giovedì 15 ottobre 2015

Verba volant (216): vaccino...

Vaccino, sost. m.

Non ho figli - e non ne avrò - e quindi tratto questo tema con qualche pudore. Sono già troppi quelli che non hanno figli e che vogliono spiegare a chi li ha in che modo devono fare i genitori; come dice l'antico adagio, chi sa fa e chi non sa insegna. Credo che essere padre - e tanto più essere madre - sia una cosa terribilmente complicata; tanto più in questi tempi così difficili. Non vi invidio, anzi ammiro il vostro coraggio, al limite della temerarietà, per aver fatto la scelta di diventare genitori.
Da non-padre mi ha colpito molto la discussione che in questi giorni si sta facendo sulla vaccinazione dei bambini. Ho letto che cresce il numero di famiglie che decidono consapevolmente di non vaccinare i propri figli e che di conseguenza c'è una reazione delle autorità sanitarie e soprattutto della maggioranza delle famiglie che sono preoccupate che queste mancate vaccinazioni possano causare malattie che si pensavano debellate. Ho letto, come credo abbiate fatto anche voi, che a Bologna è morta una bambina per la pertosse, una malattia che i nostri genitori chiamavano "tosse cattiva"; e la cosa ha generato un comprensibile allarme sociale.
Credo che i miei genitori non si siano neppure posti il tema se vaccinarmi o meno. Per quelli della loro generazione il vaccino non era solo un obbligo sanitario, ma in qualche modo una conquista sociale, il segno che il mondo stava cambiando, in meglio. La possibilità che tutti i bambini venissero vaccinati rappresentava una conquista, perché questo avrebbe significato debellare una serie di malattie, per cui molti, troppi, bambini loro coetanei erano morti. C'era probabilmente un'ingenuità eccessiva in questo affidarsi alla magnifiche sorti e progressive della scienza, così come era a volte mal riposta la fiducia che avevano comunque per il medico, che era uno che aveva studiato e quindi aveva più ragione più di loro, che invece non avevano studiato. E infatti uno dei loro principali obiettivi era che noi studiassimo, che diventassimo anche noi dottori.
E in qualche modo lo siamo diventati. Siamo diventati più attenti, più critici, più disincantati. Abbiamo imparato a fidarci meno dei dottori e ancor meno delle autorità sanitarie. Spesso con ragione. Io, lo sapete, ho questo vizio antico di essere socialista e anticapitalista e quindi penso tutto il male possibile delle grandi multinazionali del farmaco; credo che, al là della retorica, la loro mission non sia affatto quella di curare le persone, ma solo quella di ingrassare gli azionisti. Per questo mi batto affinché la sanità non sia privatizzata, soprattutto la ricerca non sia privatizzata, perché le industrie farmaceutiche lavorano soltanto per il loro profitto, mentre la ricerca scientifica deve essere libera. Troppe volte non lo è, troppe volte i laboratori universitari indirizzano le loro ricerche solo verso determinati settori, perché ricevono finanziamenti privati, indispensabili per sopravvivere, dal momento che lo stato le sostiene sempre meno, troppe volte le riviste scientifiche mentono perché i loro editori sono gli stessi che controllano le industrie farmaceutiche, troppe volte i medici non sono credibili, perché ricevono tangenti per dire quello che le industrie vogliono che loro dicano. Se tutto questo è vero - e purtroppo lo è - perché allora dovremmo far vaccinare i nostri figli?
Io credo che farei vaccinare i miei figli, perché la possibilità che tutti i bambini lo siano è ancora una conquista sociale. Sconfiggere le malattie, così come il curare tutte le persone allo stesso modo, è un obiettivo socialista e quindi è un mio obiettivo. E' più di un anno che in Africa nessun bambino muore a causa della poliomielite e per me questa è una buona notizia. Poi in Africa i bambini continuano a morire, a causa di altre malattie, ma soprattutto a causa nostra, perché finanziamo le guerre in quel paese, perché per mantenere il nostro stile di vita sfruttiamo le loro risorse, perché consideriamo quel popolo una merce. Però i bambini dell'Africa - e di tutto il mondo - non muoiono più di polio. Il vaccino si chiama così perché questa parola indicava sia il vaiolo che colpiva i bovini - il vaiolo vaccino appunto - sia il pus ricavato dalle pustole del vaiolo bovino, usato per l'immunizzazione attiva contro il vaiolo umano. Il vaiolo non esiste più da almeno trentacinque anni, è rimasta solo questa parola, con la sua storia etimologica, a ricordarlo. E questa è una vittoria del progresso.
Sono ingenuo anch'io come i miei genitori? Forse sì, ma sicuramente anch'io vaccinerei i miei figli, accettando il rischio che un vaccino comporta - che ogni vaccino comporta - perché il costo sociale di non vaccinarsi credo sia ancora più grave e coinvolga tutti, non solo la mia famiglia, non solo i miei figli. Però dobbiamo fare in modo che la ricerca vada avanti, che sia pubblica, libera e indipendente, dobbiamo togliere potere alle industrie e alle multinazionali del farmaco, dobbiamo punire i medici che si fanno comprare e che in questo modo tradiscono la loro missione. Dobbiamo lottare affinché le bambine e i bambini salvati dalle malattie non vengano uccisi dai conflitti o nel tentativo disperato di attraversare il Mediterraneo. Dobbiamo cambiare il mondo, una cosa che abbiamo visto essere piuttosto difficile, ma da questa malattia non riusciamo proprio a guarire.

1 commento:

  1. Non ho elementi concreti per dire se i vaccini siano pericolosi. Certamente hanno salvato milioni di vite. Tuttavia ... non tutti i bambini sono uguali e sono pronti ad acquisire, nel loro organismo, un complesso di virus che può avere reazioni inaspettate ... Credo sia necessario, prima di inoculare in un esserino di pochi mesi una "bomba" costituita di una serie imponente di virus, somministrare preventivamente qualcosa di "fortificate" che al momento non so esprimere diversamente. Ricordiamoci che "ai nostri tempi", oltre alla vaccinazione contro il vaiolo, esisteva la "trivalente": ora iniettano - in un colpo solo - la "esavalente". Forse potrebbero procedere a vaccinazioni frazionate nel tempo ...
    Alessio Billi

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