domenica 29 maggio 2011

Considerazioni lbere (233): a proposito di Grecia, di Spagna e anche d'Italia...

L'eccezionalità di quello che sta succedendo nell'Africa settentrionale e nel Medio Oriente ci ha forse fatto trascurare quello che sta avvenendo in Europa, in particolare in quei paesi che si affaccianno sul Mediterraneo. In Italia in particolare, visto che le cronache da quasi vent'anni sono dominate, nel bene e nel male, da B., abbiamo l'impressione che non succeda mai nulla.
Il Mediterraneo, un mare così ricco di storia e di storie, dopo molti anni di oggettivo oblio geopolitico, torna ad acquisire una sua centralità, legata alle crisi che colpiscono i paesi a nord e a sud delle sue coste e soprattutto al fatto di essere il crocevia obbligato per migliaia e migliaia di migranti, di donne e di uomini in cammino, troppo spesso in fuga dai loro paesi. Forse il Mediterraneo sta tornando a essere un elemento di unione, piuttosto che di divisione; credo però che questo sia un tema eccessivamente ambizioso per queste "considerazioni", che immagino sarà oggetto di studio e di analisi degli storici dei decenni che verranno.
Torniamo all'oggi. A causa della crisi economica e degli attacchi degli speculatori al debito dei paesi europei, ormai da diversi mesi la Grecia è un paese "a sovranità limitata", la cui politica economica è di fatto commissariata dai tecnici della Commissione europea, della Banca centrale, del Fondo monetario internazionale. Questa affermazione, che può essere letta in qualunque giornale, è un dato di fatto e ci sembra dica tutto, mentre in realtà omette molte informazioni. La crisi greca infatti non è un fenomeno naturale, le cui cause si possono analizzare in maniera scientifica e asettica. Francamente non basta dire che gli speculatori hanno attaccato l'euro e hanno approfittato della debolezza dell'economia greca, bisogna dire chi sono questi speculatori; non è un terremoto, non è un'inondazione, sono persone, in carne e ossa, che stanno gettando nel baratro l'economia di un paese e condizionando la vita di milioni di altre persone, anch'esse in carne e ossa. Giustamente facciamo ogni sforzo, anche militare, per costringere Gheddafi a lasciare il governo della Libia, lo vogliamo catturare e portare di fornte a una corte internazionale; altrettanto giustamente per quasi dieci anni abbiamo cercato dove si nascondeva Osama bin Laden e, una volta che lo abbiamo trovato, lo abbiamo ucciso. Questi fantomatici speculatori internazionali sono meno pericolosi di Gheddafi o di bin Laden? Cosa stiamo facendo contro di loro? Li stiamo cercando? Pensiamo di catturarli e di portarli davanti a una corte internazionale?
Altrettanto anonimi purtroppo sono i fantomatici esperti degli organi finanziari internazionali. Chi sono? Qualcuno li ha eletti e qualcuno li può revocare? A chi rispondono? Sono anche loro persone in carne e ossa, anche se troppo spesso le loro decisioni vengono assunte con l'ineluttabilità dei fenomeni naturali. E con la forza e la durezza di fenomeni naturali molto spesso queste decisioni si sono abbattute sulla vita di milioni e milioni di persone, come ben sanno le donne e gli uomini nei paesi in via di sviluppo. Dietro una parvenza di apparentemente neutro tecnicismo, ci sono linee politiche e culturali ben precise: l'idea che il mercato sia un valore in sé, assolutamente positivo, il cui libero dispiegarsi può risolvere ogni problema. E così speculatori e tecnici delle organizzazioni internazionali finiscono per essere le due facce della stessa medaglia.
Faccio una piccola digressione, legata all'attualità. Al di là del giudizio sull'uomo Strauss-Kahn, che è molto negativo, per le ragioni che ho già spiegato nella mia precedente "considerazione", anche il mio giudizio sul politico fatica a essere positivo: il socialista Strauss-Kahn non ha avuto la forza e, temo, la voglia, di modificare le linee ultraliberiste del Fondo monetario.
Torniamo al tema. Le misure imposte alla Grecia dagli organi internazionali hanno avuto conseguenze durissime: il taglio del 20% dei salari per almeno la metà dei lavoratori, l'abolizione delle tredicesime e di ogni altra forma di incentivazione, l'introduzione massiccia di contratti "atipici" e la crescente precarietà del lavoro, il blocco di tutti gli investimenti pubblici. Come è già avvenuto nel resto del mondo - ad esempio ad Haiti - la cura sta rischiando di uccidere il paziente: la disoccupazione colpisce quasi un quinto della popolazione, il Pil non cresce, il governo greco non è in grado di onorare il debito che gli è stato imposto. E qui si sfiora il paradosso: grazie ai "buoni uffici" dei tecnici degli organismi internazionali, la Grecia si trova a essere debitrice di quelle stesse banche internazionali che sono responsabili della sua crisi. Così le banche non solo non hanno pagato dazio, ma sono riuscite a scaricare i loro debiti sulle spalle dei greci.
La mafia sa che deve esserci un limite alle estorsioni, se vuole continuare a incassarle: un ricattato fallito smette di pagare; Banca centrale e Fondo monetario sembrano non conoscere neppure questa elementare regola della malavita. Di fronte all'inevitabile insolvenza greca, i debiti stanno venendo rinegoziati e alla Grecia sarà imposto un nuovo piano di interventi sull'economia: la diminuzione di 150mila posti di lavoro nel settore pubblico, il taglio del 20% al salario minimo d'ingresso per i giovani. Inoltre si impone un ampio piano di privatizzazioni, dalla rete delle telecomunicazioni al porto del Pireo; alla fine è facile immaginare che i compratori saranno le stesse banche o multinazionali da loro finanziati, che godranno anche di queste nuove risorse.
Per il Portogallo e l'Irlanda si sta delineando lo stesso scenario. Il "piano di salvataggio" elaborato dai soliti anonimi tecnici è già pronto: è sufficiente sostituire la parola "grecia" e aggiornare qualche numero nelle presentazioni in powerpoint. E' una facile profezia ipotizzare che alle stesse soluzioni faranno seguito gli stessi esiti. Poi sarà la volta della Spagna e quindi dell'Italia, per completare il "giro del Mediterraneo".
Il rapporto Istat, presentato in questi giorni a un parlamento disattento, disegna un quadro preoccupante: il 24,7% degli italiani, praticamente uno su quattro, è a rischio povertà o di esclusione sociale; nel biennio 2009-2010 nel sud 280mila persone hanno perso il lavoro, nel nord 228mila; il 12,2% di chi lavora lo fa in nero; il 5,5% ha dichiarato che nel 2010 non ha avuto i soldi per comprare il cibo, l'11% per le medicine, il 17% per i vestiti. Questi sono soltanto i dati più eclatanti, che hanno meritato il titolo dei giornali per un giorno e poi sono stati dimenticati.
In questi dati c'è una proposta politica, è un programma già fatto. Qualcuno in Spagna si è indignato - di questo proverò a scrivere in una prossima "considerazione" - qui mi pare che il risveglio sia decisamente più lento.

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