martedì 25 maggio 2010

Considerazioni libere (118): a proposito di reality show...

Ammetto la mia ignoranza in merito al genere reality; conosco "Il grande fratello", conosco "L'isola dei famosi", so che ci sono varianti tipo "La fattoria" o "La talpa", ma sinceramente non avevo mai sentito nominare "The first 48". "The first 48" è giunto alla sua nona stagione ed è prodotto dalla casa di produzione statunitense A&E. Si tratta davvero di un reality, la troupe segue il lavoro della polizia nelle prime quarantotto ore che seguono un omicidio: un vero omicidio, con un vero colpevole e veri poliziotti che lo individuano e lo catturano. Le immagini riprese vengono poi montate e raccontate da un narratore, l'attore Dion Graham.
Il 16 maggio scorso la troupe di "The first 48" stava seguendo il lavoro della polizia di Detroit, impegnata nella cattura di un giovane sospettato di omicidio, che stava fuggendo. La squadra speciale, gli Swat - quelli che siamo abituati a vedere nei telefilm - hanno individuato il fuggiasco all'interno di una casa in un quartier popolare della città, hanno gettato una granata stordente nell'appartamento e hanno fatto irruzione, uccidendo una bambina di sette anni, Ayana Stanley-Jones, che stava dormendo nel suo letto. I genitori della bambina accusano la polizia di aver agito in maniera avventata, dicono che il colpo è stato sparato dall'esterno dell'abitazione e che il sospetto è stato poi arrestato in un'altra casa della via; la polizia afferma che il colpo è stato sparato in casa e non dà indicazioni sul luogo effettivo dell'arresto. Forse le riprese di "The first 48" saranno determinanti per sapere la verità.
Al di là di cosa emergerà dall'inchiesta, alcuni hanno cominciato a riflettere sulla responsabilità dello show. La povera Ayana non è morta per colpa della troupe di "The first 48", ma certamente dovrebbe far riflettere che ad esempio l'uso delle granate stordenti è in relazione proprio a questo tipo di interventi, perché hanno un maggior effetto televisivo. Fare un'irruzione in una casa per catturare un possibile omicida è già qualcosa di complicato, soggetto a moltissimi elementi imprevedibili e dannatamente rischioso, come è evidente anche da quello successo a Detroit domenica scorsa, ma certo non aiuta i poliziotti sapere che la loro azione sta per essere ripresa, c'è il rischio, sempre più concreto che finiscano per interpretare i poliziotti, secondo gli schemi che hanno visto in tanti telefilm. Chi ha analizzato questo reality e altri del genere - perché non è l'unico - ha messo in evidenza che le azioni tendono a concentrarsi in quartieri poveri, che spesso i sospettati sono persone di colore e soprattutto che nelle azioni c'è un maggior elemento di drammatizzazione rispetto a un normale inseguimento.
Ieri sera, quando ho raccontato l'episodio a Zaira, lei mi ha fatto notare che in Italia la polizia preferisce non essere filmata e mi ha venuto in mente quel dirigente di carcere che aveva rimproverato i suoi uomini perché avevano picchiato un ragazzo nella sua cella, dove potevano essere visti, mentre potevano farlo nei sotterranei. Francamente spero che questo reality non venga importato; penso ci basti "La pupa e il secchione".

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