sabato 11 luglio 2015

Verba volant (200): conflitto...

Conflitto, sost. m. 

Srebrenica, 11 luglio 1995: è nostro dovere di uomini ricordare, è nostro dovere di europei. Perché europei erano gli 8.000 uomini che furono uccisi in quella strage, europee erano le donne - mogli, madri, figlie - che furono costrette ad abbandonare quella città, con il dolore nel cuore per i mariti, i figli, i fratelli che avevano lasciato là insepolti, europei erano quelli che li ammazzarono, europei erano i soldati che, nonostante fossero là a garantire, se non la pace, almeno la tregua, lasciarono compiere quella tragedia. Alcuni di quegli europei erano cristiani, altri erano musulmani, perché ci sono anche gli europei musulmani - sono pochi forse, ma ci sono, con buona pace dei crociati in servizio permanente effettivo; alcuni erano di origine serba, altri di origine bosniaca, altri ancora, prima di quella guerra, non sapevano esattamente come definirsi, perché in quella terra antica e complicata è da sempre difficile distinguere in maniera netta le genealogie, poi un giorno scoppia la guerra, io rimango da una parte, tu dall'altra e da amici che siamo diventiamo nemici; altri infine erano olandesi, ma potevano essere francesi, inglesi, italiani e la storia non sarebbe stata diversa da come purtroppo è stata.
Quelli della mia età hanno la fortuna di non aver visto la guerra, ce l'hanno raccontata - se abbiamo voluto ascoltare le loro storie - i nostri nonni, i nostri genitori, ma noi non sappiamo proprio come sia fatta quella bestia lì. Poi delle guerre da qualche parte del mondo ce ne sono sempre, qualcosa sappiamo di quei conflitti, a volte perfino ci coinvolgono, almeno da un punto di vista politico. Per quelli della mia età le manifestazioni contro la Guerra del Golfo - quella di Bush il vecchio, il più assennato della famiglia - sono state un'occasione per avvicinarsi alla partecipazione politica. In quel caso sembrava abbastanza semplice schierarsi, perché quella guerra era un errore madornale, oltre che un crimine, e le vicende degli anni successivi - anche al netto dei disastri combinati dal Bush meno assennato - hanno dimostrato purtroppo che avevamo ragione noi. La guerra in Bosnia è stata oggettivamente fin dall'inizio più difficile da capire e credo che uno dei motivi per cui oggi l'Europa sia questa cosa che non ci piace sia anche l'incapacità di allora di affrontare in maniera netta quel tema.
Rispetto a quel conflitto io ebbi l'opportunità - tra il '94 e il '96 - di poter dare una mano al gruppo che a Bologna cercava di aiutare i profughi di quel conflitto. Sono andato alcune volte nel campo profughi d Ribnica, in Slovenia, dove c'erano molte famiglie bosniache e durante l'estate organizzavo il soggiorno qui di alcuni gruppi di bambini. E' stata una delle esperienze più belle della mia attività politica, perché è stata anche l'unica possibilità che ho avuto di capire un po' cosa significa davvero la guerra.
La prima volta che i bambini - allora avevano quattro e cinque anni - sono venuti in Italia mi colpì come si attaccassero a me e agli altri ragazzi volontari, volessero di continuo giocare con noi. La cosa mi stupì, ma poi, quando qualche mese dopo andai per la prima volta al campo, mi resi conto di una cosa che forse doveva essere ovvia: in quel campo gli unici adulti erano donne, e quindi in qualche modo, approssimativo e imperfetto, noi dovevamo essere i loro fratelli maggiori. Quando una notte si svegliarono spaventati - dormivamo nella scuola elementare di Granarolo - perché in un paese vicino c'era uno spettacolo di fuochi artificiali, fu molto difficile rimetterli a letto a farli riaddormentare; allora ho intuito davvero cosa sia la paura.
Conoscendo quelle persone, andando qualche volta in qual campo, ho capito anche che il loro essere musulmani era tutt'altra cosa da quello che ci stavano cominciando a raccontare. Anch'io posso genericamente definirmi cristiano, perché sono cresciuto in questo paese, ho partecipato - per amore o per forza - a delle funzioni religiose, conosco le preghiere, festeggio il natale e così via, ma questo non fa di me un fondamentalista. La stessa cosa valeva per loro: più della religione era importante mantenere una serie di tradizioni, anche molto antiche, a cui erano giustamente legati, ma questo non faceva di loro dei fondamentalisti. Temo che uno degli esiti più pericolosi di quel conflitto sia di aver spazzato via tutto questo e di aver riportato indietro la storia, quando per la religione, da entrambi le parti, era lecito uccidere. E infatti oggi la Bosnia è uno dei luoghi dove l'integralismo islamico recluta con più facilità per la propria guerra contro l'Occidente. Non perdonerò mai a chi ha voluto quella guerra di aver fatto così male a quei bambini, di aver loro insegnato il fanatismo.
Sono passati vent'anni da quella strage. Al di là degli accordi, più o meno fragili, al di là dei processi, più o meno efficaci, non sono stati vent'anni di pace e credo che il mondo che vedono ora da adulti quelli che allora erano bambini non sia migliore. E questa è una nostra sconfitta.

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