lunedì 4 luglio 2016

Verba volant (287): cucchiaio...

Cucchiaio, sost. m. 

C'erano anche i soldati semplici a combattere sotto le mura di Troia, ci furono anche alcune battaglie campali, ma in sostanza quella lunghissima guerra - almeno come la racconta Omero - è un susseguirsi di duelli. E i duelli avvengono tutti più o meno allo stesso modo. Dopo la vestizione, che segue anch'essa un suo preciso rituale, i contendenti arrivano nel luogo dove si svolgerà il duello, sui loro carri; Omero sa che nei tempi antichi i capi delle tribù in guerra combattevano sui carri, ma non aveva mai visto uno scontro del genere e quindi non sa raccontarlo, per cui nelle sue storie il carro ha la funzione più o meno di un taxi, che porta al luogo designato allo scontro, poi viene parcheggiato e ripreso quando tutto è finito. Tutt'attorno - e comunque prudentemente a distanza - sono disposti gli eserciti, che ovviamente fanno il tifo per i loro rispettivi campioni. Questi si scrutano, in genere si conoscono assai bene, perché in dieci anni di guerra hanno già ripetuto quel rito diverse volte, poi cominciano a insultarsi. Gli insulti possono durare anche per un certo numero di versi e solo alla fine si combatte veramente. Quegli insulti servono evidentemente a fiaccare l'autostima dell'avversario, a intimidirlo, a mostrarlo più vulnerabile. A volte anche a far perdere del tempo - anche se questo Omero non lo dice - perché comunque il duello finisce quando cala il sole e più durano gli insulti meno si combatte. Omero non racconta neppure questo, ma immagino che i soldati-tifosi, assiepati sugli spalti delle mura di Troia o intorno all'accampamento greco, accompagnassero con boati questi insulti. A guardare gli eroi troiani c'erano anche le loro mogli e le loro fidanzate, e anche queste facevano il tifo, perché una vittoria del loro compagno rappresentava un successo anche per loro.
Ovviamente quando l'eroe tornava vincitore, avesse ucciso o meno il proprio avversario - a volte un dio si incaricava di togliere di mezzo quello che stava per soccombere, in modo che potesse combattere in un'altra occasione - veniva accolto dalle alte urla dei suoi soldati. Immagino non fosse solo piaggeria, ma vero entusiasmo, in fondo una vittoria in più avvicinava al momento in cui la guerra sarebbe davvero finita, i greci sarebbero ritornati a casa e i troiani alle loro consuete occupazioni, e poi ogni vittoria era occasione per far festa, per ottenere licenze e premi. Omero non ci racconta come veniva accolto l'eroe che tornava sconfitto - quando tornava - magari qualcuno tra i suoi servi si complimentava comunque, questa volta sì per piaggeria - o per paura - qualcuno dei suoi amici incitava, anche se con un po' meno foga, il guerriero sconfitto, specialmente se lo scontro era stato duro - grazie lo stesso, ce l'hai messa tutta, bravo, vedrai che la prossima volta andrà meglio. Certamente qualcuno era pronto a giustificare la sconfitta - non è colpa tua, sono le armi a essere di una lega scarsa, e poi non vale, avevi il sole negli occhi; quando si cercano scuse, se ne trovano sempre.
C'erano poi quelli - erano i più numerosi - che quando il loro eroe tornava vittorioso si mettevano in prima fila per complimentarsi, organizzavano feste di benvenuto, declamavano poemi per celebrarne le gesta. Ed erano pronti a ripetere, parola per parola, tutti gli insulti che aveva detto al suo avversario, anzi aggiungevano loro stessi nuovi insulti, perché è sempre divertente infierire su chi è stato sconfitto ed è utile portare in trionfo chi ha vinto. Ma, se per un malaugurato caso il loro eroe veniva sconfitto, allora questi si giravano dall'altra parte, facevano finta di non conoscerlo, stracciavano i biglietti che si erano scambiati e anzi erano pronti a deprecare quelle parole offensive - che avevano imparato a memoria - dicendo che il disonore sarebbe ricaduto su quel guerriero e sulla sua progenie, proprio a causa di quelle parole offensive. Spiegavano che non era leale offendere un avversario e cose del genere, che si usavano dire in quei tempi lontani.
Allora le cose andavano così. Certo che se Omero ci avesse raccontato di quella volta che Aiace, armato di tutto punto, sceso dal carro, ha guardato Ettore e gli ha detto "adesso ti faccio il cucchiaio"...

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