mercoledì 24 settembre 2014

Verba volant (128): minoranza...

Minoranza, sost. f.

Ricordo una sera di aprile del 1996: avevamo appena vinto le elezioni politiche e facemmo una grande manifestazione in piazza Maggiore. Da Granarolo eravamo andati in pullman, come al solito; in piazza incontrai un amico un po' più giovane di me - che adesso è il sindaco di Minerbio, bravo anche se del Pd - ci abbracciammo e uno di noi due disse: "finalmente abbiamo vinto". Non ricordo le parole esatte, ma il senso era proprio questo: abbiamo aspettato tanto, ma finalmente ce l'abbiamo fatta. Mio padre che era lì vicino, ci guardò, scuotendo la testa; anche in questo caso non ricordo le sue parole, ma il senso era chiaro: quelli della mia generazione possono dire di aver aspettato molti anni, voi è meglio che state zitti. Aveva ragione naturalmente.
In questo paese i comunisti - tra cui mio padre - erano una minoranza; certo erano moltissimi e ben organizzati, ma pur sempre una minoranza, consci e fieri di esserlo, ma non soddisfatti: volevano essere maggioranza.
Io, se faccio un bilancio della mia vita politica devo dire che, per lo più, sono stato in maggioranza, sia all'interno del partito sia nelle istituzioni; il fatto di aver vissuto in Emilia ha giocato oggettivamente a mio favore.
Nel partito sono stato in maggioranza non per opportunismo o per quieto vivere - c'erano anche questi naturalmente, e ci saranno sempre - ma perché ero convinto di quelle mie posizioni. Le volte che mi è capitato di essere in minoranza ho provato a convincere gli altri delle mie ragioni, come gli altri hanno provato a convincermi delle loro, ma poi mi sono adeguato alle decisioni dalla maggioranza. Si usava così allora; in genere ho fatto bene, perché quasi sempre il tempo ha dimostrato che avevano ragione loro. Comunque mi sentivo parte di una comunità di cui condividevo i valori e le idee di fondo, e soprattutto di cui mi fidavo; per cui ho fatto un po' meno fatica a fare quello che gli altri - la maggioranza appunto - dicevano. Quando ero in maggioranza ho provato - anche se non ci sono sempre riuscito, perché non è affatto facile - ad ascoltare le ragioni di quelli che erano in minoranza. Poi, per onestà, devo dire che esiste anche un opportunismo della minoranza: ci sono persone che hanno fatto carriera nel partito proprio perché minoranza e quindi in qualche modo garantite e salvaguardate, al di là del loro valore personale e politico.
Una delle cose che mi dà più fastidio nella politica di oggi è proprio questa sorta di dichiarata dittatura della maggioranza. Ovviamente non è solo un problema del Pd, anzi è qualcosa che è cominciato con Berlusconi, ma a cui il cosiddetto centrosinistra non ha saputo - o voluto - opporsi. Le riforme istituzionali hanno questo unico obiettivo: trovare un modo per definire nella maniera più veloce chi vince e lasciare a questo ogni potere. Il dibattito interno alle forze politiche è svilito: conta la maggioranza, contano i numeri, delle idee degli altri non sanno che farsene. Le cronache di questi giorni, con i toni sguaiati, le minacce, le dichiarazioni di fedeltà, gli anatemi scagliati contro chi non si allinea, bastano da sole a rendere evidente questa situazione.
Ed è qualcosa sempre più difficile da sopportare; almeno per quelli come me. Anche perché questa cosiddetta maggioranza è lo schermo di una minoranza, che ha le risorse per imporre agli altri le proprie idee, a qualunque costo e con qualunque mezzo.
Non so se posso definirmi comunista; sicuramente sono di sinistra e altrettanto sicuramente posso dire di essere in minoranza in questa società, proprio perché sono radicalmente di sinistra. A differenza della generazione di mio padre, noi non siamo né molti né ben organizzati. Tutt'altro. E neppure fieri, mi pare.
Poi una cosa che non ho mai amato è lo snobismo della minoranza. C'è una scena famosa di Caro diario. Nanni Moretti, mentre gira in Vespa per Roma, si ferma a un semaforo e quando arriva un altro su una decapottabile, scende e comincia a parlare:
Sa cosa stavo pensando? Io stavo pensando una cosa molto triste, cioè che io, anche in una società più decente di questa, mi troverò sempre con una minoranza di persone. Ma non nel senso di quei film dove c'è un uomo e una donna che si odiano, si sbranano su un'isola deserta perché il regista non crede nelle persone. Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone. Mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d'accordo con una minoranza...e quindi...
Scatta il verde, la decapottabile parte e Nanni rimane lì, con la sua frase a mezz'aria.
A me non hanno insegnato così. Forse neppure a Moretti. Poi ho un cattivo carattere, sono settario e fazioso e probabilmente non sono la persona più adatta per spiegare questa cosa, ma la politica è essenzialmente lo sforzo di parlare con tutti - anche in questa società indecente - per convincere gli altri della bontà delle nostre idee, ossia il cercare di farle diventare le idee della maggioranza. Anche partendo da un'esigua minoranza.
Ogni giorno però ce lo rendono sempre un po' più difficile.

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