lunedì 31 gennaio 2011

Considerazioni libere (203): a proposito di gratuite volgarità...

Una delle mie sparute lettrici mi ha chiesto un'opinione e di questo la ringrazio: è una delle cose che rinfrancano l'ego di un blogger di provincia; posso dire quindi che questa è la mia prima - e forse l'ultima - "considerazione" su commissione.
Se ho ben capito il tema, la mia gentile interlocutrice si chiede come mai tenda a crescere il tasso di volgarità nelle conversazioni private, specialmente quando ci si trova tra uomini o tra donne, citando alcuni casi concreti.
Sinceramente non so dire quanto siano più disinibite e volgari le conversazioni private rispetto al passato, ma certamente c'è una maggiore volgarità intorno a noi, nella sfera pubblica, a ogni livello. Mi rendo conto che un discorso del genere rischia di essere un po' moralista e può essere tacciato di ipocrisia, ma personalmente mi infastidisco quando sento qualcuno che in un luogo pubblico o, peggio ancora, davanti a un pubblico - in un discorso o in un'intervista - usa, in maniera gratuita delle volgarità. Provate a prendere un autobus frequentato da ragazzi e ragazze che vanno a scuola: ne sentirete di tutti i colori; probabilmente noi, alla loro età dicevamo le stesse parolacce, ma non ci facevamo sentire da tutto l'autobus. Gli esempi poi di volgarità pubblica sono così frequenti che non mi sembra i caso di citarli.
Diceva vent'anni fa il protagonista di Palombella rossa: "Chi parla male, pensa male", riferendosi a certe frasi fatte, ai luoghi comuni, alle banalità che ci assediano da ogni parte; è ancora un problema, come è un problema altrettanto grave l'abuso delle parole inglesi o di terribili calchi, come briffare, appena salito agli onori delle cronache, perché utilizzato dall'igienista dentale più famosa d'Italia. La frase di Moretti vale tanto di più per le frequenti volgarità che sentiamo in autobus come in televisione. Ho già scritto molte volte che uno degli aspetti che mi piace meno della nostra società è l'ostentato maschilismo e la tendenza a valutare le donne solo in base al loro aspetto. Viviamo in un clima in cui la dimensione sessuale è esasperata, nei suoi aspetti più libidinosi, laidi, e questo si manifesta anche nella volgarità del linguaggio. Se usiamo la parola figa - scusate - per indicare una ragazza, qualcosa vorrà dire di come ragiona la nostra testa.
So che a un discorso del genere è facile obiettare che le donne non erano certo più considerate quando in Rai le ballerine non potevano far vedere le gambe e nel telegiornale non si poteva pronunciare la parola membro, con un perbenismo bigotto che era solo di facciata. E' vero, ma è un alibi che non regge molto: forse era soltanto una facciata, ma almeno quella c'era, mentre ora è irrimediabilmente crollata.
Probabilmente sono uscito fuori tema e mi scuso con chi mi ha dato l'estro di scrivere questo sfogo. provo a tornare alla questione da cui sono partito. E' naturale usare un linguaggio più libero quando ci ritroviamo in un gruppo di amici, magari lasciandoci andare ad espressioni che non useremmo in un contesto diverso. C'è qualcosa di liberatorio ed è anche una dimostrazione di reciproca fiducia: con te, che sei mio amico, posso dire cose che non direi ad altri e tu puoi fare lo stesso con me. Sentiamo che in quelle circostanze siamo meno legati da convenzioni. Ma se già ogni giorno queste convenzioni tendono a saltare, se sentiamo di continuo fuori, nel mondo degli altri, un linguaggio peggiore di quello che useremmo tra amici, cosa possiamo aspettarci? Forse la tendenza è sempre quella di peggiorare.

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