domenica 29 agosto 2010

Considerazioni libere (156): a proposito di una ritirata (più o meno strategica)...

Lo scorso 19 agosto le truppe statunitensi hanno completato il ritiro dall'Iraq, in anticipo rispetto alla data fissata del 31 agosto. La guerra non è finita il 19 agosto, così come non era finita il 1 maggio del 2003, quando il presidente Bush annunciò solennemente, dal ponte della portaerei Lincoln, che la coalizione internazionale aveva vinto.
La guerra in Iraq continua, non solo perché nel paese rimangono 50mila soldati statunitensi con il compito di completare l'addestramento delle truppe irachene, ma soprattutto perché nel paese si continua a combattere. Anche se la guerra non è finita, il ritiro degli Stati Uniti segna un passaggio importante della storia recente dell'Iraq e permette di fare un primo, provvisorio, bilancio.
Prima di tutto non dobbiamo dimenticare i caduti. Dall'inizio della guerra ad oggi sono morti 4.417 militari degli Stati Uniti, 318 militari di altri paesi occidentali e 97.453-106.339 iracheni, secondo le stime di iraqbodycount.net e icasualties.org. A causa della guerra, ci sono inoltre 4 milioni di profughi e di rifugiati interni, una massa di persone che costituisce un peso insopportabile per le fragili strutture amministrative dell'Iraq e un elemento di tensione con gli stati vicini, quando questi profughi tentano di varcare i confini.
C'è un dato positivo, che nessuno - neppure il più fazioso oppositore della politica estera americana - può negare o sottacere: l'intervento occidentale ha provocato la caduta del regime di Saddam Hussein, una dittatura feroce che per molti anni ha sistematicamente violato i diritti politici e civili di quel popolo, ha oppresso duramente le minoranze etniche e religiose, ha sfruttato le grandi risorse del paese per arricchire la famiglia e la cerchia del dittatore e per costruire un pericoloso apparato militare, che costituiva un oggettivo pericolo per tutta la regione. Al di là delle menzogne sulle armi di distruzione di massa, non si deve dimenticare che soltanto il raid israeliano del 1981, distruggendo il reattore nucleare di Osirak, ha impedito che il regime iracheno realizzasse un proprio arsenale atomico.
Purtroppo le conseguenze negative dell'intervento sono superiori a questo risultato positivo. La fine del regime di Saddam Hussein ha fatto emergere ciò che la dittatura, con il suo pugno di ferro, aveva soltanto occultato: l'Iraq è una "invenzione" delle cancellerie della Gran Bretagna e della Francia, quando, alla fine della prima guerra mondiale, si dissolse l'impero ottomano. Quando è crollato il potere autoritario di Saddam, l'Iraq è sparito ed è rimasto un insieme di tribù che non riescono a trovare le ragioni per continuare a stare insieme. E infatti, nonostante le elezioni si siano svolte il 7 marzo scorso, il parlamento iracheno non è ancora riuscito a eleggere un nuovo governo; neppure lo choc del ritiro statunitense, pur lasciando grandi responsabilità nelle mani dei capi tribali iracheni, pare sia sufficiente a sbloccare la situazione. Occorre anche dire che questa condizione di instabilità e la cronica debolezza di quel paese favorisce chi, a seguito delle truppe, è arrivato in Iraq per fare affari: le più importanti aziende petrolifere occidentali, russe e cinesi si sono spartite i giacimenti iracheni e prebabilmente non soffrono troppo per questa situazione. La guerra per molti è un buon affare.
C'è un altra conseguenza della guerra in Iraq che è utile ricordare. Nell'equilibrio geopolitico di quella regione, la fine dell'Iraq sta di fatti favorendo il suo più forte vicino, la repubblica islamica dell'Iran, con tutte le conseguenze che questo comporta.
Un altro elemento di questo bilancio. Al di là dei troppo ottimistici proclami di Bush jr., l'intervento in Iraq non ha reso più debole il terrorismo islamico. Da un punto di vista pratico, la dissoluzione delle strutture statali e amministrative ha reso più semplice trovare in quel territorio basi e nascondigli, ha messo sul mercato illegale armi ed esplosivi, ma soprattutto ha creato una schiera di persone facilmente arruorabili: soldati, miliziani, esponenti del vecchio regime, entrati o pronti a entrare nelle file del terrorismo. Dal punto di vista ideologico poi, le guerre in Afghanistan e in Iraq sono state una formidabile arma propagandistica per quella parte del mondo islamico che predica lo scontro di civiltà, la guerra santa contro il mondo occidentale, il terrorismo. Il modo in cui Stati Uniti e Gran Bretagna hanno deciso l'intervento, mentendo sulla minaccia irachena e ignorando le richieste delle istituzioni internazionali, costituisce un grave precedente. Aver così pesantemente delegittimato il ruolo delle Nazioni Unite sta già provocando delle conseguenze: con che autorevolezza l'Onu può chiedere all'Iran di sospendere le attività per la costruzione di armi atomiche, quando non ha saputo fermare la guerra in Iraq? Anche alcuni comportamenti tenuti dalle truppe occidentali hanno finito per rinfocolare l'odio delle popolazioni musulmane; le uccisioni dei civili, magari con i droni, e l'utilizzo della tortura non sono certo stati il miglior biglietto da visita per presentare la superiorità della cultura dei diritti umani di tipo occidentale.

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