mercoledì 1 aprile 2015

Considerazioni libere (399): a proposito di sfide...

Maurizio Landini ha molti pregi, ma uno dei più importanti è la capacità di esprimersi in maniera chiara. Lo ha fatto sabato a Roma, nella bella e riuscita manifestazione della Fiom - in cui eravamo in migliaia - e lo ha fatto domenica, in un appuntamento dello Spi a Medicina - in provincia di Bologna - a cui Zaira ed io abbiamo avuto l'opportunità di partecipare. Proprio perché parla chiaro, solo un interprete fazioso e molto "disinvolto" può fargli dire cose che in queste settimane non ha mai detto. Landini non ha mai detto di volere fare un nuovo partito, l'ennesimo nuovo partito di sinistra destinato a racimolare l'1 o il 2%, né ha detto di voler fare il federatore della sinistra che c'è, come ha fatto - con un prevedibile insuccesso - Antonio Ingroia. Landini ha forse un'ambizione politica - del tutto legittima - ma adesso credo occorra stare sul merito delle cose che dice, che sono importanti.
Landini è partito, come molti di noi, da una constatazione. Al di là di quello che dice di essere, il governo renzi è il primo esecutivo che ha deciso di attuare in maniera integrale - anzi accentuandone i caratteri regressivi - il programma scritto da Confindustria. Questo governo non si propone di mediare tra interessi sociali contrapposti, ma ha semplicemente deciso di schierarsi con un unico blocco sociale, quello dei padroni. Noi chiamiamo questa cosa destra, renzi e i renziani la chiamano sinistra, ma è poco importante la disquisizione sui nomi, quello che conta sono le cose e questo governo è quello che ha abolito i punti fondanti dello Statuto dei lavoratori, cosa che non aveva fatto neppure un esecutivo dichiaratamente di destra, come quello guidato da Silvio Berlusconi. E' il governo che attua, con pedissequa puntualità, tutti i punti indicati nella lettera della Bce dell'agosto 2011, che neppure Monti - che pure era stato messo lì a quello scopo - era riuscito a completare. Infine è il governo che propone una serie di riforme istituzionali che stravolgono l'impianto della Costituzione, prevedendo un'inedita concentrazione di potere nelle mani di chi guida il governo, a scapito delle assemblee legislative, degli enti locali e degli organi di garanzia. So che ai miei amici piddini fa male sentirselo ripetere, ma si tratta, né più né meno, di quanto auspicato da Licio Gelli nel Piano di rinascita nazionale, un testo che voleva essere eversivo. 
Partendo da qui, Landini lancia delle sfide.
Sfida prima di tutto il sindacato, il suo sindacato, la Cgil. Se siamo arrivati a questo punto non possiamo dire che la colpa è tutta degli altri, che la colpa è di renzi o di Berlusconi o della "casta". In Italia non c'è stato un colpo di stato, non ci siamo ritrovati un governo così pericolo all'improvviso. C'è stata una transizione lunga che ha coinvolto il nostro paese come tutto il resto dell'Europa. In questa transizione è mancata una riflessione critica a sinistra, anzi noi di sinistra abbiamo teorizzato - e agito di conseguenza - l'adesione ai valori del liberismo, abbiamo pensato che dal governo, da raggiungere in qualunque modo, potessimo cambiare un sistema economico - che intanto diventava sempre più potente e spietato - e che invece ha cambiato noi, ci ha fagocitato.
Pensate a cosa è successo al sistema cooperativo, a come si è trasformato, a come è diventato permeabile alla criminalità, perdendo progressivamente tutti gli anticorpi. Ovviamente sapete cosa è diventato il pd, anche per colpa nostra, che pure in quel partito non ci siamo mai entrati, ma abbiamo contribuito a metterne le basi, attraverso l'ultima fase dei Ds.
E la Cgil non poteva rimanere immune da questa deriva. Troppi di noi, nei posti di lavoro, ci siamo scontrati con una Cgil che si è limitata a difendere qualche rendita di posizione, se non qualche vero e proprio privilegio, che non ha avuto la capacità di farsi interprete di bisogni nuovi. E abbiamo visto, nel paese, un sindacato incapace di difendere i "nuovi" lavoratori - le partire Iva, gli atipici, i precari - un sindacato che preferiva resistere nel proprio ridotto, mentre i diritti venivano via via erosi. Naturalmente so che la Cgil è molto altro e io sono fiero di essere iscritto a questo sindacato. Ma proprio perché credo nel valore di questo strumento, perché vedo quello che fanno ogni giorno sul territorio, penso che siamo stati deboli e adesso questa debolezza la stiamo scontando, e con gli interessi, visto che i padroni - e il governo loro complice - ci vogliono semplicemente distruggere. Landini parla di un sindacato diverso, in cui gli iscritti abbiano più ruolo, in cui i delegati possano scegliere i dirigenti e definire le scelte di fondo di quella organizzazione. Capisco che qualche collega di Landini storca il naso di fronte a queste proposte - lo ha fatto domenica Carla Cantone - ma adesso è il momento di mettersi in gioco. Perché altrimenti ne saremo travolti.
Poi Landini sfida la politica. Quando dice che il pd di renzi ha deciso di scegliere come proprio interlocutore l'altra parte, dice anche che c'è un vuoto, perché nessuno è rimasto a presidiare questa parte dello schieramento. In piazza a Roma c'erano persone che, se domani dovessero votare, non saprebbero per chi farlo. Domenica a Medicina ho incontrato vecchi compagni - che non vedevo da tempo e con cui ho condiviso splendidi anni di militanza - confessare con tristezza che si sono ritirati dalla politica: sono risorse che la sinistra non può perdere. Sempre domenica Cantone non è riuscita ad uscire dallo schema pernicioso - e per noi alla lunga mortale - del "meno peggio": ha detto in sostanza che visto che di là c'è Salvini, c'è il populismo lepenista, c'è il fascismo di Casa Pound, dobbiamo lavorare affinché il pd cambi. E' un'illusione naturalmente: il pd non cambierà, perché - al netto del malaffare che ormai permea tanta parte di quel partito - è ormai renziano nelle viscere, perché renzi non è una malattia da cui si può guarire, non è un tumore che può essere estirpato, renzi è l'evoluzione a cui ci hanno condotto questi trent'anni e non è più possibile tornare indietro.
Landini in sostanza dice: c'è un vuoto e quel vuoto dobbiamo essere capaci di riempirlo. La sfida che lancia alla politica è tutta qui, e non è un caso che in fondo, al di là di alcuni atteggiamenti un po' di maniera, pochi nella sinistra politica abbiano davvero sposato l'idea della coalizione sociale. Su questo punto sono d'accordo con Landini: la sinistra deve avere una rappresentanza politica. Ci vorrà tempo per farla nascere, ma dovrà nascere.
E qui veniamo all'ultima sfida, che in qualche modo Landini lancia a tutti noi, a chi crede in certi valori, a chi si sente, nonostante tutto, di sinistra. Non possiamo stare qui ad aspettare la prossima manifestazione, le prossime elezioni, perché intanto "loro" di là lavorano e ci tolgono sempre più spazio, ci stringono la corda intorno al collo. Intanto dobbiamo dire che ci siamo, che ci siamo accorti del loro gioco, che non ci possono più abbindolare con il trucco del "meno peggio", perché loro sono a tutti gli effetti il "peggio". Dobbiamo far crescere idee, dobbiamo contarci e raccontarci, dobbiamo manifestare anche per piccole cose, perché devono sapere che non ci arrenderemo facilmente. Devono avere paura di noi, della nostra reazione, della nostra capacità di mobilitarci, devono sapere che qualunque cosa facciano noi siamo pronti a criticarli, anche a sfotterli, a lanciare contro di loro una pernacchia, magari quando fanno la ruota e si fanno applaudire dalle loro claque organizzate e prezzolate. 
Ma al di là di questa resistenza, soprattutto dobbiamo fare in modo che le persone non si sentano sole. E' la riflessione di Landini che domenica mi ha colpito di più. Le persone si sentono sole, perché vengono lasciate sole nei loro bisogni, nelle loro povertà, nelle loro difficoltà, perché "loro" hanno bisogno che noi siamo così deboli. Uno dei sensi della coalizione sociale è proprio questo: l'impegno a non lasciare solo nessuno.
Come sapete il 30 marzo abbiamo festeggiato i cent'anni di un grande protagonista della sinistra italiana: Pietro Ingrao. Io ho cercato di ricordarlo pubblicando su questo blog parte di una sua riflessione, di un discorso che fece nel novembre del 1975 per l'apertura di una sessione della "scuola di partito" delle Frattocchie. Ingrao parlava allora di "socializzazione della politica", per dire che la politica deve entrare nelle cose, nella concretezza della vita delle persone. Forse, dopo quarant'anni, è necessario ripartire da qui, da questa idea di trasformazione radicale della società, per dare concretezza alla democrazia.

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