domenica 7 agosto 2016

Verba volant (295): scuola...

Scuola, sost. f.

Qualcuno di voi già lo sa, perché mi è capitato di raccontare questa storia in un'altra definizione di questo inconsueto vocabolario: molto tempo fa, alla fine del secolo scorso, mi sono occupato di servizi all'infanzia - asili nido e scuole materne - perché ero l'assessore alla pubblica istruzione nel comune del contado bolognese in cui sono cresciuto e ho cominciato a fare politica. Ci ho ripensato in questi giorni perché mi è capitato di vedere in televisione il bel documentario di Mauro Bartoli e Lorenzo K. Stanzani dal titolo Non arretreremo! - Zangheri, il sindaco professore. Tra le altre cose proprio Zangheri, in pochissime parole, con la sua consueta chiarezza e la sua tipica lucidità intellettuale - nell'intervista fatta dagli autori prima che Renato ci lasciasse e che è una delle parti più interessanti del film - spiega la filosofia con cui nacquero negli anni Settanta i servizi all'infanzia: i bambini sono persone e devono essere trattati come tali e quello che viene loro insegnato nei primissimi anni di vita incide profondamente su quello che saranno da adulti.
Ovviamente nel corso del documentario si sottolinea anche che questi servizi hanno offerto a molte donne l'opportunità di trovare un lavoro e questo ha rappresentato un elemento determinante della ricchezza di quella città e della nostra regione, però l'accento è posto, giustamente, soprattutto sul valore educativo dei servizi all'infanzia. Credo che questo sia qualcosa di cui dovremmo sempre tener conto, per il bene dei bambini. E per la crescita democratica e civile della nostra società.
L'altra ragione che mi ha spinto a scrivere questa definizione è la notizia - l'ennesima purtroppo - di un'educatrice accusata di maltrattamenti verso i bambini che le erano stati affidati. Sono molti i casi che sono emersi - 65 negli ultimi sette anni - tanto da far nascere un certo livello di allarme nelle famiglie e nella società, che si traduce, ad esempio, in petizioni per richiedere l'installazione di telecamere in tutti gli asili - l'ultimo invito a firmare una di queste petizioni on line mi è arrivato puntualmente dopo la notizia del caso di Milano - e a cui il parlamento sta cercando di dare risposta con una nuova legge che, temo, sarà frutto di questa emozione e farà ben poco per affrontare il vero nodo della questione, ossia la qualità del servizio, partendo dall'idea che i bambini sono persone e che l'educazione è una delle funzioni essenziali di uno stato.
Il ragionamento che voglio fare ovviamente non vuole sminuire le singole responsabilità, che devono essere verificate e, nel caso, sanzionate molto duramente. Credo però che occorra fare un ragionamento un po' più ampio, che parta proprio dalla qualità di questi servizi così importanti. Se ripenso alla mia esperienza di quegli anni lontani posso dire con certezza che un episodio del genere non sarebbe mai potuto accadere. Le insegnanti erano ragazze motivate, alcune di loro avevano cominciato agli inizi degli anni Settanta quando i servizi erano stati istituiti e quindi avevano tutto l'entusiasmo di quegli anni e il legittimo orgoglio di aver cominciato quell'avventura, per alcuni versi pionieristica. Io visitavo con molta frequenza le strutture, conoscevo molto bene le educatrici e le "dade", parlavo spesso con loro e naturalmente con i genitori, con cui c'era un confronto continuo, facilitato - lo devo riconoscere - dal fatto di vivere in una comunità piccola. C'era una coordinatrice pedagogica che svolgeva un lavoro prezioso, incontrava regolarmente il collettivo - si usava questo nome dal sapore sessantottesco, non so se si faccia ancora - gestiva la programmazione e l'aggiornamento. Erano servizi che gestivamo con cura, perché rappresentavano uno dei caratteri che definiva il "nostro" modo di amministrare.
Insegnare in un asilo nido o in una scuola materna era - ed è - un lavoro non facile, che impegna molto, da un punto di vista fisico e soprattutto psicologico, e per alcune insegnanti era faticoso continuare a farlo dopo molti anni, con il crescere dell'età. In quei casi cercavamo di trovare una soluzione: in un comune grande era più facile, in uno piccolo come Granarolo più difficile, ma in qualche caso siamo riusciti a trasferire alcune educatrici negli uffici amministrativi, facendo fare a loro esperienze nuove e mettendo a disposizione la loro capacità in nuovi lavori, e così ottime educatrici sono diventate ottime impiegate. Nessuna di queste cose era fatta con l'intenzione dichiarata di prevenire atti come quelli di cui stiamo parlando - e di cui ci stiamo preoccupando - o con l'intento di organizzare dei controlli, ma con l'obiettivo di gestire meglio i servizi, di migliorare la qualità dell'offerta educativa, che era il fine a cui tutti, amministratori, pedagogisti, personale prima di tutto, eravamo impegnati. Uno sforzo in cui erano coinvolti anche i genitori e le famiglie, che erano consapevoli del valore pedagogico di quel servizio. E credo che tutto sommato - anche al netto della nostalgia - siano stati raggiunti risultati significativi: personalmente ritengo il mio impegno di quegli anni sui servizi all'infanzia una delle cose più importanti che abbia fatto nel mio lavoro politico.
Molto è cambiato da allora. Quasi sempre i servizi all'infanzia non sono più gestiti direttamente dai comuni, ma dal privato, lasciando al pubblico solo una funzione di controllo, alcune volte - troppe volte - più formale che sostanziale. Mi arrabbio molto quando sento quelli che in maniera manichea criticano il pubblico ed esaltano il privato e non voglio commettere lo stesso errore: so che ci sono servizi gestiti da privati che funzionano bene, con personale preparato e motivato. Però certamente il privato ha l'obiettivo primario di ridurre i costi e in un'azienda di servizi l'unica voce su cui si può risparmiare è quella del personale. Naturalmente il fatto di essere pagata poco o di non essere pagata affatto non giustifica una persona che maltratta un bambino, ma in una struttura in cui i costi sono ridotti all'osso, in cui non si investe sulla formazione, in cui non c'è un referente pedagogico e psicologico, in cui le persone lavorano per molte ore alla settimana, per molti giorni in un anno, per un periodo molto lungo della loro vita, anche quando non sono più in condizioni di farlo, in una struttura del genere possono succedere episodi così gravi.
E comunque, anche se in tante strutture per fortuna non succede nulla del genere, si tratta di servizi in cui manca la qualità, in cui i bambini sono "parcheggiati" per molte ore al giorno e non sono educati. E' naturale che i genitori si preoccupino che i loro figli non vengano maltrattati a scuola, ma dovrebbero preoccuparsi anche di quello che imparano, di come sono educati e non solo di quanto costa il servizio o di quante ore è aperto. In questa mancanza di consapevolezza abbiamo fatto certamente dei passi indietro.
Il tema non è se mettere o meno le telecamere - peraltro ci sono forme di violenza, ad esempio quella psicologica, che non sempre possono essere riprese - ma che tipo di servizio vogliamo offrire alle nostre figlie e ai nostri figli, che investimenti vogliamo fare nell'educazione dei nostri concittadini più piccoli, che ruolo deve avere il pubblico in questo settore così importante. Io rimango ostinatamente ancorato a quelle parole di Zangheri, all'idea che l'asilo nido e la materne siano scuole a tutti gli effetti, con un valore pedagogico uguale - se non superiore - a tutte le altre, università compresa, ossia la schola per definizione. Se adottiamo questo punto di vista allora la questione non è sapere quanto costa un asilo nido - e infatti le istituzioni pubbliche investono sempre meno, vogliono che questo servizio incida sempre meno sui propri bilanci, con tutte le conseguenze che conosciamo, appalti al massimo ribasso, nessun controllo sul reclutamento del personale e così via - ma valutare che ricchezza rappresenta. Ed è una ricchezza che ovviamente non si può quantificare, perché non c'è un indice numerico che misuri la crescita culturale, la capacità di integrazione tra diversi, il rispetto tra generi, la capacità di gestire i conflitti e di attivare momenti di solidarietà, tutte cose che le bambine e i bambini cominciano a imparare proprio all'asilo nido e che possono imparare meglio qui, a contatto con gli altri, piuttosto che in famiglia, che è importantissima, ma che non può sostituire questo servizio come vorrebbero quelli che sostengono che le risorse per l'infanzia possono essere date direttamente alle famiglie e che si fanno forti proprio di questi episodi, di cui amplificano le conseguenze.
Una delle cose più pericolose che ci sta succedendo in questi anni di dominio del capitale è proprio utilizzare i soldi come unico criterio di giudizio. A noi quei comunisti là hanno insegnato che c'è anche altro e vogliamo con testardaggine non perdere questa memoria. A partire dall'idea che le bambine e i bambini sono persone. E che nella scuola, pubblica, potranno crescere.  

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