venerdì 11 giugno 2010

Considerazioni libere (125): a proposito di sistemi di scelta...

In vista di ogni appuntamento amministrativo, nel campo del centrosinistra - e in particolare all'interno del Pd - comincia il dibattito sulle primarie. Nella prossima primavera si voterà in alcune grandi città - tra cui Milano, Napoli e Bologna - e immancabile comincia a serpeggiare la polemica tra chi vorrebbe le primarie, senza se e senza ma, e chi si mostra più tiepido, se non freddo, verso questo strumento di scelta delle candidature. Basta che leggiate qualche cronaca delle città in cui si voterà oppure i post di qualche blogger tra i più in voga, per trovare ampie tracce di questo appassionante dibattito. Il tema, al di là della noia di una discussione ormai logorata da interpreti che finiscono per dire sempre le stesse cose, è centrale e mostra in maniera molto evidente quanto sia ancora incompiuto il progetto del Partito Democratico.
Personalmente non credo alla primarie ed è uno dei motivi - non il solo, ma uno dei più importanti - per cui ho deciso di non aderire al Pd, che invece ha inserito il sistema delle primarie all'interno del proprio statuto come strumento per la definizione di tutte le cosiddette cariche monocratiche, ossia sindaco, presidente di provincia e di regione, presidente del consiglio. Mi rendo conto di essere attaccato a modelli che a molti sembrano addirittura premoderni - o almeno novecenteschi, uno dei massimi insulti per chi vuol fare il partito nuovo - ma penso che la scelta di fare sempre le primarie sia la rinuncia da parte della politica a svolgere uno dei propri ruoli fondamentali. Quando facevo un altro mestiere - qualche tempo fa - mi è capitato di avere la responsabilità, insieme ad altre persone, di trovare il miglior candidato per fare il sindaco in alcuni comuni della provincia bolognese. Il metodo usato era quello di consultare una platea più o meno vasta di iscritti al partito, ma non solo iscritti, e di persone, naturalmente elettori della sinistra, impegnate mondo delle associazioni, dell'economia, del volontariato e infine fare una sintesi di tutto questo. Vi assicuro che è un sistema più complicato delle primarie, perché richiede tempo, pazienza, predisposizione all'ascolto, ma è un sistema che funziona. Naturalmente a patto di farlo bene e con coscienza. Certo si può partire con una propria idea, un proprio candidato, ma bisogna anche avere l'onestà intellettuale di capire quando quella proposta non riceve la maggioranza dei consensi e, di conseguenza, avere la capacità di cambiare idea. Poi bisogna avere la capacità di sapere che valore ha il giudizio della persona che ti sta davanti; in qualsiasi realtà, ci sono persone che, al di là del loro ruolo, hanno un'autorevolezza tale per cui il loro giudizio ha un valore maggiore di quello di altri. Un po' come diceva Cuccia a proposito dei voti nei consigli di amministrazione che si devono pesare e non solo contare. Ma per sapere questo occorre stare davvero sul territorio, come adesso continuamente si dice, ma poco si fa. Bisogna conoscere le persone, fidarsi di loro e naturalmente essere conosciuti e avere la loro fiducia; bisogna insomma che il partito funzioni in tutta la sua articolazione.
Troppo spesso le primarie sono diventate semplicemente il modo in cui un gruppo dirigente sancisce, attraverso una consultazione a prima vista democratica, un candidato che esso stesso ha scelto, senza però fare quel percorso che prima ho cercato di spiegare. Ogni riferimento alle primarie bolognesi è puramente casuale, come si dice in questi casi. Io non nego il legittimo diritto di un gruppo dirigente di esprimere un proprio candidato, tutt'altro, ritengo che sia un proprio dovere, questo sì statutario, ma critico il fatto che questa scelta avvenga senza un percorso che coinvolga davvero il territorio o almeno quella parte che rappresenta il tuo potenziale elettorato di riferimento. Personalmente ritengo che il sistema della consultazione e della sintesi sia molto più democratico di quello delle primarie, oltre che più efficace. Poi c'è il voto, le elezioni vere, che dicono se quella scelta è stata giusta o sbagliata; e a questo giudizio, giustamente, non si scappa.

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