martedì 20 gennaio 2015

Considerazioni libere (394): a proposito di una speranza che potrebbe realizzarsi...

Siamo in tanti, in tutta Europa, a guardare con speranza a quello che succederà domenica prossima in Grecia: una vittoria netta di Syriza e la formazione di un nuovo governo guidato da Alexis Tsipras avrebbero un significato fondamentale non solo per quel paese, ma per tutta la sinistra europea, a partire da quei paesi dove i partiti del nostro schieramento sono più forti e possono legittimamente aspirare a vincere le elezioni, come in Spagna e in Irlanda, ma anche per l'Italia, dove la sinistra politica adesso di fatto non esiste e noi "sinistri" ci sentiamo sempre più "esodati della politica", spesso tentati dalla voglia di mollare, di astenerci.
Le forze dominanti presentano queste elezioni greche come una sorta di referendum pro o contro l'Unione europea, cercando quindi di far passare il messaggio che la "loro" Europa, l'Europa dei mercati, delle banche, delle rendite, è l'Europa tout court, l'unica e sola Europa possibile. La migliore delle Europe possibili, direbbe il dottor Pangloss. E quindi chi critica la "loro" Europa viene descritto come una sorta di terrorista, come chi la vuole distruggere. Basta guardare un telegiornale italiano o leggere un qualsiasi giornale: il primo obiettivo di Syriza sarebbe l'uscita dall'euro, una cosa che non c'è nel programma di Salonicco e anzi è fuori dall'orizzonte politico di quel partito, che è fortemente europeista.
Comprensibilmente la destra greca - e i loro servi del Pasok, il pd greco - fa di tutto per imbrogliare le carte e Samaras si presenta come il garante dell'unità del paese sotto l'egida dell'Europa "tedesca", dal momento che non può presentare nessun risultato positivo della sua azione di governo, visto che le ricette proposte dal Memorandum stilato dalla Troika si sono rivelate incapaci di invertire la tendenza e di portare il paese fuori dalla crisi. Anzi l'hanno aggravata, gettando nella povertà milioni di persone. La destra, mentendo, sostiene che la crisi del debito greco sia endogena, così da giustificare l'inevitabilità delle riforme neoliberali (più o meno lo stesso che hanno fatto in Italia, imponendo a napolitano i governi monti, letta e renzi). Tutti i corifei del regime spiegano che la violazione delle scelte imposte dal Memorandum, ossia la rinuncia alle "loro" riforme, provocherebbe l'uscita della Grecia dall'euro, con gravissime conseguenze, che però sarebbero limitate soltanto a quel paese. L'Economist però prevede che entro la fine di quest'anno saranno sette gli stati europei ad avere un debito pubblico al di sopra del 100% del loro pil, dimostrando quindi che il problema non è il debito pubblico greco, ma la crisi dell'eurozona. L'unico punto della propaganda elettorale di Samaras, ossia che la Grecia rimarrebbe isolata in Europa se vincesse Syriza, è smentita ormai nei fatti e anzi, proprio l'affanno con cui i leader europei, di destra e del cosiddetto centrosinistra, sostengono Samaras, sta favorendo il consolidamento elettorale della sinistra.
Vedremo cosa succederà lunedì prossimo. E' chiaro che un eventuale governo di Syriza non chiederà alla Troika di avere più tempo per rispettare gli impegni dettati dal Memorandum, non farà come hanno fatto in questi mesi Samaras e Venizelos, ma - proprio in forza di un risultato elettorale di questa portata e di un mandato democratico così ampio - chiederà la fine dell'austerità, in nome della non sostenibilità del debito. Per questo i poteri che lavorano nell'ombra per il fallimento della Grecia, dell'Italia, della Spagna hanno paura della democrazia, cercano di limitarla, come sta succedendo nel nostro paese, con le riforme istituzionali presentate dal governo renzi. Democrazia e lavoro sono due facce della stessa medaglia, come ci hanno insegnato i nostri padri Costituenti.
Naturalmente per Syriza, anche se otterrà la maggioranza assoluta, non sarà facile governare questo passaggio, perché incontrerà resistenze da parte del mondo politico e di ampi settori dell'amministrazione, che vedranno diminuire il potere che hanno acquisito - anche in maniera disonesta - in questi anni, e soprattutto del mondo degli affari, che ha già messo gli occhi sui beni da privatizzare e ha scommesso sul fallimento del paese, per acquistare a prezzi di realizzo tutto quello che può essere valorizzato. E tutti questi avranno l'appoggio delle istituzioni europee e degli organismi finanziari internazionali, che faranno di tutto - lecito e illecito - per sabotare l'esperienza greca. Immaginatevi come saranno schierati nelle prossime settimane gli organi di informazione, pronti a sottolineare ogni presunto errore del governo Tsipras. Per questo dobbiamo vigilare, anche qui, e sostenere quel governo.
L'esperienza di Syriza non deve essere una parentesi, come auspicano i nostri nemici. E sappiamo già che dopo le elezioni il potere della sinistra sarà fragile - troppo fragile, visti i nemici contro cui deve difendersi - se si limiterà al confronto istituzionale e se non troverà delle alleanze in Europa. E' una cosa che abbiamo già visto succedere troppe volte, perché un paese non si cambia solo dall'alto, perché non basta controllare le leve del potere, ma bisogna far crescere una cultura politica diversa; e questa volta non possiamo permetterci di sbagliare.
Bisogna partire dall'idea che in Europa c'è un conflitto, anche se non è quello che ci raccontano i giornali. Ed è un conflitto che, forse per la prima volta con questa nettezza, non avviene tra stati nazionali, ma nasce all'interno dei singoli stati ed è esteso a tutto il continente. La rivoluzione ha una lunga storia in questa parte del mondo - l'ha in qualche modo plasmata - ma questa storia si è sempre intrecciata con quella degli stati nazionali, perché le classi dominanti sono riuscite, praticamente in ogni occasione, a far in modo che gli interessi di ogni singolo paese prevalessero sui comuni interessi di classe naturalmente transnazionali, costringendo quindi i lavoratori francesi, tedeschi, inglesi, italiani, a combattersi, in nome proprio di questi fantomatici superiori interessi nazionali, che ovviamente nascondevano gli interessi delle classi che li guidavano.
Adesso lo scenario è mutato, anche per merito di quegli antifascisti che immaginarono, mentre erano ancora nelle carceri fasciste, un'Europa completamente diversa da quella in cui erano nati e cresciuti. L'auspicata vittoria di Syriza - come quelle che speriamo seguiranno di Podemos e del Sinn Fein - unisce in questo conflitto l'Europa dei lavoratori, dei precari, dei disoccupati, ossia di un mondo del lavoro che è sempre più sfruttato e oppresso. Lo vediamo bene in Italia, dove non per caso l'attuale governo si dedica con un'incredibile tenacia alla lotta contro i lavoratori e i loro diritti.
Proprio la consapevolezza di far parte di un conflitto globale ci può aiutare. E in qualche modo anche "loro" ci temono, nonostante la sicumera con cui ci affrontano, nonostante la vicenda greca venga in queste ultime ore sottovalutata, proprio per far passare l'idea che si tratta di un problema interno di quei "pigri" dei greci. La Germania deve fare i conti con i segnali di un rallentamento della propria economia e una parte della destra comincia a riflettere e avanza l'ipotesi che per uscire dalla crisi siano necessari gli investimenti pubblici e un allentamento delle politiche di austerità. La stessa Bce farà probabilmente quello che fino ad ora le è stato impedito di fare, ossia acquistare titoli di stato, invece che continuare a finanziare le banche con denaro prestato a tassi ridicolmente bassi, che poi viene messo sul mercato delle famiglie e delle imprese, con ampi margini di lucro. Ormai tra i cittadini europei cresce la consapevolezza che il denaro per "salvare" la Grecia sia stato utilizzato soltanto per pagare gli interessi sul debito e quindi sia servito alle banche del Nord per ridurre le perdite su crediti che hanno distribuito, in maniera quantomeno disinvolta, ai paesi del Sud.
Le compagne e i compagni di Syriza non possono farcela da soli, proprio perché la loro è una battaglia europea, che passa attraverso il taglio del debito e un piano di investimenti pubblici, una sorta di new deal europeo.
Per questo servono a loro, servono a noi, una forte consapevolezza politica, una riflessione teorica sulla crisi del capitalismo e al contempo una capacità di movimento che certamente in Italia non abbiamo avuto - troppo persi in un dibattito di posizionamento tattico tra piccole sigle e nel rapporto con il partito che ha egemonizzato, con tutti i mezzi, il centrosinistra - una presenza capillare nel territorio, anche in maniera solidale, per aiutare quelli che non ce la fanno, quelli che rischiano di rimanere indietro, una velocità di mobilitazione che ci può offrire la rete, se la sappiamo usare, al di là degli appelli generici o di firme fatte in maniera automatica, sull'onda di uno sdegno momentaneo. Serve in sostanza un partito socialista, insieme antico e nuovo, antico nei valori e nuovo nelle forme con cui fa politica, con un'attenzione solidale che è anch'essa antica, perché fa parte della migliore tradizione della sinistra.
Lo dico senza polemica, perché credo sinceramente che in questa fase - come dice il mio amico Fausto - tutti siamo indispensabili, ma mi sembra che la nostra discussione sia incentrata troppo su chi debba essere il Tsipras italiano, mentre sarebbe più importante concentrarsi su quello che ciascuno di noi può fare per far nascere questo nuovo partito.
To μέλλον έχει όνομα. Αξιοπρέπεια. Δικαιοσύνη. Δημοκρατία. 
Il futuro ha un nome. Dignità. Giustizia. Democrazia.

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