mercoledì 8 gennaio 2014

Verba volant (46): limite...

Limite, sost. m.

La parola latina limes, limitis, indicava prima di tutto la via traversa - limes o licmes ha la stessa radice lic che ritroviamo ad esempio nella parola obliquo - e di seguito è passata ad indicare la via che fa da confine. I Romani infatti chiamarono limiti le pietre che segnavano i confini; queste pietre erano sacre e non potevano essere rimosse o spostate, in quanto erano poste sotto la protezione della dea Limite. Chi spostava o ignorava i confini perciò violava una legge divina e contravveniva alle norme degli uomini.
Anche noi, quando superiamo un limite, infrangiamo una regola, commettiamo una colpa, più o meno grave. A volte per questa colpa siamo sanzionati, molto spesso riusciamo ad evitare la pena, anche se la colpa rimane.
Una serie di limiti ci sono imposti dalle leggi, in una scala che va dai limiti di velocità ai dieci comandamenti. Molti di questi limiti non sono espressi chiaramente, ma non per questo sono meno cogenti: si tratta delle leggi non scritte, di cui parla Sofocle nell’Antigone. Proprio in nome di queste leggi non scritte, ossia delle leggi della natura, la sfortunata figlia di Edipo e di Giocasta può ribellarsi al re Creonte e violare le regole imposte da lui, perché queste leggi sono eterne e divine, superiori alle leggi degli uomini.
Spesso i limiti ce li imponiamo noi stessi; anche in questo caso dobbiamo fare di tutto per non superarli. Nella pratica di tutti i giorni spesso siamo indulgenti con noi stessi e troviamo ogni scusa per giustificarci e autoassolverci.
Ho deciso di definire questa parola perché in queste ore mi è capitato di leggere diversi commenti sulla malattia di Pier Luigi Bersani che hanno oggettivamente superato il limite. In molti gli hanno augurato la morte.
A me è successo alcune volte di superare questo limite. Recentemente ho pubblicamente gioito per la morte di Margaret Thatcher, perché era una nemica di classe. E so che non mi sarà facile resistere alla tentazione di fare lo stesso quando succederà a Berlusconi e a Napolitano, ossia a due personaggi, con cui non solo ho una profonda divergenza politica, ma di cui non ho nessuna stima umana. In casi come questi sarebbe meglio il silenzio.
La rete ha certamente contribuito a spostare il senso del limite, ma credo sia un alibi pericoloso dare tutta la colpa alla rete. Su questo tema sono molto d’accordo con una cosa che ha detto Stefano Rodotà:
Quello che è illegale offline lo è online.
Certo la rete è qualcosa da maneggiare con cura. Ad esempio dobbiamo evitare una possibilità che pure la rete ci offre, ossia quella di restare anonimi: dobbiamo metterci la firma e la faccia, sempre. Questo ovviamente non ci permette di superare ogni limite - molti dei messaggi contro Bersani erano firmati - ma almeno ci dovrebbe rendere consapevoli che, se lo facciamo, possiamo pagarne le conseguenze.
Come ho detto io cerco di porre dei limiti a quello che scrivo. Non sempre ci riesco, lo ammetto, ma credo sia fondamentale farlo. Anche se uso politicamente la rete, pur sotto i velami di un dizionario. Considero questi spazi un’opportunità importante, anche perché, fuori di qui, non ne rimangono molti.
Proprio per questo credo sia necessario definire delle regole, e quindi dei limiti, al di là di quello che ci impongono le leggi sulla libertà di stampa e di espressione. E pur senza cadere nell’errore di porci castranti autocensure, non dobbiamo usare un linguaggio che inneggia alla violenza. In nessuna occasione e contro nessuno. Né possiamo sfruttare momenti come una malattia. Diceva Talete di Mileto, l’iniziatore della filosofia greca:
Evita di fare quello che rimprovereresti agli altri di fare.
Può sembrare banale, eppure questo è il limite che dovremmo rispettare.
Anzi, proprio perché noi siamo più deboli, abbiamo interesse che le regole ci siano e che vengano rispettate. Dentro e fuori la rete.

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