domenica 3 luglio 2011

Considerazioni libere (241): a proposito di modelli di sviluppo...

Com’era facilmente prevedibile i mezzi di informazione non parlano praticamente più della cosiddetta “primavera araba”; qualche volta sono costretti a raccontare quello che succede in Libia, perché lì sono impegnati i nostri soldati, e in Siria, perché è davvero impossibile non dare testimonianza della dura repressione del regime della famiglia Assad. Questo atteggiamento era prevedibile perché in genere la classi dirigenti, a cui appartengono gli editori e i grandi giornali, preferiscono non enfatizzare troppo le rivoluzioni democratiche: la democrazia tende a essere contagiosa ed è naturale per loro fare tutto il possibile per non estendere il contagio. Per questo credo sia nostro dovere di donne e uomini della sinistra continuare a parlare di quello che sta avvenendo in quei paesi, utilizzare tutti gli strumenti che abbiamo - e la rete è probabilmente uno dei più efficaci - per non permettere che l’attenzione sia distolta per troppo tempo dalle storie di quelle persone.
Il 27 giugno scorso, tra l’indifferenza generale, 67 organizzazioni non governative, in rappresentanza di dodici paesi del mondo arabo, hanno reso pubblica una dichiarazione congiunta in cui hanno dato voce a tutte le loro preoccupazioni sui pacchetti di aiuti finanziari sponsorizzati dagli Stati Uniti e dall’Unione europea, attraverso la Banca mondiale e il Fmi - che ora finalmente ha trovato una nuova guida, dopo le repentine dimissioni di Strauss-Kahn - per sostenere la transizione nei paesi della regione del Mediterraneo attraversati dalle recenti rivoluzioni popolari. Questi pacchetti rischiano di avere degli impatti negativi sui processi di transizione democratica e sconvolgere gli obiettivi di giustizia sociale ed economica che quelle rivoluzioni si erano date.
I cambiamenti democratici ricercati dalle popolazioni locali non saranno raggiunti con l’aumento degli aiuti legati a condizionalità politiche, ulteriori liberalizzazioni di commercio e investimenti, deregolamentazioni e ricette economiche molto ortodosse che hanno così tanto contribuito alle ingiustizie contro le quali si sono ribellati i popoli di Tunisia ed Egitto. Il percorso verso lo sviluppo passa necessariamente per la volontà dei popoli di ogni singolo Paese, attraverso un processo costituzionale e un dialogo nazionale.

Come ho già avuto modo di ricordare - credo che in questo caso non sia inutile sottolinearlo ancora una volta - su queste stesse istituzioni finanziarie internazionali ricade la responsabilità di aver promosso in maniera sistematica per anni gli ingiusti modelli economici che hanno portato all’impoverimento e alla marginalizzazione di molti paesi dell’Africa settentrionale e del Medio oriente. Nei giorni successivi alla rivolta in Tunisia molti leader internazionali hanno deplorato le scelte economiche del governo di Ben Ali, ma nel settembre 2010 il Fondo monetario internazionale lodava “l’adeguato modello di gestione macroeconomica della Tunisia e le riforme compiute nell’ultimo decennio”, chiedendo in proposito ulteriori riforme dello stesso stampo in merito “al contenimento della spesa pubblica sui salari, il cibo e i sussidi sui combustibili”. Ai nuovi governi di Tunisia ed Egitto i rappresentanti della Banca mondiale e del Fmi chiedono di continuare sulla stessa azione e condizionano l’erogazione degli aiuti, al perseguimento rigoroso di questi obiettivi. Di fatto questi organismi internazionali e i governi occidentali che li sostengono tendono a confondere la transizione verso la democrazia con quella verso le liberalizzazioni che servono ai loro interessi e non necessariamente a quelli delle persone a cui dovrebbero recare un beneficio.
Non è inutile sottolineare che di questi temi dobbiamo occuparci perché rischia di riguardare molto da vicino anche noi. Gli organismi internazionali stanno imponendo le stesse ricette alla Grecia, presto le imporranno alla Spagna e in seguito all’Italia. Indignarsi a quel punto sarà probabilmente tardi. Una volta si parlava di diversi modelli di sviluppo, ora questi discorsi sono stati sacrificati all'altare del pensiero unico liberista: è urgente ricominciare a riannodare i fili di quella discussione.

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