mercoledì 27 luglio 2016

Verba volant (293): giocare...

Giocare, v. intr.

Non gioco a Pokémon Go. Vi assicuro che non è per snobismo, ma temo il caldo e francamente sono troppo pigro per questa attività, che richiede una qualche tempra sportiva, che purtroppo non ho. E poi ho già il mio gioco per il computer: da quasi tre anni colleziono parole.
Per quello che mi hanno raccontato non sono un detrattore di questo gioco, anzi. Per anni ci siamo lamentati che i nostri ragazzi stavano chiusi in casa, attaccati ai loro videogiochi, e adesso non possiamo lamentarci ancora, visto che c'è questo gioco che li obbliga a uscire di casa, a camminare, a scoprire luoghi meno noti delle nostre città. Ovviamente bisogna vedere dove vanno a camminare: non vorrei che mio figlio andasse a caccia di questi strani animaletti in mezzo a un'autostrada o dentro il recinto di una base militare o all'interno di Auschwitz, ma evidentemente questo è anche un problema mio come educatore, se non gli ho insegnato che andare a giocare in certi luoghi è troppo pericoloso o è vietato o è semplicemente immorale. Se mio figlio andasse a cercare un pokemon in un luogo dove hanno ucciso migliaia di persone, sarei io quello da criticare e da fermare, non la casa produttrice del gioco.
Di questo nuovo gioco mi piace inoltre che in qualche modo spinga le persone - specialmente le giovani persone - a incontrarsi non solo virtualmente e credo che questo faccia loro bene.
Sinceramente c'è un aspetto di questo gioco che un po' mi inquieta molto e non sono le persone che in giacca e cravatta si fermano all'improvviso perché hanno sentito il bip che annuncia che il mostriciattolo è lì vicino. Mi preoccupa il fatto - ma vale non solo per questo gioco - che qualcuno possa sapere con incredibile precisione cosa abbiamo fatto, dove siamo andati, chi abbiamo incontrato. Ogni giorno ciascuno di noi rinuncia a un po' della propria libertà. Io per primo lo faccio: se domenica vado a fare una gita a Monculio di sotto, state pur tranquilli che vedrete in tempo reale le foto di questa ridente cittadina, e se poi decido di andare a pranzo alla pizzeria Bella Napoli di Monculio di sotto anche di questo verrete informati, con un bel primo piano della pizza. Curiosamente a volte mi tocca faticare per avere un'informazione dal cittadino che viene da me allo sportello, perché mi dice che c'è la privacy, mentre potrei tranquillamente verificare quella stessa informazione su di lui su Facebook, perché lì l'ha messa senza pensarci. Noi qui ci mettiamo a nudo, a volte non solo in senso metaforico, e mettiamo tutte queste informazioni a disposizione di qualcuno di cui forse dovremmo avere paura. Credo non sarebbe male se cominciassimo davvero a rifletterci, non per fare fantascienza, ma per capire cosa ciascuno di noi guadagna e perde mentre sta su questo mezzo che offre tantissime opportunità e nasconde altrettanti pericoli: la libertà a volte ha questa doppia faccia.
Però, anche se abbiamo paura, credo che non dovremo smettere di giocare, perché giocare è un'attività rivoluzionaria, anche quando lo facciamo con gli strumenti che ci mette in mano il capitale. Il tema non è il gioco in sé - stupido o intelligente che sia - ma quando, come e perché si gioca. Anzi io, sulla scorta dell'art. 31 della Convenzione sui diritti dell'infanzia, sono convinto che le bambine e i bambini abbiano il diritto di giocare e noi "grandi" dobbiamo fare di tutto, il possibile e l'impossibile, affinché questo diritto sia garantito. E ricordiamoci che il diritto di giocare non è meno importante di quello di studiare. E anche noi - che bambini non lo siamo più da un pezzo - abbiamo diritto di giocare. Anzi io sono comunista anche perché penso che le donne e gli uomini debbano lavorare di meno e quindi avere più tempo da dedicare a se stessi e agli altri. E dedicare tempo a se stessi vuol dire anche giocare. Ora non è che penso che Pikachu sia un agente della Terza Interzionale, ma certamente giocare fa bene, anche alla politica.
Il problema è che giocare non è facile: le bambine e i bambini sanno bene che è un'attività che richiede tutta la loro intelligenza e la loro passione: giocare è una cosa maledettamente seria. Bisogna imparare le regole del gioco e allo stesso tempo sapere quando è possibile - o necessario - trasgredire a quelle regole, perché magari sono ingiuste o penalizzano qualcuno. Bisogna imparare a giocare insieme agli altri, a quelli che sono molto bravi, a quelli che lo sono meno, e a quelli che non sono proprio capaci e a cui bisogna avere la pazienza di insegnare. Bisogna sapere quando è il momento di smettere di giocare, perché quel gioco non piace più a uno dei giocatori: ad esempio quante donne muoiono perché ai maschi non insegnano quando è il momento di non giocare più. Bisogna fare giochi diversi, perché fare sempre lo stesso gioco non solo finisce per essere poco divertente, ma fa andare di matto. Certamente gli scacchi sono un gioco un po' più intelligente di Pokémon Go, ma, se avessi un figlio, non vorrei che diventasse maniaco degli scacchi, che passasse a giocarci tutto il suo tempo. Cambiare gioco e cambiare le regole del gioco è importante. E soprattutto bisogna imparare a vincere e a perdere e soprattutto a rispettare chi perde.
Vostro figlio gioca a Pokémon Go? State tranquilli, mi preoccuperei davvero se giocasse solo a Pokémon Go. Come mi fate preoccupare voi grandi che giocate solo a Pokémon Go. Se ci giocate, intanto è importante che lo facciate insieme con vostro figlio, magari riuscirete a imparare qualcosa da lui.

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