lunedì 17 novembre 2014

Verba volant (144): colpa...

Colpa, sost. f.

A pensarci si tratta di un curioso paradosso. L'Italia è un paese dalle innegabili e robuste radici cattoliche, molti di noi sono andati a catechismo, in tantissimi ogni domenica pronunciano le impegnative parole del Confiteor:
mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa...
battendosi per ben tre volte il pugno al petto, come per rafforzare questa assunzione di responsabilità. Eppure nessuno in questo paese ha mai la colpa. Di nulla.
Quando recitiamo quella preghiera, scomodando la Madonna, i santi, gli angeli e gli arcangeli, stiamo sul generico, ammettiamo sì di aver molto peccato, in pensieri, parole, opere ed omissioni, ma sotto sotto pensiamo che dopo tutto noi quella settimana non abbiamo fatto nulla per cui chiedere il perdono, non come quegli altri, che invece chissà cosa hanno combinato. Stando sul generale possiamo anche prenderci la colpa, discorso diverso quando si affronta una questione specifica, qui le cose si fanno un po' più complicate: quando si scende dalla teologia alla pratica i nodi si ingarbugliano.
Ad esempio di chi è la colpa se in questo paese ogni volta che viene a piovere rischiamo un'alluvione? Io non ho colpa, ci affrettiamo a dire; e con altrettanta prontezza snoccialiamo le colpe degli altri. Renzi ha detto che non è colpa sua e in fondo come dargli torto: è lì da nemmeno un anno. Ma non si è limitato a dire che non è colpa sua, ha detto che è colpa delle Regioni, un bersaglio piuttosto comodo, visto che ormai questi enti sono considerati il ricettacolo di ogni nequizia. Al che le Regioni in coro hanno risposto che non è colpa loro; in fondo sono le ultime arrivate del panorama istituzionale, c'erano ben prima i Comuni e financo le Province, quindi è colpa loro. Naturalmente Comuni e Province non ci stanno e danno la colpa allo Stato che non dà loro le risorse e così il ciclo ricomincia.
Poi c'è qualcuno - in genere quelli che abitano nelle zone alte della città, quelle non alluvionate - che dà la colpa a chi abita in quella casa costruita proprio sul letto del torrente, anzi sopra il torrente che è stato tombato per costruirci i garage. Non è colpa mia, dice il condomino - peraltro ancora arrabbiato perché l'acqua gli ha portato via l'automobile - io ho comprato da appena un anno, chiedete a chi c'era prima. E chi c'era prima vi racconterà i sacrifici fatti per acquistare quell'appartamento in città, vicino alla fabbrica, l'arrivo da un paese del sud insieme alla sua famiglia, il duro lavoro in officina, alla catena di montaggio, e vi spiegherà con che gioia finalmente sono riusciti a comprare quella casa, a cui adesso noi imputiamo la responsabilità dell'alluvione. Ci dice quindi di parlare con il costruttore che vi racconterà cosa è stato il boom economico, che richiesta di case c'era qui al nord, per tutti gli operai che lavoravano nelle fabbriche e vi spiegherà che ogni gru che si alzava rappresentava non solo un guadagno per lui, ma un motivo di orgoglio per l'intera città. Quindi vi dirà di chiedere al sindaco che nel frattempo, se non è morto, o ha fatto carriera o è stato arrestato, o tutte due le cose insieme, e lui vi dirà che era necessario costruire nuove case, perché le vecchie non bastavano più e perché erano buie, umide, troppo povere per la nuova Italia che stava nascendo. E poi quel sindaco vi dirà che lui è sempre stato eletto dai cittadini, sia da quell'operaio diventato a fatica proprietario di casa sia da quello che adesso critica, ma che allora si è costruito una piccola casa in collina, aggiungendo un paio di camere al rustico ereditato dal nonno, approfittando del condono edilizio di quell'anno.
Dovremmo finalmente avere il coraggio di dire che in questo paese non è mai fregato a nessuno della cementificazione, del disboscamento, del dissesto idrogeologico. L'Italia è stata massacrata in maniera sistematica nel secondo dopoguerra non da altri, ma da noi italiani, con il beneplacito - quando non la complicità - delle classi dirigenti. In alcuni casi c'è stato un intreccio criminale tra la politica e i costruttori, come ha testimoniato Francesco Rosi in Le mani sulla città, un film del 1963; sì sono passati cinquant'anni da quella storia e praticamente nulla è cambiato. In molti altri casi quell'intreccio non c'è stato, ma i risultati sono stati pressoché identici, perché era il modello di sviluppo ad essere sbagliato, nelle sue radici.
In Italia sono pochissime le persone che, in coscienza, possono dire che non è colpa loro, perché quella situazione l'hanno denunciata, perché vi si sono opposti, perché hanno fatto il possibile perché si cambiasse un modo di intendere lo sviluppo. Molti di più siamo i responsabili, migliaia di politici, di tecnici, di costruttori, milioni di elettori di quei politici, di persone che hanno lavorato per quei costruttori e così via. Adesso tutti ci lamentiamo, compresi quelli - anche in questo caso immagino si tratti di un numero elevatissimo - che hanno goduto di un qualche condono edilizio, ma nessuno è ancora disposto a dire che è colpa sua. E soprattutto nessuno - o quasi - domani è disposto davvero a cambiare strada.
E allora prepariamo i sacchi di sabbia, gli stivali di gomma e aspettiamo la prossima alluvione, tanto lo stato di calamità naturale non si nega a nessuno. L'importante non è prendersi la colpa.

1 commento:

  1. Non si pretende che i politici o le Istituzioni interessate se ne assumano la colpa, basterebbe che se ne assumessero, anche solo in minima parte la RESPONSABILITA'.

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