andate a salutarlo quando passate da Brooklyn.<br /><br /><i>Nella foto di apertura, Jackson Mortinsen, nella sola immagine che ci è rimasta di lui, negli anni Quaranta a New York (non sappiamo chi l’abbia ritratto). Stiamo ancora cercando, ma non sembra ci siano foto di scena di Mortinsen.</i><br /><br />Note</div><div><br /></div><div>1) Hanson, Nils, <i>Lillian Lorraine. The Life and Times of a Ziegfeld Diva</i>, McFarland Publishing 2011, pagg. 101-102.<br />2) Mulligan, Jerry, <i>The Unfortunate Case of Jackson Mortinsen</i>, University of Alabama Press 1999.<br />3) Stolarik, M. Mark,<i> Where is My Home? Slovak Immigration to North America (1870-2010)</i>, Peter Lang AG 2012, pag. 205.<br />4) In merito alle tensioni razziali in questa città dell’Alabama merita di essere ricordato l’Hurtsboro race riot, <i>New Race War Is On</i>, "The Topeka State Journal", 30 dicembre 1920.<br />5) <i>Brooklyn Telephone Directory, Winter 1939-1940</i>, New York Telephone Company.<br />6)<i> Out-of-Town Openings</i>, "Billboard", 4 novembre 1939.<br />7) Brooks Atkinson, Justin, <i>It’s not so hot for November</i>, "New York Times", 6 novembre 1939.<br />8) Hyland, William, <i>Richard Rodgers</i>, Yale University Press 1998. pp. 126-131.<br />9) Capsuto, Steven, <i>Alternate Channels: The Uncensored Story of Gay and Lesbian Images on Radio and Television</i>, Ballantine Books 2000, pag. 31.<br />10) McClung, Bruce, <i>Lady in the Dark, Biography of a Musical</i>, Oxford University Press 2007.<br />11) Robins, Anthony W., <i>New York Art Deco: A Guide to Gotham’s Jazz Age Architecture</i>, State University of New York Press 2017, pagg. 90-91.<br />12) Hawkins, Hubert, <i>Shakesperare on Broadway</i>, Penguin Random House 1986, pag. 121<br />13) Reynolds, Donald, <i>The Architecture of New York City: Histories and Views of Important Structures, Sites, and Symbols</i>, New York: J. Wiley 1994, pagg. 318-319 e CWCG Cemetery Report</div>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-20006144067219071832023-03-21T10:24:00.004+01:002023-03-21T10:24:48.192+01:00Verba volant (829): scherma...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEityQ2qmIcrpVY7ELE1PdANNpmU_VqqR5O1VbgzEw-TC4GaugkC6ZCfI4eor0qKoOEMPNozeWdJUfuaTJJV7gN5hb5cyKR1-c70aPgx6uq3nb7lCezXf-uChcJ15_g5gxH6A4mofelwFYIrS8W51fr9f_482-oFJVT_y6GGrudi5CtYYh8wnYpW3sU3uw/s1280/br-powerl.webp" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="720" data-original-width="1280" height="360" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEityQ2qmIcrpVY7ELE1PdANNpmU_VqqR5O1VbgzEw-TC4GaugkC6ZCfI4eor0qKoOEMPNozeWdJUfuaTJJV7gN5hb5cyKR1-c70aPgx6uq3nb7lCezXf-uChcJ15_g5gxH6A4mofelwFYIrS8W51fr9f_482-oFJVT_y6GGrudi5CtYYh8wnYpW3sU3uw/w640-h360/br-powerl.webp" width="640" /></a></div>Scherma</b>, <i>sost. f.</i><br /><br /> Negli anni Trenta a Hollywood nessuno è bravo a tirare di scherma come Basil Rathbone - d’altra parte ai tempi della prima guerra mondiale è stato per due anni consecutivi il campione dell’esercito inglese - ma sul grande schermo perde sempre, perché Basil negli anni Trenta a Hollywood è il <i>villain </i>per antonomasia. E il “cattivo” deve sempre perdere.<br /><br />Basil nasce a Johannesburg nel 1892. Sua madre è una violinista e il padre un ingegnere minerario. I Rathbone devono lasciare la Repubblica Sudafricana quando Basil ha solo tre anni, perché il padre è accusato di aver preso parte a un tentativo di rovesciare il governo del presidente Kruger. Il ragazzo ha ottimi voti al liceo ed eccelle negli sport, il padre spera di farne un uomo d’affari e tira un sospiro di sollievo quando viene assunto dalla Liverpool and London Globe Insurance Company, perché Basil dimostra una “pericolosa” passione per il teatro, alimentata dal cugino, l’attore e impresario Frank Benson. Grazie a lui Basil debutta nel 1911 come Ortensio ne <i>La bisbetica domata</i> nella seconda compagnia che porta quella commedia in giro per la provincia. L’anno dopo, sempre con la seconda compagnia Benson, va a Broadway: si tratta di piccole parti, ma quel giovane si fa notare, tanto che nel 1915 il cugino lo chiama a recitare nella prima compagnia, insieme a lui: è Lisandro nel <i>Sogno di una notte di mezza estate</i>.<br />Scoppia la guerra contro la Germania e l’Impero Austro-ungarico e Basil si arruola. Nel suo reggimento c’è anche Claude Rains, un altro giovane che vuole fare strada nel West End. Basil si distingue sul campo di battaglia, serve sul fronte occidentale, dimostrando una particolare abilità nel lavoro di intelligence. Convince i suoi superiori a mandarlo a esplorare le posizioni durante il giorno, invece che la notte come si faceva di solito. Si “traveste” da albero: realizza una speciale tuta mimetica e si copre la testa con delle foglie appena raccolte. Sono missioni pericolose, ma il capitano Rathbone dimostra un grande coraggio. E ottiene la Military Cross.<br />Congedato, Basil decide che le assicurazioni non fanno per lui: il richiamo del teatro è troppo forte. Nel 1919 con la New Shakespeare Company partecipa al Summer Festival di Stratford-upon-Avon: interpreta Romeo, Florizel in <i>Il racconto d’inverno</i>, Cassio, Ferdinando ne <i>La tempesta</i>. L’anno successivo è finalmente il protagonista del nuovo dramma di George du Maurier, <i>Peter Ibbetson</i>, che ha debuttato a Broadway nel 1917 con John Barrymore. È un successo che fa finalmente decollare la carriera dell’attore. Nell’ottobre del 1923 torna a New York, ma questa volta come protagonista di <i>The Swan</i> con Eva Le Gallienne, una delle attrici più famose e chiacchierate di Broadway. Per tutti gli anni Venti fa la spola tra Londra e gli Stati Uniti.<br />Il 29 settembre 1926 debutta all’Empire Theatre di Broadway con il dramma di Édouard Bourdet <i>The Captive</i> con Helen Menken. È la prima volta che si affronta in maniera così esplicita sul palcoscenico il tema dell’omosessualità femminile. Il pubblico, specialmente femminile - si calcola che l’ottanta per cento sia composto da donne - assicura un successo allo spettacolo. La chiesa cattolica si schiera contro lo spettacolo, spalleggiata da William Randolph Hearst che scatena i suoi giornali. Disturba in particolare che Iréne sia lesbica senza soffocare la propria femminilità, senza adeguarsi agli stereotipi che quei “moralisti” hanno in testa. Il vicesindaco Joseph V. McKee, approfittando del fatto che il sindaco Jimmy Walker è in vacanza, ordina alla polizia di chiudere lo spettacolo. Il 9 febbraio 1927, durante il secondo atto, i poliziotti irrompono sul palco e tutti gli attori sono arrestati. Rathbone si indigna per questa cosa, pensa che a teatro si possa affrontare ogni tema. In Italia La prigioniera verrà messa in scena nel 1944 con Gino Cervi e Evi Maltagliati (Titania nel <a href="https://www.allonsanfan.it/2022/12/08/a-midsummer-nights-dream-shakespeare-cinema/"><i>Sogno</i></a> al Giardino dei Boboli): la chiesa cattolica fa pressione sul sottosegretario Andreotti per imporre il divieto, ma non riesce a bloccare lo spettacolo. Intanto Basil continua a lavorare, specialmente negli Stati Uniti, recita con Ethel Barrymore e in diverse occasioni con la grande Katharine Cornell, con cui mette in scena un’acclamata edizione di <i>Romeo e Giulietta</i>.<br /><br />Naturalmente Hollywood si accorge di questo attore dallo sguardo altero e che sa usare la spada con incredibile talento. Negli anni Venti interpreta alcuni film muti, ma certamente lui non ha problemi a passare al sonoro.<br />Finalmente nel 1930 è il protagonista di <i>The Bishop Murder Case</i>. La Metro punta su di lui per il personaggio del detective elegante e snob Philo Vance, mentre negli stessi anni la Paramount ha affidato quel ruolo a William Powell. È un successo, anche se il nome di Basil Rathbone rimarrà legato a quello di un altro celeberrimo investigatore. Negli anni Settanta l’Italia avrà con Giorgio Albertazzi un grande Philo Vance, forse il migliore.<br />Né i tre film che Powell gira per la Paramount, né quello che gira successivamente per la Warner, né quello di Rathbone riescono a rendere sul grande schermo le complesse trame dei romanzi di S.S. Van Dine. Ottengono buoni risultati al botteghino perché sfruttano il successo commerciale dei libri, ma nulla più. Solo <i>The Canary Murder Case </i>si ritaglia un posto nella storia del cinema, perché la Paramount vuole nella parte di Margaret, la “Canarina” appunto, la donna uccisa attorno a cui ruotano molti uomini, la diva Louise Brooks, una donna che dà scandalo. Il film è girato inizialmente come muto, ma lo studio si accorge che è necessario trasformarlo in un <i>talkie</i>. Ma Louise è partita per Berlino, per interpretare Lulu nel nuovo film di Georg Wilhelm Pabst e si rifiuta di tornare a Hollywood per doppiare il film e girare alcune nuove scene. Sarà Margaret Livingston a dare la voce a Louise, che rimane una diva del muto, dei Roaring Twenties, destinata - come la “Canarina” - a “morire” artisticamente nel fiore della sua bellezza.<br />Invece, andando avanti negli anni Trenta la carriera cinematografica di Basil Rathbone si afferma. E diventa “cattivo”. È Mr. Murdstone in David Copperfield e Karenin in Anna Karenina con la bellissima Greta Garbo. E finalmente può tornare a tirare di spada contro il “buono” Errol Flynn in <i>Captain Blood</i> e <a href="https://www.allonsanfan.it/2023/03/02/robin-hood-little-john-alan-hale-errol-flynn/"><i>The Adventures of Robin Hood</i></a>, cercando invano di sposare Olivia de Havilland, che però ha occhi - e che occhi - solo per il suo rivale. Basil insegna all’amico Errol come migliorare la sua tecnica nella scherma, anche perché sa che in entrambi i film deve essere sconfitto. Nel 1940 insegna anche a Tyrone Power che interpreta l’eroe in <i>The Mark of Zorro</i>, mentre lui è il capitano Esteban Pasquale. E la bella è Linda Darnell.<br />Nel 1939 è anche il cattivissimo Riccardo III in <i>Tower of London</i>, un altro film che gli permette di maneggiare la spada.<br />Solo in due duelli può vincere. In <i>Romeo and Juliet</i> del 1936, diretto da George Cukor, con Leslie Howard e Norma Shearer nei ruoli del titolo, è Tebaldo che sconfigge John Barrymore che interpreta Mercuzio. Per questo film Basil ottiene la sua prima nomination all’Oscar. E in <i>The Mark of Zorro</i> sconfigge Eugene Pallette. Eugene, basso, grassottello e con un fisico non proprio atletico, è comunque un buon schermidore - anche per questo ottiene due anni prima la parte di Frate Tuck - ma non può certo competere con Basil.<br />È nel 1939 che la carriera di Basil Rathbone ha una svolta quando interpreta il ruolo del protagonista nel colossal di David O. Selznick <i>Gone with the Wind</i>, accanto a Vivien Leigh, dove ritrova Olivia de Havilland e Leslie Howard. Sì, lo so che la parte di Rhett Butler è andata a Clark Gable, ma Margaret Mitchell pensa proprio a Basil per quel ruolo. E se fosse andata così il cast del grande film sugli Stati del Sud sarebbe stato tutto inglese. Comunque la Twenty Century Fox quell’anno - un anno d’oro per il cinema americano (da <i>Ombre rosse</i> al <i>Mago di Oz</i>, da <i>Ninotchka </i>a <i>Mr Smith va a Washington</i>) - produce <i>The Hound of the Baskervilles</i>, ingaggiando Basil Rathbone e Nigel Bruce rispettivamente per i ruoli di Sherlock Holmes e del Dr. Watson. A dire la verità il primo nome sulla locandina - e quello che ha il cachet più alto - è quello di Richard Greene, che interpreta Harry Baskerville. Richard non farà particolarmente successo a Hollywood, torna in Inghilterra e qui negli anni Cinquanta gira una fortunata serie per ragazzi dedicata a Robin Hood. Quel film è un successo inaspettato, in pochi mesi viene girato <i>The Adventures of Sherlock Holmes</i> e i nomi di Rathbone e Bruce sono in alto sopra il titolo. Dal 1942 al 1947 usciranno altri dodici film dedicati al detective di Baker Street - prodotti dall’Universal - e dal ’39 al ’46 i due attori riprendono i loro personaggi in una popolarissima serie radiofonica. Ormai Basil Rathbone non è più il cattivo dei film di cappa e spada, è Sherlock Holmes, con il cappello da <i>deerstalker </i>e il mantello Inverness.<br /><br />Il personaggio rimane incollato a Basil che, faticando negli anni successivi a trovare buoni ingaggi cinematografici, per lavorare - e, dicono i maligni, mantenere il costoso stile di vita della seconda moglie - non esita a indossare i panni del detective per una puntata del popolarissimo show di Milton Berle e per gli spot degli insetticidi Getz. Tenta di portare Sherlock anche a Broadway, ma lo spettacolo è un fiasco. Basil vorrebbe Nigel accanto a sé, ma l’amico sta male. La sua morte l’8 ottobre 1953, proprio durante le prove, deprime Rathbone e lo spettacolo viene chiuso solo dopo tre repliche.<br />Non è facile per Basil Rathbone continuare a lavorare dopo Sherlock Holmes. Ritorna volentieri a teatro dove ottiene grandi soddisfazioni. Nel 1948 riceve un Tony per la produzione originale di <i>The Heiress</i>. Ma l’anno successivo per l’adattamento cinematografico viene scelto Ralph Richardson, con Olivia de Havilland nella parte della figlia. Lavora molto in televisione, incide dischi di storie dell’orrore, come <i>The Night Before Christmas</i>, e molti racconti di Edgar Allan Poe - insieme a Vincent Price - e accetta di partecipare a thriller commerciali di scarsa qualità e basso budget. Con Boris Karloff, Vincent Price e Peter Lorre diventa uno dei Big Four dei film horror dell’American International Pictures. Insieme nel 1963 girano <i>The Comedy of Terrors</i>, film che ricordiamo soltanto per il cast.<br />Finalmente nel 1955 Basil Rathbone ritorna a tirare di scherma. Il film è la commedia musicale <i>The Court Jester</i>, scritta e diretta da Melvin Frank e Norman Panama per il genio comico di Danny Kaye. L’attore, che interpreta Hubert Hawkins, un menestrello che si finge il giullare alla corte dell’usurpatore del regno di Inghilterra, dimostra tutto il suo talento nelle scene comiche e nei numeri musicali e verso la fine della storia ingaggia un lungo duello con Basil che interpreta il malvagio Lord Ravenhurst, con una buona dose d’ironia ricordando i successi degli anni Trenta. Grazie a un incantesimo della strega Griselda, la nutrice della principessa Gwendolyn, una bravissima Angela Lansbury. Hubert, che non ha mai impugnato una spada diventa un abilissimo schermidore, capace di tagliare in due una serie di candele senza spegnerle o di bere mentre duella, peccato che la magia non sia troppo potente e basti uno schiocco di dita per far tornare Hubert il menestrello fifone che deve parare i colpi del perfido Ravenhurst. Anche questa volta Basil deve insegnare al collega come affondare i colpi, perché ancora una volta è lui quello che deve perdere.<br />Basil Rathbone muore per un infarto il 21 luglio 1967.<br />Nel 1986 la Disney realizza un film a cartoni animati intitolato <i>The Great Mouse Detective</i>. Si tratta delle avventure di due topolini che vivono nella cantina di una casa vittoriana al 221/B di Baker Street: Basil che, sognando di fare l’investigatore come l’uomo che sta al piano di sopra, si getta in ogni sorta di avventure e il mite Topson che, nonostante i suoi timori, lo asseconda e lo accompagna. Gli sceneggiatori non possono chiamare che Basil il topo intraprendente che, grazie al suo acume e al suo coraggio, sconfigge il perfido Rattigan - che ha la splendida e inquietante voce di Vincent Price. Gli autori del film per dare la voce al personaggio di Sherlock Holmes utilizzano proprio la voce dell’attore scomparso diciannove anni prima, campionata da una lettura del 1966 di <i>The Red-Headed League</i>. Perché Sherlock Holmes può essere solo Basil Rathbone, lo spadaccino destinato a perdere sempre.Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-49835352837628263172023-03-10T07:58:00.001+01:002023-03-10T07:59:22.842+01:00Verba volant (828): foresta...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUOCJaY8NWttI0b45X9o4QSWFbxHaU1Tk6TYf1w1v8O-D_9wpuU5u4Tw8m_gLyWzJvYen9CWO1S0G2YADLhODM-Zk1_woMrfNotqarF6mS2EgIRO68sN7kpLd-ZTrP9zJEpieioa4OxNzlTQIFnlgY4nNzL4QlLUPUo2LJoWvq9MyBD-lMcwWyX0w8xA/s1920/the-stuff-that-dreams-are-made-of-0-swashbuckling-stars-errol-flynn-olivia-de-havilland-robin-hood-1938.jpg" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="1280" data-original-width="1920" height="401" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgUOCJaY8NWttI0b45X9o4QSWFbxHaU1Tk6TYf1w1v8O-D_9wpuU5u4Tw8m_gLyWzJvYen9CWO1S0G2YADLhODM-Zk1_woMrfNotqarF6mS2EgIRO68sN7kpLd-ZTrP9zJEpieioa4OxNzlTQIFnlgY4nNzL4QlLUPUo2LJoWvq9MyBD-lMcwWyX0w8xA/w602-h401/the-stuff-that-dreams-are-made-of-0-swashbuckling-stars-errol-flynn-olivia-de-havilland-robin-hood-1938.jpg" width="602" /></a></div>Foresta</b>, <i>sost. f.</i><br /><br />Rufus Edward Mackahan capisce molto presto di non avere la faccia dell’eroe. E neppure quella del cattivo. Ma questo ragazzone nato a Washington DC nel 1892 impara a conoscere bene l’industria del cinema - in fondo sono quasi coetanei - e sa che sul grande schermo l’eroe ha sempre bisogno, oltre che di un nemico e di una ragazza da salvare, di un amico fidato, che naturalmente sia meno forte e meno bello di lui. Così decide che quello sarà il suo ruolo. In questo modo Alan Hale - come comincia a farsi chiamare quando debutta in <i>The Cowboy and the Lady</i>, uno dei tanti film perduti di quell’età pioneristica - rinunciando a un promettente avvenire da cantante d’opera, si ritaglia un proprio spazio nella storia del cinema, in una carriera che dal 1911 al 1950 lo vede impegnato in ben duecentotrentacinque film, mai da protagonista. E per nove film anche dietro la macchina da presa.<br />C’è un personaggio in particolare che caratterizza la vita artistica di Alan, quello di Little John, il fedele compagno di avventure di Robin Hood. Alan interpreta questo ruolo nel 1922, poi nel 1938 e infine nel 1950, nell’ultimo film che riesce a girare, poco prima di morire. E ventitré anni dopo, nel dare la propria voce al personaggio del film di animazione della Disney, Phil Harris rende omaggio all’attore scomparso, ricalcandone l’accento. Perché ormai nell’immaginario di alcune generazioni di spettatori americani Little John è Alan Hale.<br /><br />Il film muto del 1922 che noi conosciamo con il titolo <i>Robin Hood</i> è il primo lungometraggio dedicato all’eroe di Sherwood. Prima di questo film ce ne sono stati già cinque, ma tutti cortometraggi. Ormai il cinema è cresciuto, il pubblico vuole storie con trame più articolate e soprattutto vuole vedere sul grande schermo i propri beniamini: è nato lo star system. E infatti il titolo con cui è registrato ed è pubblicizzato il film è <i>Douglas Fairbanks in Robin Hood</i>. Il divo del muto vuole assolutamente fare questo film - è un sogno che culla da anni - e ne cura tutti gli aspetti. Fairbanks è nella squadra degli sceneggiatori, lo produce e lo distribuisce attraverso la United Artists, che ha creato qualche anno prima con Charlie Chaplin, David Wark Griffith e sua moglie Mary Pickford. Fairbanks è uno degli attori più potenti dell’industria del cinema e ha l’ultima parola su ogni decisione. Sceglie come regista l’esperto Allan Dwan - che accetta come compenso il cinque per cento sugli incassi, una novità per Hollywood - e incarica Victor Schertzinger di scrivere la colonna sonora: Victor nel 1935 otterrà l’Oscar per la colonna sonora di <i>One Night of Love</i>, nella prima edizione in cui viene introdotta questa categoria.<br />Douglas vuole che il suo film su Robin Hood sia memorabile. Da produttore comincia a preoccuparsi quando iniziano ad arrivare i conti delle scenografie disegnate dall’architetto Lloyd Wright, il figlio di Frank, e dallo scenografo Wilfred Buckland - storico collaboratore di DeMille e il primo di questa professione a ottenere il proprio nome nei titoli di testa - e realizzate da una squadra di oltre cinquecento carpentieri e falegnami. Nel Pickford-Fairbanks Studio vengono costruiti un enorme castello e l’intero villaggio di Sherwood, mentre per gli esterni vengono scelte quattro diverse location. La lavorazione del film richiede quasi un anno e i costi superano il milione di dollari: per gli anni Venti una cifra enorme, che comunque viene ampiamente ripagata dal successo al botteghino.<br />Nel cast figurano l’attrice di origine australiane Enid Bennett, il canadese Sam de Grasse nel ruolo del Principe Giovanni e Wallace Beery in quello di Riccardo Cuor di Leone. Per il ruolo di Little John viene scelto il trentenne Alan Hale, che si è fatto conoscere in diversi film della Biograph, in <i>The Four Horsemen of the Apocalypse</i>, il grande successo di Valentino, e come Torvald in <i>A Doll’s House</i>, con la diva Alla Nazimova come Nora.<br />La sua interpretazione in questo successo gli offre una discreta notorietà. Per Fairbanks, che negli anni Venti fa sognare il pubblico americano interpretando Robin Hood, D’Artagnan, Zorro e che i giornali chiamano “The King of Hollywood”, il passaggio al sonoro segna la fine della carriera. Altri attori prenderanno quel titolo. Invece Alan resiste, ha una bella voce e un’importante presenza sulla scena. Magari non sarà protagonista, ma lui continua a lavorare.<br /><br />A metà degli anni Trenta la Warner Brothers decide che finalmente il sonoro deve avere il “suo” Robin Hood. Il film è in programma dalla fine del 1934 con James Cagney nel ruolo del protagonista, ma l’attore proprio quell’anno rompe il contratto con lo studio e così la Warner decide di aspettare, anche perché nella scuderia dello studio ci sono due giovani attori che potrebbero essere perfetti. L’australiano Errol Flynn è arrivato da poco a Hollywood dal Regno Unito: è bello e ha l’aria spavalda da seduttore, sa destreggiarsi con la spada e cavalca molto bene, può diventare il nuovo Fairbanks. Ha anche lo stesso brutto carattere. L’inglese Olivia de Havilland, dopo la buona prova in <i>A Midsummer Night’s Dream</i> di William Dieterle e Max Reinhardt, con quegli splendidi occhi scuri, è la nuova stella su cui la Warner decide di puntare: può essere la nuova Mary Pickford, insieme ingenua e determinata (si può cliccare su <a href="https://www.allonsanfan.it/2022/12/08/a-midsummer-nights-dream-shakespeare-cinema/">de Havilland</a> per una deviazione su quel <i>Sogno</i> di celluloide).<br />Proprio nel 1935 esce il primo film in cui i due attori sono insieme e protagonisti, <i>Captain Blood</i>, diretti da Michael Curtiz. Il film, un classico del genere cappa e spada, in cui Flynn interpreta il ruolo di un medico diventato pirata, è un successo che supera le aspettative della Warner, il pubblico adora Errol e Olivia e ama vederli insieme. Sono perfetti per i ruoli di Robin e di Marian - tra l’altro Olivia sa cavalcare altrettanto bene come Errol - e si può aspettare anche un paio d’anni, quando saranno entrambi liberi da altri impegni. Così per <i>The Adventures of Robin Hood</i> si ricostituisce la squadra del film precedente: Curtiz dirige Errol Flynn e Olivia de Havilland, con Basil Rathborne, come nell’altro film, a fare il “cattivo” Guy di Gisborne. A completare il cast un altro eccellente attore inglese, Claude Rains, nel ruolo del Principe Giovanni.<br />A metà del 1937, quando tutti gli attori sono pronti, a tre mesi dall’inizio delle riprese, i produttori capiscono che a questo punto il loro Robin Hood deve essere non solo il primo a parlare, ma anche il primo in Technicolor. La Warner decide di spendere, di fare un grande film. La pellicola costa due milioni di dollari: lo studio non ha mai speso tanto per un film. Naturalmente su qualcosa si cerca di risparmiare. Nel film di Fairbanks il primo scontro tra Robin e Guy di Gisbourne e la prima scintilla del suo amore per Marian avviene durante un torneo. Si vorrebbe ripetere quella scena, anche se sarebbe molto costosa. Curtiz suggerisce che andrà bene anche un banchetto: basterà il Technicolor a rendere il primo momento in cui i tre personaggi sono insieme una scena indimenticabile. E il regista di origini ungheresi mette tutto il suo mestiere per realizzare un grande film. Anche grazie a <i>The Adventures of Robin Hood</i> diventa uno dei registi più famosi e pagati di Hollywood, ottenendo un meritato Oscar per la regia di <i>Casablanca </i>nel 1944.<br />Per le riprese in esterna vengono scelti alcuni dei luoghi in cui sono state girate le scene di Douglas Fairbanks in Robin Hood. Quel film è così famoso che il bosco di Bidwell Park è ormai conosciuto come Sherwood Forest.<br />La musica è stato uno dei motivi di successo del film di Fairbanks e la Warner vuole che sia lo stesso anche per quel nuovo film che stanno producendo. In quelle settimane il compositore Erich Wolfgang Korngold è in Austria a dirigere un’opera e la Warner gli chiede in maniera molto insistente di comporre le musiche per il nuovo film, come ha fatto per <i>Captain Blood</i>. Erich pensa che quella storia non sia nelle sue corde, ma i produttori sono sempre più pressanti. A questo punto il musicista accetta l’incarico, senza un contratto, si prende una settimana di tempo e se quello che farà non sarà soddisfacente si sentirà libero di rinunciare al progetto. Ma Korngold sa anche che l’Anschluss è alle porte e per lui, che è di origine ebraiche, continuare a vivere nel suo paese sarà molto pericoloso. Per completare la partitura si trasferisce negli Stati Uniti e non ritornerà in Europa fino alla fine della guerra. Comunque sia nata, la colonna sonora di <i>The Adventures of Robin Hood</i> è bellissima, un poema sinfonico, che richiama Puccini e Mahler. Korngold ottiene giustamente l’Oscar per questa colonna sonora, che viene eseguita anche in forma di concerto. John Williams cita proprio questo lavoro di Korngold come fonte d’ispirazione per le musiche di <i>Star Wars</i>.<br />Per i ruoli dei Merry Men la Warner chiama alcuni dei migliori caratteristi che ha sotto contratto. Will Scarlet è l’inglese Patrick Knowles, bello e scanzonato, spesso impegnato negli anni successivi nel ruolo del secondo protagonista maschile. Per il ruolo di Frate Tuck c’è Eugene Pallette, specializzato nel ruolo del milionario grassottello. Quando c’è da scegliere l’interprete di Little John non ci sono dubbi: deve essere Alan Hale.<br />Dopo il fortunato film di Fairbanks, Alan ha recitato in tanti film, molti non particolarmente memorabili e alcuni entrati nella storia del cinema: <i>It Happened One Night </i>di Frank Capra, <i>Fog Over Frisco</i> con una splendida Bette Davis, <i>Stella Dallas</i> con Barbara Stanwyck. Prima del film su Robin Hood, Errol Flynn e Alan Hale hanno già lavorato insieme in <i>The Prince and the Pauper</i> - anche in questo cast c’è Claude Rains - e insieme gireranno in tutto quattordici film. In <i>The Adventures of Don Juan</i> interpretano rispettivamente Don Giovanni e Leporello. In quattro di questi film - <i>Dodge City, The Private Lives of Elizabeth and Essex, Santa Fe Trail </i>e<i> Thank Your Lucky Stars</i> - c’è anche Olivia. Sono nove i film in cui ritorna la coppia Flynn-de Havilland per la gioia dei rotocalchi e dei produttori.<br />Alan lavora molto, gira molti film e registra anche alcuni brevetti. Inventa una sedia scorrevole per permettere agli spettatori di scivolare indietro senza alzarsi quando i ritardatari arrivano al cinema e a teatro. Nel 1950 la Columbia decide di produrre un nuovo film dedicato agli eroi di Sherwood, per sfruttare la popolarità dell’astro emergente John Derek. La storia è ambientata alcuni anni dopo rispetto al film di Curtiz: Riccardo è morto durante la crociata e Giovanni è diventato re. Contro il suo progetto di aumentare le tasse per finanziare la creazione di un esercito mercenario, il figlio di Robin Hood mette insieme i vecchi compagni del padre che, nonostante gli anni passati, riescono a sventare i piani del re, che alla fine del film sarà costretto a concedere la Magna Charta. <i>Rogues of Sherwood Forest</i>, diretto dal veterano Gordon Douglas, è un film che rischiamo di dimenticare se non per l’interpretazione di Alan Hale, che riprende per la terza volta - e dopo ventotto anni - il ruolo di Little John.<br /><br />È il suo ultimo film: nel 1950, a causa di un disturbo al fegato, Alan Hale muore. Lascia la moglie, Gretchen Hatrmann, una celebre attrice dell’età del muto. Si sono conosciuti sul set e si sono sposati nel 1914. Gretchen dopo sessantasette film, decide, come tante altre, di lasciare il cinema nel momento in cui si diffonde il sonoro. E lascia anche tre figli, tra cui Alan Hale Jr, che segue le orme del padre. Il figlio di Little John diventa famoso grazie alla televisione: è Jonas Grumby, detto Skipper nelle novantanove puntate della serie <i>Gilligan’s Island</i>. Anche lui è un caratterista che lavora tanto al cinema: tra i molti ruoli è Porthos in <i>The Fifth Musketeer</i> del 1979. Quarant’anni prima suo padre ha interpretato lo stesso ruolo in <i>The Man in the Iron Mask</i>.<br />Ci sono film che entrano nella storia e ci sono film che diventano leggende. Alan Hale ha avuto la fortuna - una fortuna ampiamente meritata grazie al suo lavoro - di essere nel cast di uno di questi ultimi. Perché <i>The Adventures of Robin Hood</i> è il film che consegna nell’immaginario di tante generazioni, compresa la nostra, Robin, Marian, Little John e tutti gli allegri compari di Sherwood.<br />Le scene e i costumi di questo film vengono citati, imitati, falsificati, tutte le volte che si torna a raccontare la storia. In <i>Rabbit Hood</i> Bugs Bunny incontra il personaggio che ha gli inconfondibili tratti di Errol Flynn, mentre in <i>Robin Hood Duffy</i> è proprio Daffy Duck a diventare l’eroe di Sherwood, con Porky Pig nella parte di Frate Tuck. E anche Pippo diventa Robin in <i>Goofin’ Hood & His Melancholy Men</i>. Mel Brooks saccheggia a piena mani dal film di Curtiz, come ha fatto qualche anno prima Danny Kaye.<br />Chiudete gli occhi e pensate a Robin Hood. Non vi verranno in mente i costumi certo più storicamente corretti di Kevin Costner o Russell Crowe, ma l’improbabile calzamaglia verde di Errol Flynn.<div><br /></div><div><i>continua… sì, la storia non finisce qui... nell’attesa, potete leggere ancora di de Havilland as <a href="https://www.allonsanfan.it/2020/07/26/olivia-de-havilland-miss-melania/">Melania</a>...</i></div>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-16320507582166683842023-03-10T07:53:00.003+01:002023-03-10T07:59:11.381+01:00Verba volant (827): arco...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2kUVAMroCy8TFMRbOwwiChaTQ1PbVBDDAXvab3ugAA6_8K3KCLn85AiEk2oZhZ_lHBamhNtJUnjhuvgVUU03WotTC7wp-yMenge70CUKQ-H-OFN3yrI6mmnku9SXyMkcnSe3SHrapFCnz7mkaGjxOYri4Bm1MecBBsJHR1OKhRHG18hP84JYZESKTqg/s1170/HILL-FLYNN.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="778" data-original-width="1170" height="413" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2kUVAMroCy8TFMRbOwwiChaTQ1PbVBDDAXvab3ugAA6_8K3KCLn85AiEk2oZhZ_lHBamhNtJUnjhuvgVUU03WotTC7wp-yMenge70CUKQ-H-OFN3yrI6mmnku9SXyMkcnSe3SHrapFCnz7mkaGjxOYri4Bm1MecBBsJHR1OKhRHG18hP84JYZESKTqg/w620-h413/HILL-FLYNN.jpg" width="620" /></a></div>Arco</b>, <i>sost. m.</i><br /><br />Anche se ci siamo innamorati di Lady Marian o abbiamo sognato di tirare di spada come l’eroe che ruba ai ricchi per donare ai poveri - roba da vecchi comunisti - se dobbiamo raccontare in una sola scena il film <i>The Adventures of Robin Hood</i> (che abbiamo già raccontato <a href="https://www.allonsanfan.it/2023/03/02/robin-hood-little-john-alan-hale-errol-flynn/">qui</a>) non possiamo che ricordare il colpo “spacca la freccia”. Il principe Giovanni, istigato dal perfido Guy di Gisbourne, ha organizzato un torneo per stabilire chi sia il più abile arciere del regno. È una trappola: sanno che Robin Hood parteciperà, soprattutto per rivedere Marian, che premierà il vincitore con una freccia d’oro. Si susseguono i colpi, un centro dopo l’altro. Si distingue questo arciere misterioso, che naturalmente è Robin - come non riconoscere gli inconfondibili baffetti di Errol Flynn. Il capitano Philip de Arras - interpretato da James Baker, comparsa in tanti film degli anni Trenta, per esempio è un soldato in <i>The Plainsman</i>, ossia La conquista del West, il classico di DeMille - con il suo colpo fa un centro perfetto. Robin sorride beffardo, tende l’arco e scocca il colpo. Incredibilmente la freccia di Robin taglia esattamente a metà per la lunghezza la freccia di Philip e si fissa al centro del bersaglio. L’arciere misterioso ha vinto, ma viene arrestato dagli sgherri dello sceriffo di Nottingham: solo Robin Hood può fare un colpo simile.<br />Ovviamente non è Errol Flynn a scoccare quel colpo, lui si limita a tendere l’arco, è Howard Hill a lanciare tutte le frecce che durante il film colpiscono i soldati del principe Giovanni o i bersagli durante la gara. I soldati indossano sotto le uniformi delle piastre metalliche ricoperte da legno di balsa che dà l’illusione che le frecce penetrino nella carne. Nonostante queste indispensabili precauzioni i colpi fanno comunque male, anche se, grazie all’abilità di Howard non ci sono feriti nella lavorazione del film.<br /><br />Howard è nato in Alabama nel 1899. Cresce in una fattoria di cotone, gli piacciono le armi e dimostra fin da bambino una grande abilità nell’usare l’arco. I boschi intorno alla sua casa sono la sua prima palestra. Al liceo eccelle nello sport, baseball, basket, football, golf e naturalmente tiro con l’arco. Nel settembre del 1918 si arruola, ma la prima guerra mondiale finisce due mesi dopo e così non parte per l’Europa. Pensa di diventare un professionista nel baseball, poi nel golf, ma alla fine capisce che la sua fortuna è l’arco. Si sposa con Elizabeth e si trasferisce in Florida. Negli anni Venti diventa, come scrivono i giornali, “il più grande arciere del mondo”. Vince centonovantasei gare consecutive. Nel 1928 ottiene il record per il tiro più lontano: scaglia una freccia a 358 metri. È l’età del jazz e Howard diventa una star, quando è il primo uomo bianco a uccidere con una freccia un elefante pesante più di quattro tonnellate durante un safari in Africa. A questo punto l’industria del cinema scopre Howard, che porta la sua famiglia a Hollywood. E l’arciere diventa stuntman e consulente di tiro per l’arco per le grandi case di produzione. In <i>The Singing Buckaroo</i> è l’indiano Maneeto, amico del protagonista interpretato da Fred Scott, il “cow-boy cantante” e poi arriva la grande occasione del film della Warner dedicato all’eroe di Sherwood. Nei titoli è accreditato come interprete di Elwyn il Gallese, il capo delle guardie di sir Guy, ma soprattutto è quello che scaglia le frecce, senza mai sbagliare un colpo. E che insegna a Errol Flynn e a tutti gli altri come si tiene in mano un arco.<br />Ma nemmeno a Howard riesce l’incredibile colpo “spacca la freccia”. Prova molte volte a realizzare quel tiro e in diverse occasioni riesce con la seconda freccia a colpire l’estremità della prima, ma spaccarla a metà, come si vede nel film, è davvero impossibile. Così entrano in gioco i tecnici della Warner che costruiscono una speciale freccia con la punta più larga e soprattutto che arriva nel posto stabilito grazie a un filo invisibile per “tagliare” la freccia già conficcata sul bersaglio. Così Howard riesce nell’impresa: ci vuole comunque una grande abilità e una mano fermissima. Negli anni successivi molti tenteranno, ma naturalmente nessuno ci riuscirà.<br /><br />Dopo il film di Curtiz, la fama di Howard Hill cresce. Fa il consulente e tira le frecce in <i>Bufalo Bill </i>con Joel McCrea e la bellissima Maureen O’Hara, torna a lavorare con l’amico Errol in <i>San Antonio</i>, un classico del western, e quando la Columbia nel 1946 produce<i> The Bandit of Sherwood Forest</i> - con Russell Hicks nel ruolo del vecchio Robin Hood, Cornel Wilde in quello di suo figlio che fa innamorare Anita Louise (la bellissima Titania nel classico della Warner del 1935) - Howard torna a combattere contro gli uomini dello sceriffo. La Columbia vorrebbe intitolare il film <i>Il figlio di Robin Hood</i>, come il romanzo da cui è tratto, ma intanto la MGM ha acquistato i diritti sul nome “Robin Hood” e quindi bisogna cambiare titolo. Qualcuno pensa anche a Howard per il ruolo del protagonista, ma ormai è troppo vecchio. Il film non entra nella storia del cinema, ma è un ottimo successo al botteghino. <i>Across the Wide Missouri</i> con Clark Gable è un altro dei classici western per cui fa il consulente.<br />Il 17 febbraio 1955 Howard è l’ospite di<i> You Bet Your Life</i>, il popolare quiz condotto da Groucho Marx, trasmesso sulla NBC. Dal 1950 al 1961 saranno oltre cinquecento le puntate dello show che diventa un appuntamento del pubblico televisivo americano. Howard si diverte a raccontare a Groucho le sue esperienze di caccia all’elefante e le sue prodezze sui set cinematografici. Non riesce però a vincere il premio finale di millecinquecento dollari: sbaglia una risposta sulla battaglia di Hastings, un combattimento in cui gli arcieri hanno avuto un ruolo fondamentale.<div style="text-align: left;"></div><p></p>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-12555201748229605342023-02-16T07:22:00.000+01:002023-02-16T07:22:09.059+01:00Verba volant (826): cortile...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFlkKa7mmPOZBYDQSYr_M2J9-w0ADc4gexpG76E-YztRZu1JN1hUSLCSe6ZKP37JfaHEz9y6qsiaUPNu2ELNBS5mJqJx-nPmSYUd6AhRG4_MYzvfVLhdnvcFyaHMNDLl9espx9yzg8xNmqXolj3QP0nElEtXXQybTT6PrkYZ3g15FQuxQgVj1rdrcypg/s1280/EOOR7zgWkAEWgcs.jpg" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="1007" data-original-width="1280" height="498" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgFlkKa7mmPOZBYDQSYr_M2J9-w0ADc4gexpG76E-YztRZu1JN1hUSLCSe6ZKP37JfaHEz9y6qsiaUPNu2ELNBS5mJqJx-nPmSYUd6AhRG4_MYzvfVLhdnvcFyaHMNDLl9espx9yzg8xNmqXolj3QP0nElEtXXQybTT6PrkYZ3g15FQuxQgVj1rdrcypg/w633-h498/EOOR7zgWkAEWgcs.jpg" width="633" /></a></div>Cortile</b>, <i>sost. m.</i><br /><br /><i>La vuoi smettere di guardare in casa del fotografo?!… Cosa ci troverai poi in quella biondina slavata di Park Avenue?… Quelle sono tutte uguali, sembrano fatte con lo stampo… E non capisco cosa ci trovi un uomo così affascinante come il signor Jefferies… Ha girato il mondo lui, non come te: l’unica volta che sei uscito da New York è quando mi hai portato ad Atlantic City in viaggio di nozze… Comunque non ci pensa proprio a sposarla. Me l’ha detto Clara, sì quella del drugstore all’angolo tra la Cristopher e la Bedford, che è cugina di Stella… Non sai chi è? Certo: tu non guardi quando c’è l’infermiera. Tu guardi solo quando c’è quella là… Non pensare di avere delle possibilità, anche se le fai gli occhi da triglia… E ho visto che l’altro giorno l’hai salutata quando è scesa dal taxi, insieme a quel cameriere del 21. Come se qui al Village non ci fossero ristoranti… Tu sei sposato, caro mio, e anche se mi dovessi uccidere, non pensare che una così prenderebbe uno come te… Ma mi stai ascoltando?</i><br /><br />Certo il nome di Sara Berner non vi dice molto, ma negli anni Trenta e Quaranta la sua è la “voce più famosa di Hollywood”, come dicono i giornali. Sara recita moltissimo alla radio, perché è molto brava a fare le imitazioni - Greta Garbo, Mae West e Katharine Hepburn sono tra i suoi cavalli di battaglia - ma soprattutto è strepitosa negli accenti, tanto da poter sostenere più ruoli all’interno di uno stesso show. Dopo la radio e la popolarità nazionale con il ruolo di una garrula e pettegola centralinista in <i>The Jack Benny Program</i>, questa attrice, nata ad Albany e cresciuta tra Tulsa e Philadelphia, diventa la voce di tanti personaggi dei cartoni animati, tra cui Jerry. Quando il famoso topolino canta e balla con Gene Kelly in <i>Anchors Aweugh</i> la voce è proprio quella di Sara. Agli inizi degli anni Cinquanta la sua stella di comincia a tramontare, ma per fortuna c’è la televisione. E nel 1959 è sua la voce di una centralinista in <i>North by Northwest</i>, il suo ultimo ruolo al cinema.<br />Frank Cady decide solo dopo la guerra di dedicarsi completamente alla carriera di attore, anche se la passione per il palcoscenico l’ha accompagnato per tutto il suo percorso scolastico. Si laurea in giornalismo a Stanford e in quel prestigioso ateneo comincia anche a insegnare. Poi scoppia la guerra e Frank si arruola in aereonautica. Tornato dal Pacifico decide di trasferirsi a Hollywood. Il cinema non lo fa diventare una star, ma tra gli anni Sessanta e Settanta il suo viso diventa popolare grazie ad alcune fortunate serie televisive.<br />Sia per Sara che per Frank <i>Rear Window</i> rimarrà il titolo più importante delle loro carriere cinematografiche, anche se interpretano due personaggi che non hanno neppure un nome: sono la coppia che ha il cane e che, a causa del caldo torrido, dorme sul ballatoio delle scale antincendio. Hitchcock affida alla voce di Sara la lunga tirata sui vicini che dovrebbero aiutarsi, quando la donna scopre che uno di loro ha ucciso il suo piccolo animale, colpevole di scavare dove non avrebbe dovuto: è l’unico del vicinato che ha sempre avuto dei sospetti su quel commesso viaggiatore poco gentile del piano di sotto.<br />Durante la lavorazione del film Hitchcock non si muove mai dallo studio principale, ossia dall’appartamento di Jeff, perché vuole che quello sia il punto di vista dello spettatore. Tutti noi, quando guardiamo quel film, siamo seduti in quella scomoda sedia a rotelle e scrutiamo il mondo di fuori attraverso l’obiettivo del fotografo. Per questo dà indicazioni agli attori che stanno nel palazzo di fronte con degli invisibili auricolari. Nella scena della pioggia decide di togliere a Sara e Frank gli auricolari e di lasciarli liberi, senza indicazioni. Vuole scoprire, insieme a noi, cosa faranno quando vengono sorpresi dalla pioggia. E loro sono perfetti, perché uno va da una parte e una dall’altra, tirandosi dietro in qualche modo cuscini, lenzuola e materasso, in maniera confusa e disordinata. Proprio come avrebbe fatto qualsiasi coppia in quella situazione.<br /><br /><i>Charlie, Moe, venite presto. E non fate rumore.<br />Sei sicuro che tua madre non tornerà?<br />Tranquilli ragazzi, è andata dalla signora Horowitz per farle provare un vestito e poi deve passare dal negozio di stoffe sulla Grove. Ci metterà almeno due ore.<br />Per fortuna a quest’ora del pomeriggio lei è sempre in casa a ballare.<br />Che bella. Speriamo che oggi si tolga il reggiseno.<br />Di solito quando balla lo tiene.<br />Magari oggi siamo più fortunati.<br />Per voi è più bella lei o la fidanzata del fotografo del piano di sopra?<br />Non so, lei non l’abbiamo mai vista senza vestiti.<br />Ci vorrebbe qualcuno che abitasse dall’altra parte del cortile.<br /><br />Ragazzi vi siete accorti che oggi i fiori hanno un’altezza diversa rispetto a ieri?<br />Charlie, con tutto quel ben di Dio che c’è lassù, tu come fai a pensare ai fiori?</i><br /><br /><br />Hitchcock sa che la Paramount è disposta ad aprire i cordoni della borsa pur di poter produrre finalmente un suo film - per di più con due star come James Stewart e Grace Kelly - ma soprattutto sa che in quei grandi studi troverà i tecnici di cui ha bisogno per creare il film che ha in mente da quando ha letto quel racconto di Woolrich.<br />Il regista spiega ai due scenografi che gli vengono messi a disposizione, Hal Pereira e Joseph McMillan Johnson, che non gli basta un teatro di posa, per quanto grande, vuole un vero cortile con intorno gli appartamenti che si affacciano intorno, facendone uno spazio comune per ogni abitazione. Pereira è a capo del dipartimento scenografico della Paramount dal 1951, da quando è andato in pensione il suo maestro, il grande Hans Dreier, ma ha lavorato con lui fin dall’inizio degli anni Quaranta. Rimarrà in quel posto fino al 1966, ossia quando la casa di produzione viene comprata dalla compagnia petrolifera Gulf and Western: nella sua carriera ottiene ben ventitré nomination, anche se vince un solo Oscar per <i>The Rose Tattoo</i>. McMillan Johnson è un brillante architetto che David O. Selznick vuole nella squadra di creativi di <i>The Wizard of Oz</i>: dopo quell’esperienza esaltante decide di rimanere a Hollywood, anche se nel periodo della “caccia alle streghe”, nel periodo in cui tutti sono spiati, deve tornare a fare l’architetto.<br />Hitchcock consegna ai due scenografi disegni e bozzetti che lui stesso ha preparato, un’abitudine che ha da quando faceva lo scenografo nel Regno Unito, prima di fare il regista. Con quelle indicazioni precise e seguendo quel progetto ambizioso Hal e Joseph si mettono al lavoro. Per giorni vagano per il Greenvich Village e finalmente trovano, al 125 di Cristopher Street, l’ambiente che soddisfa tutte le richieste di Hitchcock. Adesso basta solo ricostruirlo negli studi di Melrose Avenue a Hollywood. Servono sei settimane, in cui si lavora giorno e notte. L’appartamento di Jeff è lo studio principale, quello dove ci sono le macchine da presa e dove starà il regista, e ovviamente è a livello del terreno. Dal momento che nella finzione l’appartamento si trova in alto, bisogna scavare per realizzare il cortile e dall’altra parte vengono costruite le case, rispettando distanze e proporzioni. E così i tecnici e gli artigiani della Paramount ricostruiscono quel cortile del Village, e lo fanno con una precisione incredibile. Se andate a quell’indirizzo di Cristopher Street non faticherete a riconoscere le finestre dei Thorwald, di Miss Torso o del compositore.<br />Il set misura quasi trenta metri in larghezza, cinquantasei in lunghezza e più di dodici in altezza. Vi si affacciano trentuno appartamenti, di cui otto sono dotati di luce elettrica, gas e acqua, tanto che molti degli interpreti li usano al posto delle roulotte durante le riprese. Dal momento che una notte piove, i tecnici devono realizzare anche un sistema di drenaggio, affinché il cortile non si allaghi.<br />Il regista chiede altrettanta attenzione anche ai tecnici che si debbono occupare dell’illuminazione. Predispongono quattro set di luci, per un totale di più di mille fari, montati e smontati a seconda del momento della giornata raccontato dalle riprese: <a href="https://www.youtube.com/watch?v=4vHRw9XiFMI">mattina presto, pomeriggio, poco prima del tramonto e notte</a>.<br />La Paramount investe un milione di dollari per realizzare il film e un quarto di questa cifra è per le scene, mentre solo il dodici per cento per pagare gli attori. Naturalmente si tratta di un investimento oculato, solo nella sua corsa iniziale in Nord America il film incassa 5,3 milioni di dollari. Il film è un successo. Nel 1968 Hitchcock ne acquista i diritti: è uno dei cinque Missing Hitchcocks, i film che il regista vuole lasciare in eredità alla figlia Patricia. <i>Rear Window</i> verrà proiettato di nuovo solo nel 1984. Solo una volta viene trasmesso dall’ABC, ma illegalmente. Tra i cinque film scelti dal regista ci sono i quattro con James Stewart come protagonista.<br />Tra i grandi “artigiani” che Hitchcock trova alla Paramount ci sono anche Edith Head e Walter Westmore. Sono loro due che devono rendere Lisa Fremont irresistibile. Wally è il capo della sezione trucco dello studio e naturalmente per quel film così importante deve essere lui a rendere perfetta Grace Kelly. Qualunque grande studio Hitchcock avesse scelto per girare <i>Rear Window</i> quel compito sarebbe toccato a uno dei figli di George Westmore, il parrucchiere inglese che nell’età del muto “inventa” i riccioli di Mary Pickford e crea, insieme a un collega arrivato dalla Polonia, un certo Maksymilian Faktorowicz, la professione del make-up artist. George ha diciannove figli e sei di loro seguono le orme del padre, truccando le dive e i divi della Golden Age di Hollywood: Monte lavora alla Selznick International - lavorando tra gli altri a<i> The Wizard of Oz -</i> Percival alla Warner, Ernest prima alla RKO e poi alla 20th Century Fox, Bud all’Universal, Walter appunto alla Paramount, affiancato da Frank. Edith è destinata a diventare una leggenda di Hollywood, la donna con più Oscar vinti e con più nomination nella storia del cinema: otto statuette su trentacinque partecipazioni. I suoi abiti, come quelli splendidi che crea per Grace Kelly in questo film, entrano nella storia della moda. Nel 1973 appare in un cameo in un episodio di <i>Columbo</i>, ambientato nel mondo del cinema. La “cattiva”, una splendida Anne Baxter, che interpreta una diva sul viale del tramonto, per impressionare il tenente, lo porta in giro per gli studi e arriva con lui nel laboratorio di Edith. Colombo la guarda e chiede: “Ma è proprio quella che si vede sempre agli Oscar?”. È proprio lei.<br />Hitchcock ritrova alla Paramount il compositore Franz Waxman che ha già lavorato con il regista scrivendo le colonne sonore di <i>Rebecca, Suspicion, The Paradine Case</i>. Anche se il compositore di origine tedesche - è uno dei tanti ebrei fuggiti in America che ha fatto grande Hollywood - è accreditato come autore della colonna sonora, compone soltanto la musica per i titoli di testa e di coda e la melodia che “salva” Miss Lonelyhearts e le fa conoscere l’autore di canzoni. L’interprete di questo personaggio è il musicista Ross Bagdasarian, che qualche anno dopo questo film sarà il creatore di Alvin and the Chipmunks.<br />Hithcock mette nella riproduzione diegetica dei suoni la stessa meticolosa attenzione che chiede ai tecnici delle luci. Insieme ai rumori della città, dalle finestre degli appartamenti si possono riconoscere Bing Crosby con <i>To See You Is to Love You</i> - dalla colonna sonora del film della Paramount <i>Road to Bali </i>- Nat King Cole con <i>Mona Lisa </i>e Dean Martin con <i>That’s Amore</i>. E poi le musiche di Leonard Bernstein per il balletto di Jerome Robbins <i>Fancy Free</i>, la canzone di Richard Rodgers <i>Lover </i>e l’aria <a href="https://www.youtube.com/watch?v=K2UQ6Zv8FxM"><i>M’appari tutt’amor</i></a> dall’opera <i>Martha </i>di Friedrich von Flotow, un’opera ormai dimenticata, se non fosse per questa fugace citazione. Chissà da quale finestra esce questa musica?<br /><br /><i>Alla signora che sta qui sotto, sì quella che fa quelle che fa quelle strane sculture, l’inquilino che abita sotto quelli che hanno il cane non piace affatto. Sì, quello che ha uno strano nome svedese. Ma sai, caro, che io con i nomi… non me li ricordo mai. Invece a me sembra proprio una brava persona. Quando metto il becchime nella gabbia del canarino lo vedo sempre che cura i fiori nella piccola aiuola che ha sotto casa. Uno che ama così i fiori deve essere una brava persona. E poi vedessi come tratta la moglie, tutti i giorni le porta la colazione a letto. Tu quand’è l’ultima volta che mi hai mai portato la colazione a letto? Dovresti prendere esempio da lui.</i><br /><br />Apparentemente Rear Window ha la stessa trama del racconto <i>It Had To Be Murder </i>scritto da Cornell Woolrich e pubblicato nel 1942 nella popolare rivista <i>Dime Detective</i> - e infatti, per sfruttare il successo della pellicola, lo stesso Woolrich non esita a ripubblicarlo con il nuovo titolo - ma Hitchcock e il suo sceneggiatore John Michael Hayes - lavoreranno insieme anche nei film successivi: <i>To Catch a Thief, The Trouble with Harry </i>e<i> The Man Who Knew Too Muc</i>h - realizzano un film molto diverso dal racconto, perché in questo caso il tema centrale diventa il matrimonio. Tanto che l’indizio risolutivo, quello che smaschera l’assassino è, non a caso, una fede nuziale.<br />Di tutti i personaggi che compaiono nella storia raccontata da Hitchcock solo Miss Hearing Aid, l’eccentrica scultrice che vive a piano terra, non è sposata e vive questa sua condizione con apparente serenità. Ma chissà cosa è successo prima… e forse, qualche anno dopo questa storia, quell’apparentemente innocente signora sarà tra i leader della rivolta di Stonewall. Il matrimonio è il continuo argomento delle discussioni tra Jeff e Lisa. Thorwald ha talmente voglia di sposarsi da essere disposto a uccidere sua moglie pur di poterlo fare. Nel film sono più volte citati, anche se non li vediamo mai, la moglie del Detective Doyle e il marito di Stella. E immaginiamo sia sposato anche l’uomo che desidera la prorompente giovinezza di Miss Torso. Il matrimonio è l’ossessione di Miss Lonelyhearts e magari l’incontro di quelle due solitudini, la sua e quella del compositore, è destinato a creare il rapporto più solido del film. E Jeff, restio al matrimonio - perfino se glielo chiede un’irresistibile Grace Kelly - può osservare, in quel suo involontario esperimento sociale, la vita di tre coppie: gli sposini con la passione destinata a presto a svanire, la coppia con il cagnolino, che si sono ormai adattati alla loro routine domestica, e i Thorwald. E francamente non siamo portati a simpatizzare con la vittima, che brandisce quel loro matrimonio come un’arma contro il povero Lars.<br />Ed è proprio questo il messaggio che ci lancia il “vecchio” Hitch: attenti, tutti i matrimoni possono finire come quello dei Thorwald.<br /><br /><i>Pronto? Ciao Stanley. Come stai? Com’è Chicago? Mi manchi tanto. Ma so che tra due giorni sarai di nuovo qui. Questa te la devo proprio raccontare. Te lo ricordi il signor Jefferies, quello che abitava di fronte a me dieci anni fa al Village? Sì, quello che si è quasi fatto ammazzare per catturare quello che aveva ucciso la moglie. Si è fidanzato con Dolores, la mia collega alla Juilliard, sì, quella che insegna canto. È davvero piccolo il mondo. Adesso ha uno studio nell’Upper East Side e fa fotografie a quelli di Broadway. Ha divorziato da quella bella bionda con cui stava allora. Lei aveva deciso di seguirlo nei suoi viaggi avventurosi in giro per il mondo. Poi un bel giorno lui ha mollato tutto, moglie e lavoro, ed è tornato a New York. Si era stancato di quella vita. Spero per Dolores che non sia una delusione. Vorrei che fosse fortunata come me. Ti amo, Stanley.</i><br /><br />Finite le riprese, Hitchcock dà a Georgine Darcy un paio di consigli: trovati un agente e vai in Europa a studiare i drammi di Cechov. E le promette che al suo ritorno la farà diventare una star del cinema, come Grace Kelly. Questa prorompente ragazza di Brooklyn crede che il regista stia scherzando.<br />Non pensa di essere un’attrice. Sa da sempre di essere bella. Sua madre le aveva consigliato di diventare spogliarellista: una carriera dove si guadagna bene e in fretta. A Georgine piace ballare. A sedici anni prende l’autobus e va in California. Quando Hitchcock la chiama, lei non sa nemmeno chi sia quell’ometto bianco. Il regista l’ha scelta personalmente, dopo averla vista in una foto pubblicitaria, splendida in un attillato body nero. Il contratto è ottimo: trecentocinquanta dollari. Edith Head non fa fatica a metterne in risalto le forme con i suoi costumi.<br />Un giorno Hitchcock le chiede quale torta detestasse e lei, stupita di quella domanda, risponde che non le piace quella di zucca. Il giorno in cui si gira la scena della morte del cagnolino, fa arrivare nel suo appartamento - lei è una di quelle che “vive” nella casa costruita da Hal Pereira e Joseph McMillan Johnson - una fetta di quella torta e riprende la sua espressione. La troupe alla fine delle riprese le regala una torta a forma di ”Miss Torso”, con il seno e tutto il “resto” al posto giusto: durante la lavorazione quella formosa ballerina di Brooklyn è diventata la preferita del set.<br /><i>Rear Window</i> è il film più importante della carriera di Georgine che, pur non considerandosi mai un’attrice, continua a lavorare, soprattutto in televisione: tra gli altri ruoli è Gipsy, l’irriverente segretaria dello studio legale in <i>Harrigan and Son</i>.<br />A proposito di avvocati, negli anni successivi diversi membri del cast avranno una parte in uno o più episodi di <i>Perry Mason</i> che, per nove stagioni, dal 1957 al 1966, tiene incollato il pubblico alle “finestre” del più grande “cortile” americano con le storie dell’avvocato che non sbaglia mai, il personaggio che fa diventare Raymond Burr da “cattivo” del cinema a “buono” della televisione. Frank Cady, Jesslyn Fax - Miss Hearing Aid - Rand Harper - lo sposo in luna di miele - Richard Simmons - l’uomo in casa di Miss Torso - e naturalmente Bess Flowers, “<a href="https://www.allonsanfan.it/2022/04/20/bess-flowers-attrice-hollywood-extra/">The Queen of the Hollywood Extras</a>”, che nel film appare nella festa a casa del compositore, incontrano il collega Burr in quella fortunata serie. Ralph Smiley, il cameriere del 21, non prende parte a questa serie, ma all’inizio degli anni Settanta ritrova Lars Thorwald in <i>Ironside</i>.<br />Georgine probabilmente fa bene a non fidarsi troppo dei consigli di Hitchcock, che in quei mesi non può certo immaginare che la “sua” Grace lo lascerà per diventare principessa di quel piccolo regno sulla Costa azzurra, costringendolo a cercare nei film successivi una nuova musa, bionda come lei. E quando Scottie Ferguson “trasforma” Judy in Madeleine, in una delle sequenze più drammatiche di <i>Vertigo</i>, Hitchcock racconta la sua ossessione a trasformare in Grace qualsiasi attrice con cui sta lavorando. Ed è ancora James Stewart che, come in<i> Rear Window</i>, è chiamato a interpretare il personaggio che diventa “regista” della storia, il doppio di Hitch.<br />Ma ovviamente nessuna può essere come “Hot Ice”, così algida e provocante. E se Grace Kelly decide che ti vuole sposare, tu non puoi proprio resisterle.<br /><br /><i>Charlie, cosa succede? Sembra che hai visto un fantasma.<br />Moe, è stato il commesso viaggiatore a uccidere il cane. È un assassino.<br />Come fai a saperlo?<br />L’ho visto. Ti ricordi che avevo visto che qualcuno aveva smosso i fiori? Stanotte sono scivolato fuori per scoprire cosa era successo. Ho cominciato a scavare e ho trovato qualcosa, ma poi ho sentito che la porta si apriva e sono scappato. Era quel Thorwald, quando ha visto la terra sul vialetto ha pensato che fosse stato il cane che era lì vicino. L’ha preso e l’ha strozzato.<br />Adesso cosa pensi di fare?<br />Lo vorrei denunciare alla polizia, ma sono sicuro che non mi crederebbero.</i>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-23397344246966994512023-01-14T12:14:00.000+01:002023-01-14T12:14:04.279+01:00Verba volant (825): scarpa...<div class="separator" style="clear: both; text-align: left;"><b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqsMwEhDnwUQGrTN3Ky0ofESJXBm9013bSncQyco35N_p4VRTqN4teszNgF5M7yNDUtvFZykhYdJVuSen8brn66HPLdMp4fW9lORFMvX14kwdPXHG6U6qpJUcrZ_0hhYaSDuwO6Jm047igLYA4OcgN1wokCTRjO5qsDdFTAZKqVuZmvt0-HoakUJ3MxQ/s816/cinderella.png" imageanchor="1" style="clear: right; float: right; margin-bottom: 1em; margin-left: 1em;"><img border="0" data-original-height="704" data-original-width="816" height="576" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqsMwEhDnwUQGrTN3Ky0ofESJXBm9013bSncQyco35N_p4VRTqN4teszNgF5M7yNDUtvFZykhYdJVuSen8brn66HPLdMp4fW9lORFMvX14kwdPXHG6U6qpJUcrZ_0hhYaSDuwO6Jm047igLYA4OcgN1wokCTRjO5qsDdFTAZKqVuZmvt0-HoakUJ3MxQ/w668-h576/cinderella.png" width="668" /></a></div>Scarpa,</b><i> sost. f.</i></div><div><br /></div><div>Oggi vi racconto la storia di una scarpetta, anzi della scarpetta più famosa della letteratura. Il problema è che non so da dove e da quando cominciare. Forse da un basso napoletano alla fine del Cinquecento. Oppure dall’antico Egitto al tempo dei faraoni della XXVI dinastia. O magari da qualche villaggio del Jiangxi durante il lungo regno dell’imperatore De Zong. Ma Luca Martini mi dice che non devo divagare troppo e quindi ho deciso di cominciare questo racconto nella Parigi del Seicento. Ossia da quando quella magica scarpetta è diventata di vetro.</div><div>Siamo nello studio ingombro di antiche carte, polverosi manoscritti e pesanti incunaboli di Charles Perrault. Sì, quello delle fiabe. Tutti, ma proprio tutti, conoscono le sue storie, molti meno il nome dello scrittore, magari confondendosi con i fratelli Grimm, gli austeri filologi tedeschi dell’Ottocento, anch’essi autori di un fortunato volume di fiabe, praticamente le stesse raccontate dal loro predecessore francese, perché tutti loro hanno semplicemente raccolto, riadattandole più o meno fedelmente, storie tradizionali, in qualche caso molto antiche, lo stesso che aveva fatto Giambattista Basile prima di tutti loro. Le stesse storie che nel Novecento hanno saccheggiato quelli della Disney, finendo per esserne considerati gli autori.<br /><br />Credo che avrete ormai capito che vi voglio parlare di Cenerentola. Spero di non dovervi riassumere la storia, immagino che tutti abbiate visto - da bambini, da genitori, da nonni - il film a cartoni animati del 1950, con le voci, tra le altre, di Eleanor Audley e Verna Felton, rispettivamente la cattiva Lady Tremaine e la distratta Fata madrina - genialmente diventata, nella versione italiana la Fata Smemorina. Queste due attrici sono nomi importanti del doppiaggio dei film di animazione, la prima è stata anche Malefica, mentre la seconda la Regina di cuori e la suocera di Fred Flinstone. Nella versione italiana le voci sono di due artiste altrettanto brave, anche se oggi purtroppo dimenticate: Tina Lattanzi e Laura Carli. Ma questo non c’entra. Torniamo a Parigi.<br />Anzi, prima di tornare nello studio di Perrault, Zaira mi ricorda che noi siamo di una generazione, prima dell’home video e di internet, che ha imparato a conoscere Cenerentola non dal film della Disney, ma dalle <i>Fiabe sonore</i> della Fratelli Fabbri Editori. Se anche voi siete abbastanza vecchi, vi ricordate certamente quei 45 giri e i grandi albi con le belle illustrazioni realizzate dai migliori disegnatori italiani. E soprattutto ricordate la <a href="https://www.youtube.com/watch?v=t-stl6x4zDw">sigla</a> che precedeva ogni favola: “<i>A mille ce n’è / nel mio cuore di fiabe da narrar</i>”.<br />Quelle storie erano raccontate dalla bella voce impostata di Silverio Pisu, il figlio di Mario, che, dopo una carriera da cantante impegnato nei cabaret milanesi, si è dedicato con successo al doppiaggio. Ve la ricordate la versione di <a href="https://www.google.com/search?q=addio+lugano+bella+gaber&rlz=1C1ONGR_itIT946IT946&oq=addio&aqs=chrome.0.35i39j46i67j69i57j0i67j46i512j0i131i433j46i512j69i61.3254j0j7&sourceid=chrome&ie=UTF-8#fpstate=ive&vld=cid:a76765a8,vid:qFZoS6t9LZw"><i>Addio Lugano bella</i></a> cantata da Gaber nella trasmissione <i>Questo e quello</i>? Insieme a Giorgio ci sono Enzo Jannacci, Lino Toffolo, Otello Profazio e il nostro Silverio. <br />Pisu è anche l’autore dei testi delle sessanta favole della raccolta. E si diverte ad aggiungere qualche particolare stravagante. Per Cenerentola inventa Venceslao, il gattone della ragazza, che osserva sgomento - e un po’ arrabbiato, visto che si tratta del suo pranzo - la trasformazione dei topi in cavalli. E, dopo la fatidica mezzanotte, il Principe si lamenta che nessuno ha preso la targa della carrozza.<br />A questo progetto lavora un bel gruppo di attori, tra cui Ugo Bologna, Sante Calogero, Pupo De Luca e Isa Di Marzio. Mentre tutte le canzoni e le musiche - oltre alla sigla - sono composte da Vittorio Paltrinieri, che le esegue insieme al Quartetto Radar, quelli di <i>Bidibodibù </i>per un celebre “carosello”. Un bel gruppo di bravi artigiani dello spettacolo, di artisti che sapevano fare il loro mestiere. E noi possiamo dire, con affetto e con una punta di nostalgia, di aver avuto la fortuna di ascoltare quegli antichi “audiolibri”, quei piccoli sceneggiati creati apposta per noi bambini.<br /><br />Adesso basta divagare. Quasi certamente Perrault non pensava che sarebbe diventato famoso grazie a quelle favole, pubblicate nel 1697 con il titolo <i>Histoires ou Contes du temps passé avec des Moralités</i>. Charles aveva mandato alle stampe il libro sotto il nome del suo terzo figlio, Pierre, che si chiamava come uno degli zii, traduttore in francese delle opere di Alessandro Tassoni e Receveur général des finances - ossia il responsabile delle tasse - nel governo di Colbert. Quel ragazzo gli dava dei pensieri: una testa calda, era stato anche in carcere a seguito di una rissa. Perrault era un padre vedovo - la moglie era morta quando i quattro figli erano ancora piccoli - ed era preoccupato per l’avvenire di quel ragazzo scapestrato, la pecora nera della famiglia. Sperava che, leggendo quelle storie edificanti, con la loro brava morale, la nobiltà francese avrebbe pensato che il ragazzo avesse messo la testa a posto. Inoltre il libro era dedicato a “Mademoiselle”, ossia Elisabetta Carlotta di Borbone-Orléans, la nipote del Re Luigi XIV: Perrault sperava in questo modo che il figlio fosse assunto come suo segretario. Il trucco non è andato a buon fine: il mondo intellettuale di Parigi ha capito subito che quel ragazzo diciannovenne non avrebbe potuto scrivere quelle storie, ma soprattutto usare quello stile così forbito, così tipico di suo padre. E quel posto è andato a un altro candidato, certamente più raccomandato del povero Pierre: allora andava così. D’altra parte la “seconda morale” della fiaba di Perrault recita: “<i>Gran che certo, avere ingegno, coraggio, nobiltà, buon senso, e simili pregi che vi vengono dal cielo; ma a nulla vi serviranno per avanzar nella vita, se non avete o dei compari o delle comari che li facciano valere</i>”. In sostanza per avere successo sempre meglio avere una “fata madrina”.<br />Perrault era certo che i posteri si sarebbero ricordati di lui per gli altri suoi lavori, magari per i suoi versi o forse le opere storiche. Non era certo immodesto, pensava di meritare il posto che gli era stato assegnato tra gli Immortali, il seggio n. 23 dell’Académie française, occupato prima di lui dal poeta Guillaume Colletet, amico di Richelieu, poi dal letterato Gilles Boileau, il più giovane eletto a quel prestigioso consesso, e Jean de Montigny. E su cui ora siede lo storico dell’arte ed ex direttore del Louvre Pierre Max Rosenberg. A proposito, un altro dei fratelli maggiori di Charles si chiamava Claude. Si era laureato in medicina alla Sorbona, ma i suoi interessi spaziavano in molteplici campi: oltre che un grande anatomista, è ricordato come botanico, studioso di meccanica, inventore, appassionato di architettura, tanto da tradurre l’opera di Vitruvio in francese e realizzare la grande facciata orientale del Louvre - quella che adesso dà su rue de l’Amiral de Coligny - con la sua celebre Colonnade, esempio mirabile del classicismo, che ha ispirato la facciata del Campidoglio e del Metropolitan Museum.<br />A dire la verità ai suoi tempi Charles Perrault era famoso soprattutto per la sua attività di polemista. A fine gennaio del 1687 legge ai suoi colleghi dell’Accademia una poesia intitolata <i>Le Siècle de Louis le Grand</i>. Gli Immortali ascoltano condiscendenti e decisamente annoiati: i soliti versi levigati e di maniera di Perrault. A un certo punto c’è qualcosa che sveglia la loro attenzione: il poeta dice che gli autori classici, a partire da Omero, sono sopravvalutati, molto meglio i poeti del Seicento, il secolo in cui le arti hanno raggiunto il loro apice. Si tratta di una tesi azzardata, ma gran parte degli accademici, punti sulla loro vanità, applaudono con entusiasmo. Pochi storcono la bocca per quei giudizi trancianti rivolti a venerati maestri, ma solo il poeta Nicolas Boileau, soprannominato il “Regent du Parnasse”, il seggio n. 1 dell’Accademia, si alza sdegnato, dicendo che è un crimine continuare ad ascoltare quelle farneticazioni. Comincia così la Querelle des Anciens et des Moderns, un dibattito intellettuale che proseguirà piuttosto stancamente per quasi un decennio.<br />Perrault è attivissimo come capofila dei “moderni”, scrive opere letterarie, pamphlet, risponde alle satire di Boileau. Il mondo accademico si appassiona a questo, per molti aspetti futile, dibattito. Tutti i letterati e gli intellettuali vi prendono parte, spesso schierandosi per una parte o per l’altra a seconda delle convenienze, seguendo amicizie e consorterie o peggio antipatie personali o sentimenti ancora meno commendevoli. Cose che succedevano tra gli intellettuali francesi del Seicento.<br />E c’entra anche la politica, perché i sostenitori dei “moderni” sono quelli più fedeli alla Corona, o quelli che sperano in qualche prebenda, mentre quelli che difendono gli “antichi” sono spesso critici verso il potere costituito, chi regge le Accademie e la Sorbona. Paradossalmente sostenere gli “antichi” diventa un segno se non di ribellione, di scarso entusiasmo per il potere. Lo stesso Boileau è vicino alle posizioni di Port-Royal. Anche un altro fratello maggiore di Charles, Nicolas, quello che, a differenza dei fratelli, si era laureato in teologia, era stato espulso dalla Sorbona proprio per le sue opinioni gianseniste, una cosa che per il fratello così ben inserito a Corte e nelle Accademie era un motivo di imbarazzo.<br /><br />E la scarpetta? Non mi sono dimenticato. Sia Erodoto che Strabone raccontano che i calzari di Rodopi, la “cenerentola” egizia, diventata sposa del faraone Amasis, sono di oro rosso, e di una preziosa stoffa d’oro sono anche i sandali di Ye Xian, la ragazza di cui sappiamo che aveva piedi splendidi e piccolissimi - una caratteristica particolarmente apprezzata ancora oggi dagli uomini cinesi - mentre Giambattista Basile non dice di cosa sono fatte le pianelle di Zezzola, la Gatta cenerentola della tradizione napoletana. Ma come le scarpette della fiaba di Perrault e di quella dei Grimm - anche queste d’oro - tutte queste calzature hanno la peculiare caratteristica di adattarsi soltanto a una persona. Evidentemente queste storie sono molto precedenti al tempo del prêt-à-porter.<br />La folclorista inglese Marian Roalfe Cox, autrice del fondamentale testo del 1893 <i>Cinderella: Three Hundred and Forty-Five Variants of Cinderella, Catskin and Cap o’Rushes, Abstracted and Tabulated with a Discussion of Medieval Analogues and Notes</i>, dice che delle trecentoquarantacinque versioni della fiaba solo sei citano il vetro come materiale delle scarpette. Ma, grazie a Perrault - e a Disney - ormai nell’immaginario comune quelle scarpette sono di vetro. E <i>The Glass Slipper</i> è il titolo del film del 1955 basato sulla fiaba di Cenerentola, con un’incantevole Leslie Caron nel ruolo della giovane e due grandi caratteriste, Elsa Lanchester ed Estelle Winwood, in quelli rispettivamente della matrigna e di una misteriosa vecchietta si rivelerà una fata. Elsa è la “sposa” di Frankenstein, ma è meglio che mi fermi, anche perché Estelle ha interpretato il suo ultimo ruolo a novantasei anni, alla fine di una carriera lunghissima. E se comincio non finisco più.<br />Vi devo raccontare del vetro. Genevieve Warwick, che insegna storia dell’arte all’Università di Edimburgo, autrice del saggio <i>Cinderella’s Glass Slipper: Towards a Cultural History of Renaissance Materialities</i>, ci spiega perché Perrault ha fatto questa scelta così inusuale.<br />Perrault era un borghese, suo nonno realizzava arazzi per la Corte, suo padre era avvocato presso il Parlamento di Parigi, e Charles era nella condizione in cui ci troviamo tanti di noi che ci definiamo scrittori: non poteva sperare di vivere solo scrivendo, e quindi era costretto a lavorare.<br />Nel 1663 Colbert lo nomina segretario dell’Académie des inscriptions et belles-lettres, l’istituzione che ha il compito di redigere le iscrizioni sui monumenti e sulle medaglie in onore di Luigi XIV, e due anni dopo lo promuove controllore generale della Sovrintendenza agli edifici del Re. Per Charles si tratta di un bel balzo di carriera, che gli offre una notevole influenza nella vita artistica della Corte di Francia. È proprio grazie a questo incarico che riesce a far assegnare a Claude il rifacimento della facciata del Louvre, dopo aver scartato il progetto di Bernini, e a Pierre un progetto sulle fontane della nuova reggia che Luigi vuole costruire a Versailles. Grazie al “piccolo” della famiglia, i Perrault si sono davvero ben sistemati: ecco un’altra cosa che adesso non succede più.<br />Il Re vuole che nel corpo centrale della sua nuova reggia ci sia una grande sala, che renda evidente ai visitatori la grandezza della Francia sotto il suo regno. Incarica di questo ambizioso progetto Jules Hardouin-Mansart e l’architetto realizza un salone lungo settantatré metri e largo più di dieci che raggiunge l’attico del corpo centrale della reggia, con diciassette grandi finestre ad arco, aperte verso i magnifici giardini, a cui corrispondono sull’altro lato diciassette specchi, altrettanto grandi, in grado di far sembrare la sala ancora più vasta. Poi il re affida a Charles Le Brun la decorazione del soffitto, discutendo animatamente con il pittore sulla scelta dei soggetti: al centro campeggia un dipinto significativamente intitolato Il Re governa autonomamente. Oggi la Galleria degli Specchi è un’attrazione turistica e desta lo stesso ammirato stupore che provocava ai regnanti, ai ministri e agli ambasciatori che Luigi vi riceveva. Feste di nozze, battesimi reali, balli di carnevale: tutto è stato festeggiato in questa sala. E, non a caso, proprio qui nel 1871 Bismarck decide di far proclamare a Guglielmo I la nascita dell’Impero tedesco, dopo la fine della guerra franco-prussiana, e con lo stesso intento simbolico, nel 1919 il governo francese ne fa lo scenario della firma del Trattato di Versailles, che sancisce, tra l’altro, la fine di quell’Impero.<br />A Perrault viene affidato il delicato compito di sovraintendere alla realizzazione dei vetri e degli specchi che servono per decorare la Grande Galerie. Anche questo, nelle intenzioni del Re, deve essere un segno della grandezza della Francia. Ancora nel XVII secolo Venezia aveva il monopolio della realizzazione degli specchi. È stato proprio Colbert a fondare la Manufacture royale de glaces de miroirs, divenuta poi Compagnie de Saint-Gobain, capace di togliere il monopolio europeo del prodotto agli artigiani veneziani.<br />Inoltre, seguendo così da vicino il processo di lavorazione del vetro, Perrault impara che quel prodotto nasce dalla cenere. Perché, come dice la prima “morale”: “<i>La buona grazia è il vero dono delle Fate; senza di essa, nulla si può, con essa, tutto</i>". A questo punto di cosa poteva essere fatta la scarpetta che permette a una principessa, ingiustamente relegata al ruolo di sguattera, di tornare al posto che le compete nel mondo? Di vetro ovviamente. E Cenerentola diventa la metafora della Francia tornata grande grazie a Luigi e al suo vetro. Perrault capisce, molto prima di Disney, che le favole possono diventare un ottimo strumento di propaganda politica.<br />E poco importa se è davvero impossibile ballare indossando delle scarpette di vetro. A proposito nella versione danese le scarpette sono d’oro, ma Askepot, che evidentemente è una ragazza piuttosto previdente e pratica, indossa delle galosce per proteggere le sue preziose calzature, che non si sporchino di fango.<br /><br />Credo che a questo punto sia necessario ricordare che a metà dell’Ottocento quelle scarpette di vetro hanno scatenato una piccola querelle. Nel 1841 Honoré de Balzac, nel romanzo <i>Sur Catherine de Médicis</i>, fa dire a un suo personaggio, di professione pellicciaio, che le scarpette di Cenerentola non sono di <i>verre</i>, ma di <i>vair</i>, che è la preziosa pelliccia di scoiattolo. Émile Littré, nel suo ponderoso <i>Dictionnaire de la langue française</i>, prende le parti di Balzac e di altri critici che, seguendo il grande romanziere, sostengono che sia molto più “razionale” pensare a scarpette di pelliccia piuttosto che di vetro. Evidentemente né Balzac né Littré erano dei ballerini, perché neppure pantofole foderate di pelliccia sono le calzature più adatte alla danza. Inoltre si adattano molto più facilmente ai piedi: forse perfino le sorellastre sarebbero riuscite a calzarle, senza tentare delle dolorose mutilazioni, come avviene nella più cruenta versione dei Grimm. Anzi, come dirà molti anni dopo Bruno Bettelheim, nel suo importantissimo testo <i>The Uses of Enchantment: The Meaning and Importance of Fairy Tales</i>, sembra molto più “razionale” che una scarpetta di vetro possa essere un pezzo unico e che un solo piede possa calzarla perfettamente. Comunque la querelle sulla presunta omofonia tra <i>verre </i>e <i>vair </i>era già stata risolta, con un sorriso, da Anatole France che, invitando il lettore a “diffidare del buon senso”, spiega che è tanto verosimile che le scarpette siano di vetro quanto che una zucca venga trasformata in una carrozza. La cosa davvero sorprendente, conclude France, sarebbe se una carrozza venisse trasformata in una zucca.<br />A proposito di letture razionaliste della fiaba, nel 1817 il genio illuminista di Gioachino Rossini accetta di scrivere la musica per un’opera dedicata a Cenerentola solo a patto di togliere tutti gli elementi magici e quindi scompaiono le magiche scarpette limited edition, la zucca - un’altra invenzione di Perrault che non si ritrova nelle versioni precedenti - e soprattutto la Fata madrina, sostituita da Alidoro, filosofo e antico precettore del principe. Il compositore pesarese non vuole magia: noi uomini bastiamo a combinare guai e talvolta a risolverli.<br />Comunque Perrault, frequentando, seppur soltanto da funzionario, la Corte, deve averne viste di bizzarrie a proposito di scarpe. Molte dame indossavano i cosiddetti “spilli”, scarpette altissime, su cui a fatica riuscivano a camminare, figurarsi se potevano ballare. Luigi era ossessionato dalle scarpe, molto più di Carrie Bradshaw, le cambiava di continuo ed erano sempre più elaborate, sempre più ricche di fiocchi, nappe, gioielli, le scarpe del Re non erano fatte per camminare, ma per essere invidiate. E chissà se Perrault scrivendo il <i>Gatto con gli stivali</i> non volesse rendere un omaggio, seppur velato, al coraggio di Luigi.<br />E il primo numero delle <i>Fiabe Sonore</i> è proprio dedicato a questa favola, con le splendide illustrazioni di Sergio, come si firmava il pittore Romano Rizzato. E di lui certamente conoscete le famose illustrazioni nell’edizione integrale di <i>Pinocchio </i>dei Fratelli Fabbri del 1965. Ma forse questo è meglio se ve lo racconto un’altra volta.</div>Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-4653573181176868392.post-29040330044100579052023-01-07T14:48:00.005+01:002023-01-07T16:47:23.431+01:00Verba volant (824): fatale...<b><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEizyZ-w4h7Mfy_4MJkDizfMGoj1BREYDth4YyQ2-Tvt0IZK2YkdX-7tsltdgyqTbgm1ETE_-Vtm8kvsWTtnN7VOPKQuVIOktw9QKIiTolUjqyI8dy9VTPp8LNoJrQdXVCDnXSJZi2vrWOIihPlsBNeYZE-5xQRIKli8bYbGrleGZjljWtp4uN7-jFyFkw/s1572/Carolyn-Jones.webp" imageanchor="1" style="clear: left; float: left; margin-bottom: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" data-original-height="999" data-original-width="1572" height="454" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEizyZ-w4h7Mfy_4MJkDizfMGoj1BREYDth4YyQ2-Tvt0IZK2YkdX-7tsltdgyqTbgm1ETE_-Vtm8kvsWTtnN7VOPKQuVIOktw9QKIiTolUjqyI8dy9VTPp8LNoJrQdXVCDnXSJZi2vrWOIihPlsBNeYZE-5xQRIKli8bYbGrleGZjljWtp4uN7-jFyFkw/w716-h454/Carolyn-Jones.webp" width="716" /></a></div>Fatale</b>, <i>agg. m. e f.</i><br /><br />Lo so che Anjelica è filologicamente perfetta e Catherine è sensualmente letale, ma per quelli della mia generazione Morticia Frump in Addams avrà sempre i grandi occhi azzurri di Carolyn Jones.<br /><br />Carolyn è una ragazza di Amarillo che nella seconda metà degli anni Quaranta, come tante sue coetanee, divora le riviste dedicate alle dive e ai divi di Hollywood. Ma fin da bambina soffre di asma e questo limita molto le sue attività quotidiane: non riesce neppure ad andare al cinema con le amiche per vedere i suoi eroi sul grande schermo. Il padre ha abbandonato la moglie, lei e sua sorella minore. Il nonno, oltre che ospitarle, fa in modo che la ragazza faccia un intervento di rinoplastica per curare quella malattia e le paga la retta alla prestigiosa scuola di recitazione della Pasadena Playhouse.<br />Un talent scout la nota proprio in uno degli spettacoli della scuola e Carolyn viene messa sotto contratto dalla Paramount Pictures. E finalmente nel 1952, diretta da William Dieterle, debutta nel classico del noir <i>The Turning Point</i>: è una delle ragazze del nightclub del “cattivo” Ed Begley. I film in cui compare in questi anni non sono capolavori e le sue parti sono piccole, ma Carolyn comincia a farsi notare per la sua bellezza fuori dagli stereotipi dell’epoca e per il suo sguardo penetrante. È la ragazza che il folle scultore, interpretato da Vincent Price, “trasforma” nella statua in cera di Giovanna d’Arco in <i>House of Wax</i>. Interpreta la donna di un gangster in <i>The Big Heat</i>. In <i>Shield for Murder</i> è la biondissima e fatale Beth che fa girare la testa a Edmond O’Brien. Nel 1953 arriva finalmente la grande occasione: il ruolo di Alma in <i>From Here to Eternity</i>, con Burt Lancaster, Montgomery Clift, Frank Sinatra e Deborah Kerr. Ma Carolyn ha un attacco di polmonite, la produzione non si può fermare per quella giovane attrice, che viene sostituita da Donna Reed, che, proprio per quel film, vincerà l’Oscar, uno degli otto di quella fortunata pellicola.<br />La carriera di Carolyn comunque non si ferma. Nel 1956 è una delle protagoniste di <i>Invasion of the Body Snatchers</i> e ha una piccola parte in <i>The Man Who Knew Too Much</i> di Alfred Hitchcock. Poi arriva la nomination come attrice non protagonista per <i>The Bachelor Party</i>, in cui interpreta una ragazza misteriosa e sensuale, con quel vestito nero e i capelli a caschetto corvini, conosciuta solo con il nome l’Esistenzialista che, nonostante partecipi a ogni genere di feste, è sola ed estremamente malinconica. E ancora è Ronnie in <i>King Creole</i>, la giovane amata da Elvis Presley e uccisa da un perfido Walter Matthau. Lavora con Kirk Douglas, Frank Sinatra, Anthony Quinn e contemporaneamente fa anche molta televisione: con quegli occhi spesso viene scritturata per interpretare la “cattiva”.<br />Anche per questo quando, alla fine del 1963, David Levy la chiama per offrirle il ruolo della madre in una serie che sta per produrre per la ABC dedicata ai personaggi creati alla fine degli anni Trenta dal fumettista Charles Addams per <i>The New Yorker</i>, Carolyn esita: lei non è un’attrice comica e francamente quel progetto le appare un po’ azzardato. John Astin, il coprotagonista della serie, ha lavorato a Broadway in produzioni importanti come <i>The Threepenny Opera</i>, ma non è molto conosciuto a Hollywood, certamente molto meno di lei. Anche se non hanno mai lavorato insieme, Carolyn conosce ovviamente Jackie Coogan, che dovrebbe interpretare lo zio bizzarro: tutti a Hollywood conoscono Jackie, il “monello” di Chaplin, quello che ha fatto tanto per tutelare gli attori bambini, ma per i ragazzini a cui si rivolge la serie è un illustre sconosciuto. Comunque Carolyn non si può permettere di rinunciare a un ruolo da protagonista in una serie di trentaquattro puntate su una rete nazionale.<br />Carolyn si diverte molto sul set, fa amicizia con Blossom Rock, che le racconta le storie della vecchia Hollywood, quando lei era Sally, la centralinista del Blair General Hospital, in tutti i film della serie con protagonista il Dr. Kildare, mentre il gigantesco Ted Cassidy, nelle pause di lavorazione, suona il piano per la troupe.<br />Gli sceneggiatori creano per Carolyn il personaggio di Ophelia Frump, la sorella maggiore di Morticia, la “pecora bianca” della famiglia, visto che, a differenza degli altri, predilige questo colore per vestirsi e ha in testa una corona di fiori le cui radici le scendono fino ai piedi. E con lo svolazzante vestito di Ophelia, Carolyn può finalmente muoversi, e stendere con una mossa di judo il povero Gomez. La mano di Carolyn è anche l’interprete di Lady Fingers, la “cosa” a servizio della principessa Millicent von Schlepp - l’attrice Elvia Allman, la voce di Clarabella - che si fidanzerà con The Thing - che invece è la mano di Ted Cassidy.<br />La serie si rivela un inaspettato successo, anche se dura soltanto due stagioni. Per Carolyn è il ruolo più importante della carriera, che pure dura ancora molti anni, nei quali dimostra di essere un’ottima attrice. Nel 1967 a Broadway sostituisce Vivien Merchant nel ruolo di Ruth, l’enigmatico personaggio femminile che tutti gli uomini della famiglia del marito finiscono per desiderare, nel dramma di Harold Pinter <i>The Homecoming</i>. Torna anche al cinema: è la tenutaria di un bordello del classico horror del 1976 Eaten Alive. Ma è attiva soprattutto in televisione. È Marsha la Regina dei Diamanti, una delle “special guest villains” della fortunata serie <i>Batman</i>. Nella prima storia in cui compare, al termine del primo episodio l’Uomo Pipistrello non rischia la vita, come succede di solito, ma sta per sposarsi proprio con Marsha, che vuole diventare sua moglie per carpirne tutti i segreti. Servirà il provvidenziale intervento di Alfred, all’inizio del secondo episodio, per far saltare le nozze. Poi Carolyn è Ippolita, la madre di Lynda Carter in <i>Wonder Woman</i> e la moglie del padrone della piantagione in <i>Roots</i>. E appare come guest star in puntate di <i>Ironside, Ellery Queen, Quincy M.E., The Love Boat</i> - in cui fa la parte di una matrigna che vuole tarpare le ali alla carriera di cantate della figlia, aizzata dalle sorelle invidiose - <i>Fantasy Island</i>. Infine, all’inizio degli anni Ottanta, ottiene, anche se minata dal cancro, il ruolo di Myrna, la matriarca della famiglia Clegg, nella soap <i>Capitol</i>. È l’ultima sua parte da “cattiva”, poco prima di morire, a soli cinquantatré anni.<br /><br />Una lunga parrucca corvina, un attillato vestito nero che termina in una serie di tentacoli e quei grandi occhi chiari che ci ammaliano dallo schermo: in questo modo quell’attrice trentaquattrenne originaria del Texas diventa Morticia, come lo stesso Charles Addams decide di chiamare il suo personaggio. Solo con la serie televisiva infatti gli Addams acquistano un nome di battesimo e si definiscono in maniera precisa i legami familiari e i caratteri dei personaggi, nonché le loro complicate genealogie. E si viene a sapere che sono in qualche modo imparentati con la grande famiglia che ha una sola D nel cognome, quella dei due presidenti: un fatto di cui gli Addams con due D comunque non sono particolarmente fieri.<br />Per la precisione Addams ha “battezzato” Morticia e Wednesday una paio d’anni prima l’uscita della serie, per lanciare le due bambole con le fattezze dei suoi personaggi: potenza del merchandising.<br />Charles vuole che anche nella serie, come nelle sue vignette, Morticia sia il vero capo della famiglia, attenta e sempre pronta a prendersi cura degli altri, una perfetta padrona di casa, una moglie innamorata e una madre premurosa. Morticia è, a suo modo, l’ideale mamma americana, come sarà dieci anni dopo Marion Cunningham, anche se un po’ più sofisticata. E decisamente più upper class. Ma è una mamma che taglia i boccioli di rosa per mettere nei vasi soltanto gli steli, cura una pianta carnivora, chiamata Cleopatra, rimane imperturbabile quando Pugsley gioca con gli esplosivi o lo zio Fester accende le lampadine mettendole in bocca o Mano - come chiamiamo in italiano The Thing - spunta da qualsiasi anfratto della casa. La forza comica del personaggio è che Carolyn, con la sua bellezza altera e irrigidita in quell’elegante costume, affronta ogni stranezza che capita nella loro cadente villa vittoriana al 0001 di Cemetery Lane senza minimamente scomporsi.<br />Accanto ad Addams, per realizzare la serie Levy chiama Nat Perrin, che ha a lungo collaborato con Groucho Marx ed è stato uno degli sceneggiatori di <i>Hellzapoppin’</i>. E Nat mette in pratica tutto quello che ha imparato osservando la comicità surreale dei Marx Brothers. Come loro, gli Addams fanno cose che agli occhi degli altri sembrano folli, ma senza rendersene conto, anzi considerando folli i comportamenti delle persone “normali”. Probabilmente Morticia è una strega - d’altra parte sua madre, la vecchia e dolce Nonna Frump, è Margaret Hamilton, la Malvagia Strega dell’Ovest - e infatti compie ogni genere di magia, ma non è come Samantha di <i>Bewitched</i> - l’altra fortunata serie dell’ABC andata in onda per la prima volta nel 1964 e che in Italia sarà <i>Vita da strega</i> - che è ben consapevole di essere una strega, anche perché sua madre Endora glielo ricorda di continuo, ma vorrebbe essere “normale”. Morticia è semplicemente Morticia. E credo proprio che abbia ragione lei: siamo noi a essere strani.<br /><br />Luca Billihttp://www.blogger.com/profile/10720373561214399478noreply@blogger.com0