martedì 5 novembre 2013

Verba volant (4): ripresa...

Ripresa, sost. f.

Sono parole come ripresa che mettono in difficoltà noi autori di dizionari: non sappiamo da che parte cominciare. E soprattutto come finire.
Ho subito capito di avere soltanto due possibilità: o rinunciare a scrivere questa definizione, certo che non se ne sarebbe accorto nessuno di voi, visto che sto andando a casaccio nella scelta delle parole, oppure raccontare una storia, una sorta di novella esemplare, qualcosa tipo Esopo per intenderci, con la relativa morale. Ho scelto evidentemente questa seconda strada.
La storia non è mia, l’autore è il grande Chuck Jones; forse ho travisato qualche particolare, ne ho dimenticato qualcuno e ho inventato qualche altro, ma l’essenziale c’è.
Il paesaggio è quello tipico dei film western: deserto, canyon, qualche sparuto cactus; entra in scena Wile E. Coyote, tenendo in mano una latta di vernice e un pennello (lo dico agli amici renziani: non c’entra niente il “grande pennello” del vostro capo; quella è un’altra storia). Con pazienza e in silenzio, disegna per terra i bordi di una strada – il sogno proibito di ogni sindaco in campagna elettorale – fino ad arrivare a una roccia che si alza in verticale, liscia e ripidissima, come solo in Arizona se ne trovano.
Qui c’è il colpo di genio: il coyote con perizia disegna l’imbocco di una galleria. Il piano è semplice e perfetto. Beep Beep arriverà alla sua solita velocità, incurante di qualsiasi limite, crederà di entrare nella galleria e invece SBAM!!!: stavolta Wile non può fallire. Ha appena finito di dare la vernice, di completare la sua opera d’arte – il tocco è il puntino bianco nel mezzo, il segno che quella è una vera galleria, con l’uscita là in fondo – quando ecco avvicinarsi il fastidioso verso del pennuto corridore; il coyote si nasconde dietro un masso, pregustando già la scena – e la cena.
Beep Beep arriva alzando una nuvola di polvere e, naturalmente senza rallentare, entra nella galleria. Il suo verso si perde lontano, mentre ricade a terra anche la polvere sollevata dalle sue stizzose zampette. Potete immaginare lo stupore del predatore: esce dal suo nascondiglio, osserva la finta galleria in cui è entrato, incurante di ogni legge fisica, l’odiato volatile, tocca la parete di roccia, ovviamente durissima e impenetrabile. Prova a darsi una qualche spiegazione razionale: senza successo. Si arrende, dà un calcio a un sasso e decide di andarsene, commettendo l’errore, fatale, di dare le spalle alla galleria, da cui, proprio in quel momento esce, anch’esso senza rispettare i limiti di velocità, il grosso camion che lo investe.
Ecco la ripresa è più o meno così. Ci dicono che sta per arrivare, che c’è la luce in fondo al tunnel – oggi buoni ultimi sono stati i fantomatici tecnici del Tesoro a dare l’atteso annuncio. Ma poi, immancabilmente, siamo investiti da un grosso camion; l’unica differenza con il coyote è che noi sappiamo benissimo chi lo guida quel maledetto camion, gli abbiamo perfino dato le chiavi.
Eppure ha proprio ragione Eugenio Finardi: siamo tutti come Wil Coyote.

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