sabato 11 marzo 2017

Verba volant (361): movimento...

Movimento, sost. m.

Verba volant, per quanto atipico, è pur sempre un dizionario e in un dizionario si definiscono le parole che iniziano con la lettera minuscola. Però scrivo questa definizione l'11 marzo 2017, ossia a quarant'anni esatti da quando Francesco Lorusso venne ucciso da un carabiniere a Bologna. Quell'episodio di quarant'anni fa ha in qualche modo segnato uno spartiacque per il Movimento del '77. Certo successero ancora molte cose in quell'anno: gli scontri a Bologna, l'uccisione di Giorgiana Masi in una manifestazione a Roma il 12 maggio, il convegno nazionale contro la repressione di settembre e poi l'uccisione di Moro nel '78 e ancora la strage alla stazione dell'80, eventi che in qualche modo si ricollegano a quei mesi complicati e per molti versi drammatici.
Io guardando a quegli avvenimenti, a cui per ragioni anagrafiche non ho partecipato, ma che pure hanno condizionato in maniera rilevante la mia vita e la mia azione politica, mi sono sempre più convinto che quell'anno - proprio a partire dall'uccisione di Francesco Lorusso - racconti una sconfitta di questo paese, di tutto il paese, non solo della "nostra" parte, che pure negli anni successivi ha patito di più, se siamo arrivati alla condizione in cui ci troviamo oggi. Soprattutto ho sempre sentito quell'anno come un'occasione perduta, non solo per la politica, ma per la crescita civile e culturale di un paese che si muove lentamente - o forse preferisce star fermo - e che invece in quei mesi poteva essere messo in moto, a una velocità a cui non era abituato.
Si usava allora l'espressione movimento per indicare che quelle forze che in qualche modo si stavano organizzando non volevano essere un partito come quelli che c'erano già, in particolare come il Partito - qui la lettera maiuscola è proprio necessaria - che c'era già a sinistra. Il termine movimento indicava una struttura più fluida, meno dogmatica, meno gerarchizzata, per molti versi più anarchica e più libera. Ho l'impressione però che quella parola rappresentasse anche un programma politico, la necessità di mettere in moto una società ferma, che in tante sue componenti voleva rimanere ferma, l'impegno a far partire una vita culturale che molti sentivano fossilizzata, perché voleva esserlo. E proprio perché quel movimento faceva paura lo si volle stroncare, perché bisognava che ci fermassimo di nuovo. E ci siamo di nuovo fermati.
Naturalmente il problema non era soltanto che qualcuno voleva far partire una società ferma, quello che spaventava era la direzione che si voleva prendere. Perché muoversi senza una direzione è un esercizio retorico che non porta a nulla ed equivale a stare fermi: lo vediamo bene in questi anni infelici in cui tutti si impegnano a far ripartire il paese, ma rimaniamo sempre al palo, le ingiustizie rimangono sempre lì, i privilegi non diminuiscono - anzi crescono - le diseguaglianze sociali e culturali continuano a pesare nelle vite di tanti di noi. La direzione allora poteva sembrare confusa, perché le parole d'ordine erano diverse, ma era a suo modo chiara e credo che fosse tanto più chiara in quegli aspetti sociali e culturali in cui ebbe un peso maggiore: nel 1978 vennero approvate la legge Basaglia e quella per l'introduzione dell'aborto. Era il paese che stava cambiando, anche e soprattutto per l'affermarsi di un soggetto per molti aspetti nuovo e a suo modo rivoluzionario: le donne. Cambiava - e questo credo fu forse l'aspetto più eversivo e rivoluzionario di quegli anni - il modo di fare cultura: è impossibile pensare al '77 a Bologna senza parlare di Radio Alice. Il '77 poteva essere l'anno in cui la cultura italiana sarebbe cambiata: i segnali erano molti, segnali che in qualche modo hanno germinato negli anni successivi, perché la cultura è la cosa più difficile da reprimere e da fermare.
Proprio perché la direzione era chiara ed era quella, quel movimento fu fermato. A partire da quella mattina di marzo, all'incrocio tra via Irnerio e via Mascarella.    

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