venerdì 7 marzo 2014

Verba volant (72): bellezza...

Bellezza, sost. f.

Premetto che questa non è una recensione del film di Paolo Sorrentino. Non lo avevo visto al cinema, l’ho visto solo stasera, in televisione, martirizzato come al solito dalla pubblicità. Nei prossimi giorni, se vi interessa, vi dirò la mia opinione, un po’ più approfondita; per ora vi dico che non so se non mi sia piaciuto. Poi, ha vinto l’Oscar e chi vince ha sempre ragione.
In latino l’aggettivo bellus ha la stessa radice di bonus, e in qualche modo ne costituisce un antico sinonimo. Infatti dall’antica forma benus, equivalente di bonus, è stato tratto il diminutivo benulus, quindi benlus e infine bellus. Per gli antichi i due concetti sono sempre andati di pari passo. Gli antichi Greci coniarono infatti l’espressione kalokagathia per indicare l’ideale di perfezione umana; questo termine è la crasi degli aggettivi kalòs e agathòs, rispettivamente bello e buono. In sintesi è l’unità nella stessa persona di bellezza e di valore morale, partendo dall’idea che ciò che è bello deve necessariamente essere buono e, specularmente, ciò che è interiormente cattivo sarà anche fisicamente brutto. Si tratta di un’idea che ebbe particolarmente fortuna nelle arti, in letteratura e poi nel cinema. Solo per fare alcuni esempi, il Riccardo III di Shakespeare è moralmente ripugnante quanto il suo corpo è deforme e nell’età d’oro del cinema hollywoodiano gli eroi erano tutti belli.
Noi viviamo in un tempo in cui la bellezza è diventata una sorta di feticcio.
Nel settembre del 2009 stavo cercando un lavoro e mi capitava di scorrere quotidianamente, anche se con poche speranze, le varie offerte di impiego pubblicate in rete. Mi capitò di leggere questo annuncio:
Società seleziona ingegneri architetti bella presenza figure femminili. Società di consulenza di prestigio, centro storico Bologna, cerca figura professionale femminile (Ingegnere o Architetto) da inserire nel proprio organico.
In un primo momento sono passato oltre, non avendo evidentemente nessuna delle caratteristiche richieste dall’annuncio, poi mi è tornato in mente e mi sono arrabbiato. Molto. Ne scrissi allora sul mio blog - fu una delle mie prime “considerazioni libere” - e mi è capito in seguito di citarlo più volte.
Nella sua prosa asettica e convenzionale, questo annuncio è emblematico di tutti gli stereotipi sul ruolo della donna nella nostra società, su cosa gli uomini si aspettano dalle donne. Dovrebbe essere ovvio che un ingegnere o un architetto venga assunto in base alla competenza, al curriculum scolastico e universitario, alle precedenti esperienze professionali. E questo dovrebbe valere per qualsiasi altro lavoro. Poi sappiamo che in genere non è così, che è più facile essere assunti se qualcuno ci conosce o ci raccomanda: in fondo è un criterio anche per questo, per quanto poco commendevole e decisamente ingiusto.
Eppure di tutto questo non si fa menzione nel testo dell’annuncio - neppure per inciso - perché la selezione avviene tra donne e quindi il requisito unico richiesto è quello della bella presenza. Pensate come deve essere mortificante per una ragazza che ha raggiunto un traguardo difficile, come la laurea in ingegneria e in architettura (dove le cose bisogna saperle bene e non ci si può improvvisare con le parole, come tendiamo a fare noi laureati in filosofia) leggere che quel lungo e faticoso percorso viene valutato soltanto in base a quanto sono slanciate le sue gambe o quanto sono luminosi i suoi occhi. Naturalmente non deve esserci neppure lo stereotipo contrario, ossia non possiamo considerare poco preparata un’ingegnere solo perché ha un bel seno.
Evidentemente chi ha scritto quell’annuncio - credo sia un uomo - sapeva esattamente di cosa aveva bisogno per qualificare l’organico della “società di consulenza di prestigio“. Evidentemente i clienti di quella società, anch’essi sicuramente prestigiosi e uomini, preferiscono che i loro progetti di prestigio siano illustrati da ingegneri e architetti donne di bella presenza. Evidentemente tutti loro leggono riviste prestigiose, dirette in genere da uomini, in cui quasi per ogni pubblicità serve l’immagine di una bella donna (anche i pubblicitari sono in genere uomini). E’ la bellezza usata, sfruttata, comprata e venduta come un prodotto tra altri prodotti.
C’è una ricerca ossessiva di questa bellezza, sempre più uniforme e sempre più standardizzata. Questa ricerca c’è ovviamente anche tra gli uomini, ma è un fenomeno ormai preoccupante tra le donne. Credo nessuno di noi abbia nostalgia delle atlete dai tratti mascolini e dai muscoli minacciosi della Ddr e degli altri paesi del blocco sovietico, ma è difficile ormai non notare che tra le campionesse dello sport sembrano scomparse le donne che non si adattano a certi canoni estetici. Le cantanti liriche sembrano scelte spesso più per la loro avvenenza che per la qualità del canto. Le attrici, le cantanti e i personaggi televisivi tendono sempre di più ad assomigliarsi. Le giornaliste televisive sono sempre più belle, così come le donne che fanno politica. Io naturalmente non ho nulla contro le donne belle, ma il mondo è fatto in genere da persone - donne e uomini - normali. Di donne e uomini normali ci innamoriamo, per lo più ci sposiamo tra persone normali, a qualcuno normale capita di amare, riamato, una persona bella; sono le cose della vita. Una persona bella può essere intelligente o stupida, capace nel lavoro o fancazzista, e così via; esattamente come una persona che bella non è.
Inoltre questa ricerca parossistica della bellezza, oltre che essere mortificante, a volte rischia di finire nel ridicolo, basti pensare alle “maschere” di certe donne che non accettano che il loro viso invecchi e si sottopongono a cure invasive quanto pericolose.
C’è poi un tratto paradossale in questa nostra epoca, in cui la bellezza del corpo viene enfatizzata, cercata, costruita. Non abbiamo alcuna cura per la bellezza che c’è fuori. Noi viviamo in un paese bellissimo, eppure questa bellezza è tutti giorni stuprata da interventi che la snaturano, che la deturpano, che la sviliscono. Le bellezze - in questo caso sì, è lecito parlare di “grande bellezza” - della natura e dell’arte vengono vendute e svendute, mai considerate come un patrimonio da preservare e da trasmettere a chi verrà dopo di noi. In fondo però non è un paradosso: in tutti i casi, nella ossessiva ricerca della bellezza fisica e nell’incuria in cui lasciamo la bellezza naturale e artistica, emergono prepotenti i disvalori della nostra società: l’ossessione per il successo e l’apparire, l’avidità di ricchezza, la sete di potere.
Ha ragione Alessandro Bergonzoni:
Io sono per la chirurgia etica: bisogna rifarsi il senno.

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