venerdì 24 marzo 2017

Verba volant (366): funerale...

Funerale, sost. m.

Spero mi perdonerete una riflessione personale: ve lo dico sempre che Verba volant è un dizionario molto particolare.
Oggi abbiamo salutato per l'ultima volta mio zio Franco. La morte è traumatica per definizione, ma Franco è morto in maniera serena, dopo una vita lunga; infatti tra le persone arrivate per il saluto laico a Franco, per lo più suoi coetanei o poco più giovani di lui, più che tristezza c'era quel senso di realistica consapevolezza con i cui i nostri vecchi - così poco filosofi, ma così saggi - sanno affrontare la morte. La loro tristezza più viva, la loro maggiore preoccupazione, era rivolta a mia zia, che rimane, malata e senza il compagno di una vita.
Uno dei miei cugini ci ha fatto notare che con Franco scompare l'ultimo della generazione dei nostri padri. Rimangono ancora quasi tutte le madri - le donne si sa vivono di più e quelle sono di una generazione particolarmente resistente - ma certo questa morte segna uno spartiacque: adesso tocca a noi, tocca a uno della nostra generazione, visto che siamo diventati i più vecchi della nostra famiglia. E siamo quasi tutti maschi, cinque contro una sola cugina. Naturalmente lo sapevamo anche prima di oggi che stiamo invecchiando. Visto che non ci vediamo molto spesso tra cugini, quando capita di rivedersi - spesso in occasioni come queste - ci riconosciamo invecchiati negli occhi degli altri; io vedo i loro figli crescere, tutti vediamo i peli che diventano grigi. Un cugino già parla dei pochi anni che gli mancano per andare in pensione: sì, siamo decisamente invecchiati e siamo consapevoli che comincia un nuovo giro.
Ma in un giorno come questo ti rendi conto di cosa sia la storia soprattutto perché ti capita di incontrare lontani parenti e vecchi amici dei tuoi genitori che ti salutano non chiamandoti per nome, come fanno le persone che ti conoscono, con cui lavori - o voi che leggete queste robe che scrivo - ma ricordandoti che sei il figlio di tuo padre o di tua madre. A me fa piacere quando qualcuno mi si avvicina, mi saluta e mi chiama "il figlio di Luigi", mi sento di appartenere a una storia, perché immagino che anche di mio padre dicevano che era figlio di mio nonno e così via. Poi naturalmente ciascuno di noi risponde per quello che lui ha fatto o non ha fatto, per le cose buone e quelle cattive, di quelle siamo responsabili noi, e solo noi, ma c'è qualcosa di rassicurante nel sapere che tu sei parte di una lunga vicenda umana e probabilmente, nonostante quello che pensi, non sei neppure la parte più significativa.

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