lunedì 1 dicembre 2014

Verba volant (145): fiducia...

Fiducia, sost. f.

I lettori e le lettrici di Verba volant sanno che spesso io scelgo le parole da definire a seconda di quanto suggerito dall'attualità. Molti di voi mi hanno segnalato delle parole, che prima o poi tratterò, perché questo dizionario spero andrà avanti ancora per parecchio tempo, almeno fino a quando ci divertiremo, io a scriverlo e voi a leggerlo.
Fiducia non è propriamente un vocabolo d'attualità, anche se l'idea che questa parola definisce e racconta torna spesso nelle cronache di questi giorni. Francamente non possiamo più giudicare di attualità il fatto che il governo abbia richiesto l'ennesimo voto di fiducia: immagino che tra il tempo in cui io scrivo questa definizione e voi la leggerete sarà già aumentato il numero di volte in cui sono ricorsi a questa prassi, che dovrebbe avere carattere straordinario. Al di là del fatto che questo uso smodato e anticostituzionale del voto di fiducia ha segnato di fatto la più importante riforma istituzionale del nostro paese - fatta, anche se non dichiarata - ossia la trasformazione dell'Italia da repubblica parlamentare a repubblica semipresindenziale, è paradossale come proprio questo ricorso insistito alla fiducia renda evidente quanta poca fiducia ci sia sul mercato. Proprio perché Renzi non si fida - ampiamente ricambiato - dei parlamentari del suo stesso partito, ad ogni pie' sospinto chiede la fiducia.
A me però interessa poco questa fiducia "romana", ma vorrei farvi notare quanta poca fiducia ci sia in giro. Siamo noi che non ci fidiamo, spesso a ragione, a volte forse per una cresciuta forma di disillusione.
Non ci fidiamo di chi ci governa o di chi vorrebbe farlo e infatti siamo sempre più restii ad andare a votare, come hanno testimoniato - in maniera plateale e, a suo modo, drammatica - anche le ultime elezioni regionali. Certamente qui in Emilia-Romagna ha pesato in molti la voglia di dare un segnale alla "nuova" classe dirigente che ha occupato manu militari il partito un tempo maggioritario nella nostra regione, ma questa disillusione ha interessato e coinvolto tutte le forze politiche. Io - come una parte di voi - sono abbastanza vecchio per ricordarmi cosa successe nel 1999 a Bologna: una parte rilevante degli elettori del partito che allora si chiamava Ds decise di astenersi, per manifestare in questo modo la propria sfiducia verso chi fino ad allora aveva governato la città. E come noto vinse Guazzaloca, che non sfondò a sinistra, ma semplicemente portò a votare tutta la destra, da quella presentabile a quella impresentabile. A queste regionali invece la sfiducia è stata generalizzata, spalmata su tutti i partiti - vecchi, nuovi e nuovissimi  - e credo si tratti di un segnale ancora più grave, perché questa fiducia è difficile da ricostruire.
Non ci fidiamo dei medici. Forse i dodici vecchi che sono morti dopo aver fatto il vaccino antinfluenzale sarebbero morti comunque, però non ci crediamo, anche perché chi ha - o ha avuto - in casa una persona anziana sa che troppo spesso i loro sintomi sono sottovalutati, a loro le cure vengono somministrate in maniera un po' generica, abbiamo l'impressione in sostanza che i medici investano poco nella cura dei loro pazienti più anziani. Proprio oggi ho visto l'ennesima intervista a un medico di base che invitava i telespettatori anziani a vaccinarsi, spiegando che se non lo avessero fatto nelle prossime settimane ci sarebbero stati più casi di influenza e quindi i medici sarebbero stati costretti a lavorare di più. Al dottore è sfuggita una frase infelice, che però racconta bene del difficile rapporto che abbiamo noi con i medici, che immaginiamo sempre prezzolati dalle case farmaceutiche. Con una qualche ragione.
Non ci fidiamo in sostanza - non solo dei medici, ma di tutti quelli a cui siamo costretti a chiedere qualcosa, dall'idraulico al commercialista - anche perché ci capita sempre più spesso di trovarci davanti a persone incompetenti e che fanno male il loro lavoro, un po' per dolo e soprattutto perché non lo sanno proprio fare.
Non ci fidiamo di quello che è scritto nelle etichette, anche perché spesso i prodotti che ci vendono sono adulterati. A volte forse non dovremmo fidarci neppure di chi ci dà dei soldi, almeno non avrebbe dovuto fidarsi quel signore tedesco a cui è stata rifilita una banconota da 300 euro, prodotta in una "zecca" napoletana.
Non ci fidiamo di chi fa beneficienza e di chi ci chiede un po' dei nostri soldi per aiutare gli altri, perché pensiamo che forse quei soldi, i nostri soldi, verranno usati male, verranno sprecati. Verranno rubati in buon sostanza e così, nel dubbio, non diamo nulla.
Il termine latino fiducia deriva dal verbo fidere, ossia aver fede. E c'è qualcosa di sacro in questo verbo, che condivide la radice dell'antico sanscrito che significa conoscere. Noi ci fidiamo di chi conosciamo. E proprio perché conosciamo sempre meno le altre persone, non ci fidiamo di loro. O forse non ci fidiamo degli altri perché conosciamo troppo bene noi stessi e temiamo che gli altri facciano a noi quello che noi saremmo pronti a fare a loro. 
Oggi però non riesco a non pensare al fatto che forse il piccolo Loris ha avuto fiducia di una persona che conosceva, l'ha seguita quando questi gli ha proposto di andare a fare un giro, invece di andare a scuola, magari gli ha detto che era stato mandato dalla madre a prenderlo. Loris si è fidato e oggi è morto. Mi dispiace pensare a un mondo in cui i bambini non si possano fidare, nella loro ingenuità, degli altri.
Il protagonista di Miracolo a Milano sogna un mondo dove "buongiorno voglia davvero dire buongiorno". Noi questo sogno lo abbiamo abbandonato da un pezzo; se mai lo abbiamo avuto.

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