mercoledì 22 ottobre 2014

Verba volant (138): costare...

Costare, v. intr.

Questo verbo viene dal latino constare, il cui primo significato è quello di essere fermo e quindi certo, stabilito, da cui il senso - oggi ormai prevalente - di avere un prezzo determinato. Spiega con la solita precisione il Pianigiani:
Valere, detto di cosa che si venda, ma con relazione al prezzo attribuitole.
Affronto oggi questa definizione perché questa mattina davanti all'ufficio in cui lavoro, l'anagrafe del Comune di Salsomaggiore, si è concluso il corteo dei lavoratori in sciopero del settore termale, ossia la "fabbrica" più grande della nostra città. Il motivo scatenante di questa protesta è stata la decisione dell'azienda - pubblica - di licenziare entro la fine di quest'anno ottantuno persone, circa un terzo di tutti quelli che ci lavorano. Non entro nel merito della vicenda complessa delle Terme di Salsomaggiore e Tabiano, che sono in crisi da molto tempo - e su cui ci sono molte e gravi responsabilità - ma su un aspetto che mi ha fatto riflettere. Il presidente di Terme ha detto che la decisione di licenziare queste ottantuno persone è frutto della volontà di far ripartire l'azienda, eliminando un costo gravoso che pesa su quei bilanci. Da un punto di vista puramente contabile posso capire la logica di questa scelta: meno persone che lavorano sono meno persone da pagare, però Terme è un'azienda che produce essenzialmente servizi e se non ci sono le persone che lavorano quei servizi non potranno più essere prodotti. Capisco che i lavoratori costino, ma in questo caso specifico sono anche l'unica fonte di reddito, perché la nostra acqua non si può semplicemente bere - nel caso basterebbe una persona a controllare i rubinetti - ma deve essere in qualche modo applicata e, senza questo lavoro, non può essere venduta e quindi non può produrre nuova ricchezza. Al di là del fatto che io - per antica e "sinistra" testardaggine - continuo a pensare che i lavoratori siano persone e non costi, in questo caso particolare la decisione di licenziare non riesce a convincermi neppure da un punto di vista strettamente economico.
Ovviamente il caso delle Terme di Salsomaggiore non è isolato. L'altra sera ho ascoltato l'intervista all'amministratore delegato di Meridiana che spiegava che per il rilancio di quell'azienda in crisi era necessario ridurre il numero delle persone che vi sono impiegate. Anche in questo caso si tratta di un curioso paradosso: senza piloti come volano gli aerei? E per far crescere gli affari di una compagnia aerea non sarebbe necessario far volare più aerei, coprire più rotte? E quindi non sarebbero necessarie più persone?
A me preoccupa molto che passi come una cosa naturale il fatto che i lavoratori siano il principale costo di un'azienda e quindi che per renderla più competitiva sia necessario ridurre i costi e quindi licenziare. Io non sono certo un esperto di politiche industriali, ma mi hanno insegnato che senza lavoro - manuale e intellettuale - non si produce ricchezza. Poi ovviamente servono altre cose, che certamente sono costi: servono le materie prime e l'energia; e bisognerebbe che queste cose costassero meno, ma non si può fare lo stesso ragionamento per il lavoro. Adesso invece sembra che lo svilippo passi necessariamente per la riduzione del costo del lavoro, e quindi meno salari e sempre più bassi. La storia, anche recente, del nostro continente - ce lo insegna quel comunista di Eric Hobsbawm - mostra il contrario: alla fine della seconda guerra mondiale l'economia europea e statunitense è cresciuta perché i salari si sono alzati e perché l'occupazione è molto aumentata.
Ogni tanto ci capita di guardare un programma che negli Stati Uniti si chiama  The high low project e in Italia Sabrina: Design accessibili. Il programma si svolge sempre così: una designer, Sabrina appunto, fa vedere a una famiglia una stanza arredata secondo tutti i loro desideri, e questo arredamento costa naturalmente molti soldi. Quando la famiglia si rende conto che non può spendere quella cifra iperbolica, Sabrina rifà un arredamento molto simile all'originale, spendendo anche dieci volte meno. In ogni puntata c'è un suo collaboratore che costruisce, con pochi soldi, un oggetto che sarebbe costato migliaia di dollari. Io mi arrabbio tutte le volte, perché quell'oggetto non costa soltanto il materiale che è servito a costruirlo, ma bisogna calcolare il valore del lavoro dell'aiutante di Sabrina che ci mette tempo, ma soprattutto fantasia e bravura nel fare quel tavolino o quella scansia o quel mobiletto. Si tratta solo di un un programma televisivo ovviamente, ma mi sembra sempre più una metafora dei nostri tempi. Se il lavoro è solo un costo, basta ridurlo, fino a portarlo a zero.
Come avrete capito, a me non piace affatto l'espressione costo del lavoro e vorrei che, almeno noi a sinistra, smettessimo di usarla; possiamo lasciarla a quelli di là, a Confindustria e al "suo" governo. Anche perché ormai non siamo più noi a stabilire il prezzo con cui "vendiamo" il nostro lavoro, sono sempre loro, quelli che lo "comprano", a definirlo e ad imporcelo, sempre più basso.
Diceva invece John Maynard Keynes.
Sono quindi vicino alla dottrina pre-classica, che ogni cosa è prodotta dal lavoro, coadiuvato da ciò che allora usava chiamarsi arte e che ora si chiama tecnica, dalle risorse naturali che sono gratuite o costano una rendita a seconda della loro abbondanza o scarsità, e dai risultati del lavoro del passato [...] È preferibile considerare il lavoro, compresi naturalmente i servizi personali dell'imprenditore e dei suoi collaboratori, come l'unico fattore di produzione, operante in un dato ambiente di tecnica, di risorse naturali, di beni capitali e di domanda effettiva.
Ecco a me il lavoro piace più considerarlo così, e mi piace considerare i lavoratori una voce di attivo invece che di passivo.

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