giovedì 19 aprile 2012

Considerazioni libere (281): a proposito di un film che non è solo un film...

Aspettavo con passione civile e con curiosità cinefila il film di Marco Tullio Giordana sulla strage di piazza Fontana. Questa attesa non è stata delusa: Romanzo di una strage è un bel film, ben girato e interpretato con intensità da tutti gli attori; dopo questo film sarà quasi impossibile non associare Giuseppe Pinelli al volto di Pierfrancesco Favino. Al di là di ogni possibile riserva - io ne farò qualcuna nel corso di questa "considerazione" - dobbiamo essere grati al regista di aver accettato questa questa sfida e di aver raccontato una storia che allo stesso tempo - e paradossalmente - è troppo lontana e troppo vicina. Per una parte di questo paese, in particolare per tutti quelli che sono nati dopo la strage, si tratta di un episodio lontano, dai contorni confusi, un fatto con nessuna conseguenza e nessun legame con quello che succede ai nostri tempi. Nelle interviste in cui ha presentato il film, Giordana ha giustamente ricordato che, durante una ricerca svolta alcuni anni fa tra i ragazzi che frequentano le medie superiori a Milano, il 43% ha detto che la strage è opera delle Brigate rosse, il 38% della mafia, il 25% degli anarchici. Speriamo che questo film possa servire almeno a evitare gli errori più grossolani e anacronistici. Per la maggioranza della nostra cosiddetta classe dirigente - intesa nel senso più largo possibile e quindi politici, funzionari dello stato, imprenditori, giornalisti - la strage di piazza Fontana è un episodio ancora vivo, perché, nella nostra società sclerotizzata e gerontocratica, la classe dirigente in questi quarant'anni è cambiata davvero ben poco. Io ho cominciato a riflettere su quell'episodio attraverso le parole di Pier Paolo Pasolini, quel celebre articolo che comincia con "Io so". Grazie a Pasolini anche noi abbiamo potuto dire che sappiamo chi sono i responsabili di quella e delle altre stragi.
Giordana e i suoi sceneggiatori tentano un'operazione ambiziosa, di fornire una versione di quella vicenda che possa servire a pacificare e unire il paese. Su questo obiettivo si è speso con grande autorevolezza il presidente Napolitano, con parole importanti e non retoriche e soprattutto con il gesto di invitare alla giornata dedicata alle vittime del terrorismo Gemma Calabresi e Licia Pinelli, riconoscendo quindi che i loro mariti sono stati le ultime due vittime di quella strage. Il film, fin da una delle prime scene, mostra quelli che poi si cominciarono a chiamare gli "opposti estremismi". Poco prima che venga ucciso l'agente Annarumma il giornalista Marco Nozza dice a Luigi Calabresi - cito a memoria e quindi scusate se le parole non sono esatte: "oggi c'è una brutta aria, tutti troppo eccitati, voi e loro". Nelle scene successive sia Pinelli che Calabresi mostrano di non voler accettare questo clima di violenza; su questo idem sentire si costruisce il loro rapporto di reciproca stima. Per la cronaca lo scambio di libri tra i due c'è stato, anche se non si è svolto a Natale né in una libreria Feltrinelli. Calabresi regalò a Pinelli Mille milioni di uomini, quando ancora in questura a Milano speravano di "coltivare" un possibile informatore, e l'anarchico ricambiò con l'amato libro di Edgar Lee Masters*.
Nel film ci sono molti personaggi positivi: Aldo Moro, il colonnello dei carabinieri Alferano che conduce le "indagini parallele", il giudice Paolillo, i magistrati veneti Calogero e Stiz, perfino Saragat che, in uno dei sottofinali, pare pentirsi della tentazione di voler accettare - se non di aver auspicato - una svolta autoritaria, in nome della superiore fedeltà democratica. Visto che i "buoni" sono tanti si fatica a capire come mai abbiano perso. L'insistenza sulla figura di Moro è una delle forzature del film; appare fin dall'inizio, già presago delle sventure che capiteranno all'Italia e anche della sua tragica morte. Non è mai una persona, ma sempre un personaggio, lo sguardo dolente, gli occhi rivolti al cielo; eppure ben immerso nelle cose terrene, lo si vede ricevere rapporti segreti dei carabinieri - a che titolo un ministro degli esteri ha una sorta di servizio segreto personale? - e soprattutto, nel sottofinale già citato del pentimento di Saragat, è Moro che elabora e giustifica la teoria che a quel punto occorra coprire tutto con una coltre d'oblio, profezia che peraltro si è perfettamente avverata.
Il film cade nei dialoghi di fantasia, mentre è perfetto quando racconta episodi veri, come la conferenza stampa del questore Guida dopo la morte di Pinelli, un episodio da vedere e rivedere. L'altro dialogo di fantasia, oltre a quello tra Moro e Saragat, che non regge è quello tra Calabresi e Federico Umberto D'Amato, il "capo" dell'ufficio affari riservati del ministero dell'interno. Qui c'è la riserva più forte che ho da fare al film; siamo praticamente alla fine, Calabresi sta per essere ucciso - e noi lo sappiamo - dopo aver svolto delle indagini private che lo hanno portato a elaborare una teoria: quel 12 dicembre sarebbero scoppiate due bombe, una messa dagli anarchici a scopo dimostrativo, che sarebbe dovuta esplodere nella banca chiusa senza fare vittime, e una messa dagli estremisti di destra, con la complicità di uomini dei servizi, per uccidere, facendo ricadere la colpa sugli anarchici. Il film quindi finisce, chiudendo il cerchio sulla tesi degli "opposti estremismi". Giordana e i suoi sceneggiatori devono questa tesi - che è avallata nel film dal fatto da essere pronunciata da un "eroe" in un momento drammaturgicamente saliente - da un libro di Paolo Cucchiarelli. Il giornalista sostiene tre tesi: l'ipotesi delle due bombe di diversa matrice, il coinvolgimento di Giuseppe Pinelli negli attentati degli anarchici, anche precedenti a piazza Fontana, la presenza di Calabresi nel suo ufficio quando morì l'anarchico. Giordana, per rispettare l'idea di fondo del film, ossia la pacificazione, accoglie solo la prima ipotesi. Adriano Sofri ha scritto un libro, una sorta di istant e-book, intitolato 43 anni, pubblicato in rete e scaricabile gratuitamente. Spero lo leggerete e che leggerete anche La notte che Pinelli edito da Sellerio; la tesi del raddoppio delle bombe, degli attentatori, dei due taxi, è una forzatura che sfida logica e buon senso.
Il film, al di là di questo punto specifico, è prezioso per molte ragioni, ma soprattutto perché ci offre alcuni immagini "illuminanti" di quei mesi. Dà i brividi vedere la faccia di Marcello Guida e pensare che quella persona, già vicedirettore della colonia penale fascista di Ventotene, nel '69 era questore a Milano. Dà i brividi vedere che in quella questura si muoveva con un'autorità indefinita un emissario dell'ufficio affari riservati, un'assoluta anomalia istituzionale. Dà i brividi vedere un uomo dei servizi segreti, Guido Giannettini, che va a organizzare le azioni dei gruppi neofascisti veneti. Dà i brividi vedere Junio Valerio Borghese, persona che in un altro paese sarebbe stata in carcere, aspettare che il governo decreti lo stato d'emergenza, perché evidentemente qualcuno glielo aveva garantito. Dà i brividi vedere quanti fascisti e quanti uomini dei servizi erano infiltrati nei gruppi anarchici.
Il 12 dicembre non fu un episodio drammatico dello scontro tra destra e sinistra. L'Italia stava crescendo, stava cambiando in profondità, socialmente e culturalmente, prima ancora che politicamente; certo erano significativi i progressi elettorali del Pci, così come la crescita della coscienza operaia all'interno delle fabbriche, ma ancora più importanti erano i cambiamenti e i progressi della società. All'inizio del film Borghese arringa un'adunata fascista e significatrivamente proclama che il pericolo non viene tanto dai rossi quanto dalle donne che vogliono il divorzio, dai preti che vogliono sposarsi, dai giovani che contestano l'autorità dei loro insegnanti. Allora sì il paese era più avanti delle classi dirigenti, i notabili democristiani come Rumor, i relitti del fascismo come D'Amato e Guida; ora purtroppo il paese non è più avanti, ma cammina testa a testa, in una continua sfida al ribasso, con la propria classe dirigente, ma questa è un'altra storia. Questo straordinario cambiamento sociale era ormai avviato, sembrava inarrestabile, toccava larghi settori della società, e allora forze potenti si misero in moto per fermare questo cammino. C'era chi voleva tornare del tutto indietro, chi pensava che in Italia potesse succedere quello che era avvenuto in Grecia e fecero tutto quello che era in loro potere per farlo. In diverse momenti fummo vicinissimi al colpo di stato, ma in Italia il Pci era troppo forte e, in fondo, i vecchi democristiani, con tutto i loro difetti, non vollero davvero arrivare fino in fondo e preferirono fermarsi prima dell'abisso, perché c'erano valori in cui credevano con sincerità, al di là di ogni retorica. E poi c'era una società, fatta di donne e di uomini, di persone più o meno impegnate in politica, di vecchi e di giovani, che sapeva mobilitarsi: tra le immagini più belle del film ci sono quelle, vere, del funerale delle vittime. Scrive, con un po' di retorica, il cronista del Corriere il il 16 dicembre 1969, ma in simili occasioni anche la retorica è importante:
Fra le decine di migliaia di persone che gremivano il sagrato e la piazza gelida bagnata, c’erano gli operai in tuta blu con il nome della ditta cucito sul petto, fraternamente accanto ad altri uguali operai, in uniforme, agenti e carabinieri. C'erano studenti colmi di questa e quella dottrina, c'erano vecchine e ragazze vestite come vuole la buffa moda, contestatori e borghesi, poveri e ricchi, moderati ed estremisti di tutte le frange di destra e di sinistra. C'erano gli avversari di ieri e forse di domani. Non di oggi. Oggi era giorno di dolore, di preghiera, non di passioni.
Si lottò ancora molto, e molti morirono, a Milano e in tutta Italia. Ma la cosa peggiore non successe, anche perché ci fu quella risposta popolare.

* L'Antologia di Spoon river ritorna drammaticamente nella vita di Pinelli. Il pomeriggio del 12 dicembre Pinelli, dal circolo Ponte della Ghisolfa, scrive una lettera a un compagno trentino, Paolo Faccioli, in carcere per gli attentati di quell'anno. E' una sorta di "testamento" di Pinelli:
Caro Paolo,
rispondo con ritardo alla tua, purtroppo tempo a disposizione per scrivere come vorrei ne ho poco: ma da come ti avrà spiegato tua madre ci vediamo molto spesso e ci teniamo al corrente di tutto. Spero che ora la situazione degli avvocati si sia chiarita. Vorrei che tu continuassi a lavorare, non per il privilegio che si ottiene, ma per occupare la mente nelle interminabili ore; le ore di studio non ti sono certamente sufficenti [sic] per riempire la giornata.
Ho invitato i compagni di Trento a tenersi in contatto con quelli di Bolzano per evitare eventuali ripetizioni dei fatti. L’anarchismo non è violenza, la rigettiamo, ma non vogliamo nemmeno subirla: essa è ragionamento e responsabilità e questo lo ammette anche la stampa borghese, ora speriamo che lo comprenda anche la magistratura. Nessuno riesce a comprendere il comportamento dei magistrati nei vostri confronti.
Siccome tua madre non vuole che ti invii soldi, vorrei inviarti libri, libri non politici (che me li renderebbero) così sono a chiederti se hai letto Spoon River, è uno dei classici della poesia americana, per altri libri dovresti dirmi tu i titoli. Qua fuori cerchiamo di fare del nostro meglio, tutti ti salutano e ti abbracciano, un abbraccio in particolare da me ed un presto vederci.
Sulla tomba di Pinelli c'è una poesia di Masters, l'epitaffio di Carl Hamblin.


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