venerdì 25 settembre 2009

La democrazia ateniese ai tempi di Pericle e Protagora (V di V)

Nell'epitaffio Pericle si fa portavoce dell'orgoglio del cittadino ateniese. “Affermo che tutta la città è la scuola della Grecia, e mi sembra che ciascun uomo della nostra gente volga individualmente la propria indipendente personalità a ogni genere di occupazione, e con la più grande versatilità accompagnata da decoro. [...] Noi spieghiamo a tutti la nostra potenza con importanti testimonianze e molte prove, e saremo ammirati dagli uomini di ora e dai posteri senza bisogno delle lodi di un Omero o di un altro, che nei versi può dilettare per il momento presente, mentre la verità sminuisce poi le opinioni concepite sui fatti, ma per aver costretto tutto il mare e la terra a divenire accessibili alla nostra audacia, stabilendo ovunque monumenti eterni delle nostre imprese fortunate o sfortunate”. L'uomo che vince la terra e il mare appare anche nel primo stasimo dell'Antigone, ma Sofocle non nasconde il suo pessimismo, perché quest'uomo ha dimenticato gli dei. In Pericle l'orgoglio dell'uomo non può mai essere disgiunto dall'orgoglio della città: la forza dell'ateniese è di essere parte integrante della comunità cittadina.
Sono palesi i punti di contatto tra Pericle e Protagora: entrambi esaltano l'uomo, la sua intelligenza, la sua fantasia, il suo coraggio ed entrambi dicono che l'uomo può realizzarsi come tale soltanto nell'ambito cittadino, assieme agli altri uomini; lo stato è la dimensione in cui un uomo diventa cittadino e quindi uomo a tutti gli effetti. L'epitaffio pericleo è la traduzione nei termini dell'ideologia politica della teoria protagorea dell'uomo come misura di tutte le cose. È impossibile sapere se è il filosofo che ha influenzato il politico o viceversa, certo il tema della democrazia, della funzione educativa dello stato e soprattutto la centralità della polis stanno alla base del pensiero e del lavoro dei due uomini, del politico che aveva la responsabilità di guidare la sua città e dell'intellettuale cosmopolita che non aveva una propria città.
Il discorso pericleo permette di cogliere i punti più importanti dell'ideologia democratica con gli occhi di chi ha creato e propagandato quell'ideologia. La stretta interdipendenza di questi fattori: il regime democratico, il sistema delle indennità, lo sviluppo urbanistico di Atene, la politica imperialista e lo sfruttamento degli alleati, la presenza di nobili "collaborazionisti", è messa in luce da tutt'altro punto di vista dall'autore del pamphlet oligarchico chiamato dalla tradizione Costituzione degli Ateniesi e trovato tra gli scritti di Senofonte, ma certamente non attribuibile a lui. L'autore di questa sprezzante descrizione della costituzione di Atene era un aristocratico che non aveva accettato di allearsi con il popolo, non stava né con Cimone né con Pericle, e aspettava il momento propizio per rovesciare quel regime che egli odiava. Gli oligarchi, chiusi nelle loro cerchie, provarono due volte a impadronirsi del potere: prima nel 411, dopo che Atene aveva subito una pesantissima serie di sconfitte, con la conseguente ribellione di gran parte degli alleati, essi riuscirono a far abrogare la legge che definiva le indennità e ad affidare il governo al consiglio dei Quattrocento, a base censitaria, con il miraggio della pace con Sparta; poi nel 404, alla fine della guerra del Peloponneso, andarono al potere, sotto l'egida spartana, i famigerati Trenta Tiranni.
L'anonimo autore con una lucidità tucididea conclude la sua analisi del regime ateniese sostenendo che era inattaccabile, in quanto era a suo modo perfetto, nel senso etimologico del termine, non presentava incrinature. “In Atene le cose non possono andare diversamente da come vanno ora. Al più è possibile qualche piccola modifica: ma molto non è possibile modificare senza intaccare l'essenza stessa della democrazia”. Il suo bersaglio polemico erano quegli aristocratici che avevano accettato il governo del popolo. “Io al popolo la democrazia gliela perdono! È comprensibile che ciascuno voglia giovare a se stesso. Chi invece, pur non essendo di origine popolare, ha scelto di operare in una città governata dal popolo piuttosto che in una oligarchia, costui è pronto ad ogni malazione, e sa bene che gli sarà più facile occultare la sua ribalderia in una città democratica anziché in una città oligarchica”.
Si può dire che fino allo scoppio della guerra del Peloponneso la vita politica di Atene è stata controllata esclusivamente da uomini dell'aristocrazia. La creazione dell'impero e il conseguente espandersi delle attività economiche portò alla ribalta un gruppo di uomini che non erano nobili, ma erano molto ricchi. Alcuni si erano arricchiti con le concessioni da parte dello stato delle miniere argentifere del Laurio, come Callia e Nicia, altri avevano investito le ricchezze derivate da proprietà terriere per creare grandi manifatture in città, come Agnone e Teodoro. Questi uomini volevano riuscire a esercitare la loro influenza anche sulla vita politica e in parte ci riuscirono. Furono cooptati dall'aristocrazia - a volte attraverso una saggia politica matrimoniale: Callia ad esempio sposò Elpinice, sorella di Cimone - e ne accettarono i valori, anche se continuarono a sentirsi inferiori. Questi uomini, a tale condizione, riuscirono ad avere un ruolo nella politica ateniese: Callia ebbe l'incarico di negoziare la pace con il Gran Re, Agnone fu stratega con Pericle, combatté contro Melisso di Samo e fu incaricato di colonizzare Anfipoli, Nicia fu stratega con Pericle e cercò di esserne l'erede: quando questi morì, si mise a capo dello schieramento che spingeva per la fine delle ostilità e riuscì a stipulare la pace con cui si è conclusa la guerra archidamica e che gli storici ricordano con il suo nome.
Negli anni immediatamente precedenti la guerra si fece avanti un altro gruppo di uomini decisi a influenzare la scena politica ateniese: erano artigiani che possedevano piccole manifatture, che impiegavano al massimo una decina di schiavi. Questi artigiani, grazie allo sviluppo economico che l'impero aveva provocato, erano riusciti ad accumulare delle ricchezze considerevoli, seppur non paragonabili a quelle di Callia o di Nicia. Dalla tradizione, e specialmente dalla commedia, di cui questi uomini politici erano i bersagli preferiti, è rimasto il ricordo del cuoiaio Cleone, del venditore di tessuti Eucrate, del mercante di bestiame Lisicle, del fabbricante di lucerne Iperbolo, del liutaio Cleofonte. Tra questi due gruppi nacque un'effimera alleanza contro Pericle che culminò nell'accusa e poi nella mancata rielezione alla strategia del 430, ma non appena il comune avversario morì, si rese palese il fatto che rappresentavano interessi diversi, spesso contrapposti.
In questa intricata situazione politica, in cui si confondevano precisi interessi di classe e ambizioni personali, più o meno dichiarate, assunsero un ruolo ben preciso i sofisti che insegnavano l'arte politica e soprattutto insegnavano la cosa che era indispensabile a chiunque volesse iniziare a fare politica ad Atene: l'arte della parola. I sofisti erano in grado di creare degli uomini politici. Protagora e i suoi colleghi, giungendo ad Atene, avevano trovato il mercato più propizio per vendere il proprio sapere. Fare politica non era più un privilegio legato alla nascita; Protagora è sempre rimasto lontano dall'idea di una aristocratica superiorità per natura, che era celebrata dalle odi di Pindaro e dai versi di Teognide. Per il sofista ogni cittadino, proprio per il fatto che era tale, poteva acquisire un'educazione superiore e quindi era in grado di guidare la città. Naturalmente questa educazione era costosa, nel caso di Protagora molto costosa, e quindi alla prova dei fatti era ad appannaggio soltanto di chi aveva molto denaro; ma questo, almeno secondo Protagora, è solamente un fatto empirico e accidentale e non sottende la volontà di creare una élite di governanti. Essere nobili ed essere ricchi non coincideva più.
I sofisti si misero al servizio dei nuovi ricchi che, dal momento che erano ormai troppo vecchi, rinunciarono a imparare le raffinate tecniche retoriche, ma pretendevano che i loro figli avessero i migliori maestri che il denaro poteva comprare, non volevano che questi iniziassero la carriera politica con quel senso di inferiorità che aveva caratterizzato la loro generazione. Così l'educazione di Callia, figlio di Ipponico e nipote di Callia, Teramene, figlio di Agnone, Isocrate, figlio di Teodoro, Nicerato, figlio di Nicia, fu affidata ai migliori sofisti, per prepararli alla vita politica. L'arte della parola era fondamentale anche nella vita giudiziaria. Strepsiade voleva mandare il figlio da Socrate affinché imparasse le tecniche per difenderlo in tribunale contro i numerosi creditori. Il fine di Strepsiade era forse meno nobile, ma non meno importante in quella società incline ai processi.
In quegli stessi anni i giovani aristocratici si raccoglievano attorno a Socrate. C'erano i nipoti di Aristide e di Tucidide, che portavano gli stessi nomi dei nonni, Alcibiade, Senofonte, Eutidemo e poi Crizia, i suoi cugini Carmide e Andocide e i suoi nipoti Platone, Adimanto e Glaucone. Socrate, pur non essendo aristocratico, criticava il regime democratico, perché distoglieva gli uomini comuni dalle attività di cui erano competenti e permetteva anche agli incompetenti di accedere alle cariche pubbliche; egli non poteva accettare che nell'assemblea un calderaio, un sarto, un ciabattino potessero intervenire per dare consigli utili alla città. La classe politica ateniese gli pareva indegna della sua funzione: anche se il giudizio di Socrate riguardava più l'aspetto etico che quello politico, gli aristocratici, sia quelli che vedevano usurpati i propri diritti, acquisiti all'interno della democrazia, dai nuovi ricchi educati dai sofisti, sia i nemici irriducibili di quel regime, trovavano in Socrate un alleato.
I due gruppi politici, “i nobili che aderivano alle eterie” e “quelli che non appartenevano alle eterie, pur non ritenendosi inferiori a nessun altro concittadino”, come Aristotele definisce i due gruppi, si fronteggiarono per diversi anni: nel 418, dopo il disastro di Mantinea, Alcibiade e Nicia si allearono contro il demagogo Iperbolo, che venne ostracizzato, ma nel 415 la tensione tornò a salire, fu l'anno dello scontro tra Nicia e Alcibiade sull'opportunità di condurre la spedizione contro Siracusa, della distruzione delle erme, del processo a Protagora. Nel 411 Crizia e Teramene parteciparono insieme al colpo di stato dei Quattrocento: li univa la proposta di tornare alla patrios politeia, cioè alla costituzione ateniese precedente le riforme efialtee, ma ognuno di essi caricava il concetto di patrios politeia di una valenza particolare: per Teramene era la costituzione del tempo delle guerre persiane, quando grande rilevanza aveva l'Areopago, per Crizia si doveva risalire a Solone e quindi a un'età precedente la stessa riforma di Clistene. La frattura definitiva si consumò nel 404: Teramene, che pure aveva trattato la pace con gli spartani ed era tra i Trenta, fu processato da Crizia e ucciso; a sua volta il capo dei Trenta fu ucciso dai ribelli democratici condotti da Trasibulo. A questo punto le due cerchie scomparvero dalla vita politica, i democratici che avevano vinto al Pireo accomunarono in un'unica condanna lo spietato Crizia, discepolo di Socrate, e il coturno Teramene, allievo dei sofisti. Il processo a Socrate si inserì in questa reazione. A questo punto però la grande stagione di Atene è ormai finita. La democrazia restaurata si caratterizzò per la moderazione e per l'oculata amministrazione di Licurgo, il quale, non trovando più nelle casse statali i provenienti dell'impero, si limitò a una politica della lesina, mentre si profilava all'orizzonte l'astro di Filippo di Macedonia. Il mondo ormai correva troppo velocemente e, insieme alla decandenza politica delle poleis e alla fine della democrazia greca, finiva anche un'idea di pieno coinvolgimento dei filosofi nella vita delle città.

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