giovedì 26 dicembre 2013

Verba volant (37): riposare...

Riposare, v. tr. e intr.

Questo è un verbo che ha un significato se usato come transitivo e ne ha un altro quando è intransitivo. A me interessa questo secondo uso; i colleghi della Treccani dicono che riposare significa:
cessare, smettere momentaneamente un’attività, e quindi sostare, prendere tregua per sollievo e ristoro fisico e psichico.
Il fatto di essere sufficientemente vecchio - io, a differenza dei miei amici più giovani, ricordo quando la scuola cominciava il 1° ottobre, sempre e in tutta Italia - e di aver passato l'infanzia e l'adolescenza in un piccolo paese del contado bolognese mi permette di rievocare un uso comune alle nostre famiglie.
Il sabato, quando si andava dal fornaio, si acquistava la "doppia", ossia il pane per il sabato e per la domenica. Perché la domenica i forni, così come tutti gli altri negozi, erano rigorosamente chiusi. Oggi la domenica il pane fresco lo trovi regolarmente: nei supermercati, nei locali "ibridi" bar-forno-pasticceria-pizzeria, sempre più presenti nelle nostre città e naturalmente dai fornai, che possono sostanzialmente aprire quando vogliono, grazie alla liberalizzazione degli orari e delle aperture.
Da consumatore naturalmente riconosco che poter andare a far spesa a qualsiasi ora e in qualunque giorno dell’anno è una grande comodità e ammetto che mi capita spesso di andare a comprare il pane - e non solo - la domenica, ma non riesco a considerare questa libertà un elemento di progresso. Mi rendo conto che quando faccio un discorso del genere rischio di apparire un vecchio barbogio, un laudator temporis acti, eppure credo che dovremmo riflettere su uno stile di vita che ci ha sostanzialmente negato il riposo e lo ha sostituito con il consumo. Tanto che i centri commerciali sono diventati uno dei luoghi del tempo libero delle famiglie.
Alla fine del 2009 la Corte costituzionale tedesca accolse il ricorso presentato dalle chiese cattolica ed evangelica contro la decisione di prevedere l’apertura dei negozi a Berlino durante le quattro domeniche di avvento, affermando che l’apertura domenicale è una violazione della Costituzione. I giudici avevano argomentato la loro decisione spiegando che la domenica deve essere considerata giornata del riposo dal lavoro, non solo per motivi religiosi, ma anche per permettere il recupero fisico e spirituale dei lavoratori e la loro partecipazione alla vita sociale.
Non so cosa sia successo effettivamente in questi anni nella capitale tedesca - magari qualche lettore di Verba volant me lo potrà dire - ma temo che sia stato trovato il modo di eludere questa sentenza, magari in nome della necessità di combattere la crisi, favorendo i consumi.
Sono convinto che le aperture domenicali non facciano aumentare i consumi, che rimangono più o meno gli stessi, venendo semplicemente spalmati su sette invece che su sei giorni. Le aperture domenicali tendono a favorire i grandi centri commerciali rispetto alla piccola e media distribuzione, ossia a favorire chi è è già più forte. Non aumentano i consumi delle famiglie e di conseguenza non aumenta l’occupazione - come invece sostengono le grandi catene - e in più i lavoratori e le lavoratrici sono costretti a turni massacranti.
Molti di loro da metà novembre fino alla Befana lavorano tutti i giorni festivi, escluso i giorni di Natale e Capodanno, e questo sicuramente non aiuta l’equilibrio di una famiglia. E alcuni centri commerciali sono già aperti anche il 25 dicembre. Nel nostro paese le liberalizzazioni si sono trasformate in una forma di federalismo commerciale esasperato, in cui ogni Comune decide per conto proprio, e quindi liberalizzazione è diventato sinonimo di deregolamentazione.
Nell’ultima novella della raccolta Marcovaldo o le stagioni in città, intitolata I figli di Babbo Natale, Italo Calvino scrive:
Tutti erano presi dall’atmosfera alacre e cordiale che si espandeva per la città festosa e produttiva; nulla è più bello che sentire scorrere intorno il flusso dei beni materiali e insieme del bene che ognuno vuole agli altri.
Era il 1963. I grandi scrittori sanno essere profetici. Credo dovremmo cominciare a ripensare a questo nostro stile di vita e a questa idea di sviluppo, magari dando proprio maggior valore al nostro riposo.

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