domenica 18 marzo 2012

da "Indirizzo del consiglio generale dell’Associazione Internazionale dei lavoratori" di Karl Marx

All’alba del 18 marzo, Parigi fu svegliata da un fragore di tuono: "Vive le Commune!". Che cos’è dunque la Comune, questa sfinge che tormenta così seriamente lo spirito dei borghesi?
"I proletari di Parigi - diceva il Comitato centrale nel suo manifesto del 18 marzo - in mezzo alle disfatte e ai tradimenti delle classi dominanti hanno compreso che è suonata l’ora per essi di salvare la situazione prendendo nelle loro mani la direzione degli affari pubblici... Il proletariato... ha capito che era suo dovere imperioso e suo diritto assoluto prendere nelle sue mani il proprio destino, e di assicurarsene il trionfo impadronendosi del potere".
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La Comune fu la diretta antitesi all’Impero. Il grido di "Republique sociale", col quale il proletariato di Parigi aveva iniziato la rivoluzione di Febbraio non esprimeva che una vaga aspirazione ad una Repubblica che non avrebbe dovuto eliminare solamente la forma monarchica del dispotismo di classe, ma lo stesso potere di classe. La Comune fu la forma positiva di questa Repubblica.
Parigi, sede centrale del vecchio potere governativo, e, nello stesso tempo, fortezza sociale della classe operaia francese, era balzata in armi contro il tentativo di Thiers e dei suoi rurali di restaurare e perpetuare il vecchio potere governativo ereditato dall’Impero. Parigi poteva solamente resistere perché, in conseguenza dell’assedio, si era sbarazzata dell’esercito e lo aveva sostituito con una guardia nazionale, la cui massa era costituita da operai. È questo stato di fatto che doveva, ora, essere trasformato in un’istituzione permanente. Il primo decreto della Comune, quindi, fu la soppressione dell’esercito permanente, e la sua sostituzione con il popolo in armi.
La Comune fu composta da consiglieri municipali, eletti a suffragio universale nei diversi circondari di Parigi. Essi erano responsabili e revocabili in qualunque momento. La maggioranza dei suoi membri erano naturalmente operai o rappresentanti riconosciuti della classe operaia. La Comune non doveva essere un organismo parlamentare, ma un organo di lavoro esecutivo e legislativo nello stesso tempo.
Invece di continuare ad essere lo strumento del governo centrale, la polizia fu immediatamente spogliata delle sue attribuzioni politiche e trasformata in strumento della Comune, responsabile dinanzi ad essa e revocabile in qualunque momento. Lo stesso venne fatto per i funzionari di tutte le branche della amministrazione. Dai membri della Comune fino ai gradi subalterni, le pubbliche funzioni venivano retribuite con salari da operai. I diritti acquisiti e le indennità di rappresentanza degli alti funzionari dello Stato scomparvero con i funzionari stessi. Le cariche pubbliche cessarono di essere proprietà private delle creature del governo centrale. Non solo l’amministrazione municipale, ma tutte le altre iniziative fino allora esercitate dallo Stato passarono nelle mani della Comune.
Una volta abolito l’esercito permanente e la polizia, strumenti di potere del vecchio governo, la Comune si preoccupò di spezzare la forza di repressione spirituale, il potere dei preti; decretò la separazione della Chiesa e dello Stato disciogliendo ed espropriando tutte le chiese in quanto ordini possidenti. I sacerdoti furono restituiti al tranquillo riposo della vita privata, per vivere delle elemosine dei fedeli, ad imitazione dei loro predecessori, gli apostoli. La totalità degli istituti di istruzione furono aperti gratuitamente al popolo e liberati in pari tempo da ogni ingerenza della Chiesa e dello Stato. Così non solo l’istruzione fu resa accessibile a tutti, ma la scienza stessa fu liberata dalle catene che le erano state imposte dai pregiudizi di classe e dal potere governativo.
I funzionari della giustizia vennero spogliati di quella finzione di indipendenza che non era servita ad altro che a mascherare la loro vile sottomissione a tutti i vari governi che si erano alternati al potere ai quali, di volta in volta, avevano prestato giuramento di fedeltà per violare in seguito tale giuramento. Come gli altri funzionari pubblici, i magistrati e i giudici dovevano essere elettivi, responsabili e revocabili.
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La classe operaia non attendeva miracoli dalla Comune. Essa non ha utopie belle e pronte da introdurre per décret du peuple. Sa che per realizzare la propria emancipazione, e con essa quella forma di vita più elevata alla quale tende irresistibilmente la società odierna per la sua stessa struttura economica, essa dovrà passare attraverso lunghe lotte, per tutta una serie di processi storici che trasformeranno completamente le circostanze e gli uomini. La classe operaia non ha da realizzare ideali, ma soltanto liberare gli elementi della nuova società dei quali è gravida la vecchia società in via di disfacimento. Pienamente cosciente della sua missione storica e con l’eroica decisione di agire in tal senso, la classe operaia può permettersi di sorridere alle grossolane invettive dei signori della penna e dell’inchiostro, servi senza aggettivi, e della pedantesca protezione dei dottrinari borghesi di buoni propositi che diffondono la loro insipida ignoranza e le loro ostinate idee fisse col tono oracolare dell’infallibilità scientifica.
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La Comune aveva perfettamente ragione di dire ai contadini: "La nostra vittoria è la vostra sola speranza!". Di tutte le menzogne escogitate a Versailles e riprese come un’eco dai gloriosi pennaioli d’Europa a un soldo la riga, una delle più mostruose fu che i rurali dell’Assemblea nazionale rappresentassero i contadini francesi. È sufficiente pensare all’amore del contadino francese per gli uomini a cui, dopo il 1815, aveva dovuto pagare un miliardo di indennità. Agli occhi del contadino francese, l’esistenza stessa di un grande proprietario fondiario è di per sé stessa una violazione delle sue conquiste del 1789. I borghesi, nel 1848, avevano imposto al suo piccolo pezzo di terra la tassa addizionale di 45 centesimi per franco; ma allora l’avevano fatto in nome della rivoluzione; mentre ora avevano fomentato una guerra civile contro la rivoluzione, per far ricadere sulle spalle del contadino il peso maggiore dei 5 miliardi di indennità da pagarsi ai prussiani.
La Comune, d’altra parte, in uno dei suoi primi proclami dichiarava che le spese della guerra dovevano essere pagate da quelli che ne erano stati i veri artefici. La Comune avrebbe liberato il contadino dall’imposta del sangue; gli avrebbe dato un governo a buon mercato; avrebbe trasformato le sue attuali sanguisughe, il notaio, l’avvocato, l’usciere e gli altri vampiri giudiziari, in agenti comunali salariati, da lui eletti e davanti a lui responsabili. Essa lo avrebbe liberato dalla tirannia della guardia campestre, del gendarme e del prefetto; avrebbe sostituito l’istruzione del maestro di scuola al posto dell’istupidimento ad opera dei preti. E il contadino francese è, al di sopra di tutto, uomo di calcolo. Egli avrebbe trovato assolutamente ragionevole che la retribuzione dei sacerdoti, invece di essere estorta dagli agenti delle imposte, dipendesse solo dall’azione spontanea degli istinti religiosi dei parrocchiani. Questi erano i grandi benefici immediati che il governo della Comune - ed esso soltanto - offriva in prospettiva ai contadini francesi. È quindi del tutto superfluo dilungarsi qui sugli altri problemi concreti più complessi, ma di vitale importanza, che solo la Comune era in grado di risolvere e nello stesso tempo, era costretta a risolvere in favore del contadino, come per esempio quello del debito ipotecario, che pesava come un incubo sul suo piccolo appezzamento di terra; quello del proletariato rurale che cresceva di giorno in giorno per tale ragione, e della sua espropriazione che avviene ad un ritmo sempre più rapido in conseguenza dello stesso sviluppo dell’agricoltura moderna e della concorrenza dell’azienda agricola capitalista.

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