sabato 12 gennaio 2013

Considerazioni libere (331): a proprosito di debiti da pagare...

Come ho scritto più volte, temo che il prossimo governo sarà "montiano", indipendentemente da come andranno le elezioni. A tutt'oggi mi pare che ci siano solo due esiti possibili: o un governo Bersani (con un presidente della Repubblica "montiano"), se vincesse il Pd sia alla Camera che al Senato, o un governo Monti (con un presidente della Repubblica del Pd di "rito montiano") se il Pd vincesse solo alla Camera. Scenari evidentemente non entusiasmanti, ma comunque meno tragici di una situazione in cui dovesse rientrare in gioco la destra populista e lepenista guidata da B.: il pericolo non è ancora scongiurato - temo - perché c'è un'Italia che ha paura del nuovo e che preferirebbe ancora rifugiarsi nella conservazione sociale assicurata da questa destra antieuropea, razzista e omofoba.
Al di là dei nomi, il prossimo governo sarà "montiano", perché così è stato deciso a larga maggioranza nella fase finale di questa legislatura, che ha avuto davvero un carattere costituente. A partire dall'esercizio finanziario relativo all'anno 2014 entrerà in vigore il nuovo art. 81 della Costituzione, che impone il vincolo del pareggio di bilancio e l'impossibilità di contrarre debiti. Inoltre il parlamento ha ratificato il cosiddetto trattato sulla stabilità fiscale, imposto al nostro paese dalle autorità finanziarie internazionali e in particolare dalla Bce di Mario Draghi, in cambio dell'acquisto dei nostri titoli di stato e quindi della messa sotto controllo del debito pubblico, ossia il meccanismo che ha permesso a Monti di fingere di aver ridotto lo spread. L'art. 4 del trattato prescrive che "quando il rapporto tra il debito pubblico e il prodotto interno lordo di una parte contraente supera il valore del 60% [...] tale parte contraente opera una riduzione a un ritmo medio di un ventesimo all'anno". Questo trattato è già in vigore, ma in base a un precedente regolamento del Consiglio, l'inizio della riduzione del debito comincerà soltanto nel 2015. Con queste premesse è chiaro su quale linea si dovrà muovere il prossimo governo.Facciamo due conti: il pil è circa 1.650 miliardi, per cui il 60% è intorno a 1.000 miliardi. Il nostro debito è poco più del doppio di questa cifra, miliardo più, miliardo meno. Quindi per far scendere il debito all'obiettivo del 60% del pil lo si dovrebbe ridurre di 50 miliardi l'anno per venti anni. L'obiettivo è forse raggiungibile, a patto di spingere nella miseria tre quarti della popolazione italiana e di assicurare la povertà ad almeno due generazioni. Come è evidente a ciascuno di noi che tiene i conti della propria famiglia e magari ha un mutuo, per ripagare un debito a lunga scadenza in rate annuali è necessaria una condizione: il debitore, al netto di quanto spende per il proprio sostentamento, ogni anno - e per tutti gli anni previsti dal contratto di mutuo - deve avere delle entrate sufficienti per coprire ciascuna delle rate del debito. Nel caso dell'Italia questa condizione essenziale non esiste. Anche perché il debito non smette di crescere: al tasso medio del 4% gli interessi aumentano di circa 80 miliardi l'anno, in una spirale di cui è difficile vedere la fine.
Naturalmente gli apprendisti stregoni dell'ultraliberismo spiegano che non c'è nulla di cui preoccuparsi. Nella stessa agenda Monti è scritto che il raggiungimento di un discreto avanzo primario ha già permesso di ridurre la spesa degli interessi di 5 miliardi. L'ulteriore riduzione dello spread, la dismissione di grosse quote di patrimonio dello stato, la drastica riduzione della spesa pubblica garantiranno la tenuta dei conti. E naturalmente non mancano gli astrologhi di corte pronti a prevedere che alla fine del 2013 arriverà la crescita. Al di là di queste fauste previsioni, la crescita non ci sarà, la vendita di beni pubblici sarà un flop (o almeno favorirà soltanto gli "amici degli amici" che potranno comprare a prezzi stracciati quello che il governo metterà in vendita) e quindi si dovrà continuare a tagliare, colpendo prima le fasce più deboli della società e quindi il ceto medio. In questo caso non occorre fare previsioni, basta vedere quello che sta già succedendo in Grecia, dove questo percorso "virtuoso" è cominciato da qualche anno.
Una famiglia in cui le uscite sono sistematicamente maggiori delle entrate è destinata a non sopravvivere, un'azienda nelle stesse condizioni fallisce, uno stato deve trovare una soluzione diversa. Bisognerebbe partire da una tesi alternativamente opposta a quella che sta alla base dell'agenda Monti: il nostro paese non è in grado di pagare un debito così alto.
A livello internazionale qualcuno comincia a pensarci, perfino in uno dei templi della finanza internazionale, il Fmi. Negli Stati Uniti il capitolo 11 del diritto fallimentare di quel paese prevede un meccanismo di bancarotta ordinata per gli enti locali nell'ambito del sistema federale. Il problema, sollevato dal Fondo monetario, è che manca un diritto fallimentare internazionale. Sul modello degli Stati Uniti bisognerebbe creare uno strumento attraverso cui il paese insolvente possa azionare in maniera unilaterale una qualche forma di moratoria e convocare tutti i creditori, pubblici e privati, per rinegoziare il debito.  
A dire il vero nel caso dell'Italia la soluzione potrebbe essere anche più semplice. La Bce ha prestato, in tempi diversi - ad esempio tra novembre 2011 e febbraio 2012 - migliaia di miliardi alle banche a un tasso favorevolissimo dell'1%. E queste ultime comprano i titoli del debito dagli stati, con interessi tripli o quadrupli. A questo punto è un meccanismo che deve essere interrotto: occorre abrogare l'art. 123 del trattato che vieta alla Bce di prestare denaro direttamente agli Stati. Se la Bce prestasse i 1.000 milairdi che ci mancano a un interesse dell'1% si potrebbe cominciare a rimettere in sesto i conti pubblici; questo naturalmente provocherebbe una forte diminuzione di guadagni per le banche, ma probabilmente questo non dovrebbe essere una priorità per il governo di un paese sull'orlo del fallimento.
Naturalmente in campagna elettorale è più facile parlare di Imu, è più facile promettere di ridurla o di rimodularla o di toglierla del tutto, ma sarebbe molto più interessante per noi capire cosa propongono i partiti su questo tema cruciale del debito. Il resto è maquillage.

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