sabato 16 ottobre 2010

Considerazioni libere (172): a proposito di spose bambine e di delitti d'onore...

Circa otto giorni fa ho letto sul sito OsservatorioIraq questa notizia: in Turchia i matrimoni in cui sono coinvolte donne minorenni arrivano al 37% del totale di quelli registrati. Si tratta di un fenomeno che è presente, pur in proporzioni minori, anche nelle città, sia nella capitale Ankara che nella più "occidentale" Istanbul, ma la media sale drammaticamente nelle più remote regioni curde del sud-est: qui i matrimoni con spose bambine sono circa il 68% del totale.
Si tratta prima di tutto di un problema culturale, ma le leggi turche non aiutano a tutelare i diritti delle giovani donne: infatti il diritto civile stabilisce che per sposarsi bisogna avere compiuto 17 anni, ma il codice penale definisce bambino solo chi ha meno di 15 anni e questa ambiguità delle legge permette che questi matrimoni possano essere registrati. A complicare il tutto c'è poi la difficoltà in alcune regioni di controllare effettivamente i dati anagrafici delle persone. Queste informazioni sono state fornite dall’organizzazione per i diritti delle donne Uçan Süpürge, durante la presentazione del progetto chiamato "Spose bambine: vittime di tradizioni distruttive e di un’eredità sociale patriarcale", che durerà 18 mesi e coinvolgerà 54 province turche; la stessa ong sta lavorando per raccogliere le firme per una proposta di legge di iniziativa popolare che porti a 18 anni l'età legale per potersi sposare. La coordinatrice del progetto Selen Dogan, nella stessa occasione ha affermato che "i matrimoni prematuri violano i diritti delle donne e dei bambini, e più in generale i diritti umani" e ha ricordato che nel solo 2009, secondo i dati del ministero turco dell’istruzione, sono state 693 le studentesse che hanno lasciato gli studi per sposarsi. La stessa Dogan ha spiegato che, anche se molte di queste donne non possono essere considerate come una sorta di "prigioniere in casa", certamente la maggior parte di loro sono del tutto inconsapevoli dei propri diritti e che, con altrettanta certezza, c'è un preciso legame tra "matrimoni prematuri" e violenze domestiche.
Personalmente sono favorevole all'ingresso della Turchia nell'Unione europea e ho considerato una buona notizia l'esito del recente referendum che ha contribuito a togliere potere ai militari, per rafforzare le istituzioni democratiche; credo però che gli stati europei - e l'Italia che ha notevoli interessi in quel paese - dovrebbero fare pressione sul governo turco affinché la legge venga cambiata, ma soprattutto che si lavori concretamente per far crescere una cultura dei diritti, specialmente dei diritti delle donne. C'è poi un altro aspetto su cui mi sembra necessario riflettere: spesso noi "progressisti" abbiamo condannato - e condanniamo - il governo turco per il modo in cui sono trattati i curdi; io, nel mio piccolo, ne ho parlato in due "considerazioni", la nr. 75 e la nr. 109, per la precisione. Forse dovremmo fare un po' più di attenzione: dobbiamo certamente continuare a chiedere che il governo turco rispetti i diritti della minoranza curda, ma dobbiamo anche denunciare lo stato delle donne curde. Il fatto di essere una minoranza oppressa non giustifica gli uomini curdi a mantenere un regime così rigidamente patriarcale.
Letta questa notizia, ho deciso di scriverne sul mio blog, ma per qualche giorno non ho trovato il tempo per farlo. Nel frattempo ho letto nel nr. 867 di Internazionale un'interessante inchiesta che il giornalista inglese Robert Fisk ha condotto per il quotidiano The Independent sulla condizione delle donne in Medio oriente. Vi consiglio di leggere questo articolo. A questo punto ho deciso di scrivere questa "considerazione" perché i temi sono strettamente legati.
Secondo i dati delle Nazioni Unite - molto probabilmente sottostimati - nel 2007, l'ultimo dato per cui ci sono dati significativi, cinquemila donne sono state uccise per motivi d'onore. Molti di questi delitti sono le conseguenze di "matrimoni prematuri"; poi ci sono storie terribili di violenze domestiche, di stupri consumati in famiglia e infine "lavati" con il delitto. Naturalmente sono sempre le donne, e in genere le giovani donne, che pagano per colpe che altri hanno commesso. Leggere l'articolo di Fisk è come scendere in un girone dantesco: ci sono storie di ragazze uccise dalle loro famiglie soltanto perché possedevano un cellulare o perché nella memoria del loro telefonino c'era un numero non conosciuto; storie di donne che si sono uccise perché innamorate di un uomo che era di una casta inferiore o che non era stato scelto per lei dal padre; storie di ragazze uccise perché scoperte incinta, magari dopo uno stupro.
C'è un elemento interessante nell'inchiesta di Fisk, che merita di essere sottolineato. Il fenomeno dei delitti d'onore non è legato alla religione, come troppo spesso anche noi tendiamo a pensare. O almeno non è solo legato alla religione. Il delitto d'onore è un fenomeno che interessa tutto il Medio oriente, dal laico Libano all'India di religione indù, passando ovviamente per i paesi islamici, più o meno radicali; ma nella comunità cristiana della Giordania i delitti d'onore sono più frequenti che nel resto del paese. E' un problema culturale prima che religioso, su cui bisogna intervenire, a partire dall'educazione, ricordando sempre che il primo obiettivo deve essere quello di tutelare i diritti delle donne e dei bambini.

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