mercoledì 3 dicembre 2014

Verba volant (146): pudore...

Pudore, sost. m.

Oggi sorridiamo a rileggere alcune delle parole che fino a pochi anni fa era proibito pronunciare durante una trasmissione della Rai: non si poteva dire amante, parto, vizio, verginità, talamo, alcova, amplesso ed erano assolutamente vietate anche espressioni, apparentemente innocenti, come membro del parlamento o in seno alla commissione. Era un'Italia bacchettona e moralista che non abbiamo motivi per rimpiangere, così come non rimpiangiamo gli esponenti di quella Dc, benché i loro epigoni - che oggi occupano posizioni di vertice in praticamente tutti i partiti dell'arco costituzionale - siano ben peggio di loro. E' cambiato il comune senso del pudore e probabilmente cambierà ancora, anche se è difficile immaginare una società dove le rappresentazioni del sesso siano più pervasive della nostra. 
Proprio perché ormai manca ogni senso del pudore, è sempre più faticoso guardare un telegiornale. Io ne guardo pochissimi, evito quelli che si dedicano esclusivamente alla cronaca e - come mi è già capitato di scrivere - non guardo un programma di cosiddetto approfondimento o un talk show da almeno quindici anni. Non è snobismo televisivo, perché la televisione la guardo e probabilmente guardo più trash-tv rispetto a voi: so esattamente quanti coltelli prevede l'offerta dello chef Tony, non mi perdo una replica di Man vs food e individuo al primo colpo gli autori dei quadri di Telemarket. E, se Zaira non è in casa, guardo anche i programmi sulla pesca sportiva, benché non sia mai andato a pescare in vita mia.
Però c'è una pornografia dell'informazione che detesto. Ricorderete che alcune settimane fa c'è stato un brutale attentato in una sinagoga di Gerusalemme: due terroristi hanno ucciso con i loro coltelli quattro rabbini e un poliziotto. Ci sarebbero state molte cose da raccontare su quell'episodio - anche senza voler approfondire le complesse vicende di quei popoli in guerra - proprio a partire dal modo scelto dagli attentatori per effettuare quella strage, un modo primitivo, barbaro, selvaggio. Su questo un giornalista serio avrebbe dovuto riflettere: le parole servono a questo, anche a raccontare l'orrore. Invece abbiamo ascoltato delle banalità mentre passavano sullo schermo le immagini, inquadrate in maniera morbosa ed insistente, del sangue delle vittime, in pozze, scie, gocce. E non una parola per spiegare perché quel sangue.
Che utilità ha, per completare l'informazione su questo recentissimo fatto di cronaca che ci ha colpito tutti, la foto degli slip del piccolo Loris, lasciati in un angolo di strada, che pure troviamo anche adesso sui principali siti on line? Capisco bene che quell'indumento sia una traccia, anche perché è apparsa solo adesso, a quattro giorni dalla scomparsa del bambino, ma ci sono le parole per raccontare questa storia, quell'immagine è inutilmente volgare. E credo che ciascuno di noi potrebbe portare degli esempi che l'hanno maggiormente colpito e disgustato.
Questa parola deriva dal latino, viene dal verbo difettivo pudere, che significa aver vergogna, anche se il suo significato originario era quello di non aver coraggio, mancare di ardimento, perché chi è pavido - ritorna la stessa radice - prova vergogna. Ovviamente non voglio discutere l'autorità etimologica del Pianigiani e capisco che questa sua definizione è sicuramente esatta, però vorrei per una volta ribaltare questa interpretazione. Bisogna trovare il coraggio di aver pudore, perché non si possono usare tutte le parole, in tutte le circostanze, solo perché siamo liberi di farlo. Non si può far vedere tutto, solo perché si è liberi di farlo o proprio trincerandosi dietro la libertà dell'informazione. Certo tu giornalista che indugi sul sangue del morto sei libero di esercitare il tuo diritto di cronaca, devi essere libero di farlo, ma dove va a finire la mia libertà? Noi a casa siamo costretti a vedere quel sangue, che non mi racconta nulla di più. Davvero in questo caso la mia libertà finisce quando comincia la tua.
E non è vero che le immagini siano necessarie a creare sdegno, a creare empatia verso le vittime. Quando leggi Niente di nuovo sul fronte occidentale impari ad odiare la guerra, senza vedere il sangue, senza vedere i cadaveri. E' la forza delle parole, è la forza della verità.
Diciamo le cose come stanno: queste immagini servono solo a solleticare la parte peggiore di noi, la nostra curiosità morbosa, il nostro voyerismo. Quando ero bambino i miei nonni avevano l'edicola, dove io passavo parecchio tempo, specialmente d'estate e dove - più grandicello - li aiutavo. Non so se sia ancora in vendita Cronaca vera, un settimanale laido, stampato in bianco e nero su una brutta carta, che aveva in copertina - sempre in bianco e nero - una donna seminuda e un titolo a grandi caratteri su un caso di cronaca efferata. Gli articoli di Cronaca vera erano un grondare di sangue, una serie ininterrotta di delitti spesso passionali, per lo più legati a vicende di sesso. Ricordo che raccontò anche il suicidio di mio zio, usando le iniziali, ed esasperando le circostanze di quell'episodio, mentendo in buona sostanza. Era un giornale che si vendeva naturalmente, anche se le persone un po' si vergognavano quando lo chiedevano. Probabilmente quegli articoli, letti adesso, risulterebbero meno pruriginosi, visto quello che c'è in televisione e nella rete. Per dire comunque che questa morbosità non è figlia della rete, c'è sempre stata, anche se l'anonimato di queste tecnologie la esasperano, oltre limiti accettabili. Non si tratta di cronaca, ma solo di un mezzo per vendere i giornali o, adesso, per far crescere gli ascolti. 
Un altro etimologista, il francese Delàtre, connette il verbo pudere al greco antico paidè, che significa infanzia, perché si tratta appunto di un sentimento naturale che nasce nel bambino, prima di diventare adolescente. Temo che i nostri figli non abbiano la fortuna di provare questo sentimento di pudore. Non glielo stiamo insegnando.

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