lunedì 16 gennaio 2012

"Martinica" di Rosa Luxemburg

articolo del 15 maggio 1902, apparso su "Leipziger Volkszeitung"; l’8 maggio del 1902, sull’isola della Martinica vi fu l’eruzione del vulcano Mont Pelée, che distrusse la città di St. Pierre, uccidendo quasi tutti gli abitanti

Montagne di rovine fumanti, cumuli di corpi straziati, un mare di fuoco sprigionante vapori e fumante tutt’intorno, fango e ceneri – questo è tutto ciò che rimane della piccola fiorente città appollaiata sul fianco roccioso del vulcano come una rondine che sbatte le ali. Per qualche tempo si era udito il gigante irato rimbombare e infuriare contro questa umana presunzione, la cieca sicumera dello gnomo a due gambe. 
Magnanimo anche nella sua collera, un vero gigante, egli aveva messo sull’avviso le creature sconsiderate che strisciavano ai suoi piedi.. Egli aveva sbuffato, eruttando le sue nuvole infuocate, nel suo petto s’agitava un magma ribollente, esplosioni come raffiche di fucile e rombi di cannone.
Ma i signori della terra, quelli che decidono del destino degli uomini, sono rimasti irremovibilmente fiduciosi – nella propria saggezza.
Il giorno 7 la commissione inviata dal governo annunciò alla allarmata popolazione di St. Pierre che tutto era in ordine, in cielo e sulla terra. Tutto è in ordine, non v’è motivo di allarme! così avevano detto anche alla vigilia del giuramento della Pallacorda inebriati dalle danze nelle sale di Luigi XVI, mentre nel cratere del vulcano rivoluzionario la lava infuocata si stava raccogliendo per la terrificante esplosione. Tutto è in ordine, pace e quiete dovunque! – l’avevano detto a Vienna e a Berlino alla vigilia dell’eruzione del marzo di 50 anni fa! Il vecchio titano della Martinica, da tempo sofferente, non prestò attenzione alcuna ai rapporti dell’onorevole commissione: dopo che la popolazione era stata rassicurata dal governatore il 7, nelle prime ore dell’8 esplose e seppellì in pochi minuti il governatore, la commissione, la gente, le case, le strade e le imbarcazioni sotto le infuocate esalazioni del suo cuore sdegnato.
L’opera è stata radicale. Quarantamila vite umane sono state falciate, un pugno di profughi tremanti è stato salvato – il vecchio gigante può brontolare e ansimare in pace, esso ha mostrato la sua potenza, ha vendicato in modo terribile lo sprezzo del suo primordiale potere.
E ora fra le rovine dell’annichilita città della Martinica un nuovo ospite arriva, sconosciuto, mai visto prima: l’essere umano. Non signori e servi, non neri e bianchi, non ricchi e poveri, non piantatori e schiavi salariati – l’essere umano è apparso sulla minuscola isola sconquassata, esseri umani che sentono solo il dolore e vedono solo il disastro, che vogliono solo aiutare e soccorrere. Il vecchio Mont Pelée ha operato il miracolo! Dimenticati i giorni di Fascioda, dimenticato il conflitto per Cuba, dimenticata la Revanche – i francesi e gli inglesi, lo zar e il Senato di Washington, Germania e Olanda donano denaro, mandano telegrammi, tendono una mano soccorrevole. Una fratellanza di popoli contro la natura carica d’odio, una resurrezione di umanità fra le rovine della civiltà umana. Caro è stato il prezzo per recuperare la propria umanità, ma il tuonante Monte Pelee ha una voce capace di farsi intendere.
La Francia ha pianto i 40 mila cadaveri sulla minuscola isola e il mondo intero è sollecito ad asciugare le lacrime della Madre Repubblica. Ma cosa avvenne quando, centinaia di anni fa, la Francia versò sangue a fiumi per le Piccole e le Grandi Antille? Nel mare al largo della costa orientale dell’Africa si stende un’isola vulcanica, il Madagascar: 50 anni fa vedemmo la sconsolata Repubblica, che oggi piange i suoi figli perduti, piegare l’indomito popolo indigeno sotto il suo giogo con le catene e la spada. Nessun vulcano lì aperse il suo cratere: le bocche dei cannoni francesi vomitarono morte e annientamento; il fuoco dell’artiglieria francese spazzò via migliaia di fiorenti vite umane dalla faccia della terra finché un popolo libero fu schiacciato al suolo, finché la bruna regina del “selvaggi” fu strappata via come un trofeo per la “Città dei Lumi."
Al largo delle coste dell’Asia, lambite dalle onde dell’oceano, giacciono le ridenti Filippine. Sei anni fa là vedemmo i benefattori Yankee, vedemmo il Senato di Washington al lavoro. Non montagne che sputano fuoco – qui i fucili americani spazzarono via vite umane a mucchi; il Senato del cartello dello zucchero che oggi invia in Martinica dollari d’oro, migliaia e migliaia, per recuperare vite dalle rovine, inviò cannoni su cannoni, navi da guerra su navi da guerra, milioni e milioni di dollari a Cuba per seminare morte e devastazione.
Ieri, oggi – ben lontano, nel sud dell’Africa, dove solo un paio d’anni fa un piccolo popolo tranquillo viveva del proprio lavoro e in pace, abbiamo visto come gli inglesi hanno portato devastazione, quegli stessi inglesi che alla Martinica restituiscono la madre ai figli e i figli ai genitori: li abbiamo visti calpestare corpi umani, con i brutali scarponi da soldati sui cadaveri dei bambini, sguazzare in laghi di sangue, morte e disperazione tutto intorno a loro.
Ah, e i Russi, il filantropico soccorritore, il lacrimante Zar di tutte le Russie – una vecchia conoscenza! Ti abbiamo visto sui bastioni di Praga,dove il caldo sangue polacco scorreva a fiumi e colorava di rosso il cielo coi suoi vapori. Ma quelli erano vecchi tempi. No, ora , solo qualche settimana fa, vi abbiamo visti, i caritatevoli russi sulle loro polverose strade, nei distrutti villaggi russi, fronteggiare la stracciata, selvaggiamente agitata, rumoreggiante moltitudine; e spari a raffica, e mugiki che cadevano rantolando sul terreno, il rosso sangue contadino si mescolava con la polvere delle strade. Essi dovevano morire, essi dovevano cadere perché i loro corpi erano piegati dalla fame, perché gridavano per avere pane, per il pane!
E abbiamo visto anche te, oh Madre Repubblica, tu che versi lacrime. Era il 23 marzo dell’anno 1871: uno splendido sole di primavera risplendeva su Parigi; stipati nelle strade, nei cortili delle prigioni, stavano migliaia di pallidi esseri umani in vesti da lavoro, corpo contro corpo e testa a testa; mitragliatrici ficcarono nelle feritoie delle mura le loro canne assetate di sangue. Non fu un vulcano ad eruttare, né una corrente di lava a riversarsi in basso. I tuoi cannoni, Madre Repubblica, vennero puntati sulla moltitudine assiepata, urla di dolore squarciarono l’aria – più di 20 mila corpi coprirono il pavé di Parigi!
E tutti voi – francesi e inglesi, russi e tedeschi, italiani e americani – vi abbiamo visti tutti insieme una buona volta in fraterno accordo, uniti in una grande lega delle nazioni, aiutarvi e cooperare l’un con l’altro: era in Cina. Anche là avete dimenticato ogni lite fra di voi, anche là avete stretto una pace dei popoli – per ammazzare e incendiare tutti insieme. Ah! Come caddero fila dopo fila gli uomini coi codini, sotto i colpi dei vostri proiettili, come un campo di spighe mature sferzate dalla grandine! Ah! come si gettarono nell’acqua le donne urlanti il proprio dolore, tra le fredde braccia della morte, per sfuggire alla tortura dei vostri ardenti abbracci!
E ora si sono tutti recati alla Martinica, di nuovo un sol cuore e una sola anima; essi aiutano, soccorrono, asciugano le lacrime e maledicono il vulcano che ha portato sciagura. Mont Pelée, bonario gigante, tu puoi ridere; puoi guardar giù con disgusto a questi benefattori assassini, a questi lacrimanti animali predatori, a queste belve in vesti di samaritano. Ma un giorno verrà che un altro vulcano alzerà la sua voce tuonante, un vulcano che si sta agitando e ribollendo, anche se non ve ne curate, e spazzerà via dalla faccia della terra tutta la cultura bacchettona imbrattata di sangue. E solo sulle sue rovine le nazioni si ritroveranno insieme in una umanità vera, che conoscerà un solo mortale nemico – la cieca, morta natura.

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